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Le orecchie di Hermes
Studi di antropologia e letterature classiche
- 448 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro
Questo volume costituisce una sintesi degli studi di antropologia del mondo antico svolti da Maurizio Bettini dopo la metà degli anni Ottanta, quando il suo testo Antropologia e cultura romana (Nuova Italia Scientifica) introdusse questo tipo di ricerche nel nostro Paese. I saggi qui proposti sono in parte inediti e in parte riscritture di studi già pubblicati. Si articolano in tre sezioni: la prima, dedicata a «Storie di simboli e di eroi», esamina grandi figure simboliche dell'antichità - Hermes, Edipo, Turno - e trasversalmente studia l'evoluzione, nella nostra e in altre culture, dei temi che questi personaggi «incarnavano». La seconda parte affronta «storie di "doppi"» e mette in luce la percezione dell'identità individuale nel mondo latino e in quello medievale, attraverso l'analisi di Plauto, del testo virgiliano e della letteratura medievale irlandese. L'ultima sezione, intitolata «Storie di parole», indaga il significato e l'origine dei vocaboli latini argumentum e mustela e della terminologia usata per designare l'apparenza fisica (os, vultus,facies) in un possibile spaccato di psicologia storica.
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Informazioni
Parte prima
Simboli ed eroi
I.
Le orecchie di Hermes
Luoghi e simboli della comunicazione nella cultura antica
Ogni dio è diverso dagli altri. Mercurio per esempio, con le alucce ai piedi, è un nepman e un furfante1.
La comunicazione ha dei luoghi, anche e soprattutto simbolici. Per noi, oggi, essi hanno inevitabilmente assunto la forma di apparecchio telefonico, di fax, di tastiera del computer: ovvero sono rappresentati dai media, come la radio o la televisione. Luoghi tecnici, potentissimi, e soprattutto rigidamente estranei al corpo umano e alla sua topografia. Lo stesso si può dire per una sfera che alla comunicazione è strettamente connessa: quella della memoria e, inversamente, quella dell’oblio. La nostra esperienza contemporanea ci suggerisce infatti, come sedi della memoria e dell’oblio, l’enorme ammasso di archivi che abbiamo accumulato, scritti o elettronici che siano. Il fatto è che siamo dominati ormai dalla scrittura – ovvero da quella subdola trasformazione della scrittura che si chiama registrazione, vocale o visiva. Anche l’oralità, una volta registrata, si trasforma infatti in scrittura, e persino la volatile esperienza visiva – uno spettacolo, un evento a cui si è assistito – può assumere l’aspetto inatteso di archivio, riutilizzabile serbatoio di informazioni simile in questo al libro o al documento.
La nostra esperienza comunicativa è uscita dalla dimensione (anche simbolica) della fisicità umana. Si è trasformata in una comunicazione senza corpo: le orecchie, la lingua, la memoria collocata in noi “da qualche parte”, in stretta simbiosi con l’oblio, sono finite fuori di noi, e vivono di vita autonoma. La comunicazione fra gli uomini prescinde sempre piú spesso dall’interazione fisica ed è garantita dal telefono o dalla rete – il silenzio stesso, quando scende, non corrisponde piú a un vuoto palpabile che circonda le persone e fa cadere la conversazione: esso assume piuttosto la forma della linea telefonica che cade, della televisione che perde l’audio o si abbuia, del terminale che non riesce a connettersi. Ma non è sempre stato cosí.
1. Il signore della comunicazione.
Nella piazza del mercato di Pharai, in Acaia, stava un’immagine di Hermes, in pietra e con la barba: di fronte a essa c’era un focolare ancora di pietra, ornato di lampade di bronzo fissate col piombo. A questa immagine del dio si attribuivano poteri divinatori e, secondo la descrizione di Pausania, il rituale che bisognava seguire per la consultazione funzionava in questo modo2. Colui che voleva interrogare Hermes veniva la sera, bruciava dell’incenso sul focolare, riempiva d’olio le lampade, le accendeva, lasciava una moneta sull’altare, a destra dell’immagine: infine sussurrava la sua domanda, qualunque fosse, nell’orecchio del dio. Dopo di che si tappava le orecchie e lasciava la piazza del mercato. Una volta fuori si toglieva le mani dalle orecchie e qualsiasi voce avesse udito in quel momento la prendeva come un oracolo.
Questo tipo di pratica divinatoria, che attribuiva valore profetico a parole còlte casualmente nell’aria, portava in Grecia il nome di kledonismós, ossia «divinazione tramite il kledón»3. Che cosa indica la parola kledón? Per l’appunto la «voce» casuale che, come nel caso dell’Hermes di Pharai, qualcuno coglie attorno a sé. Si tratta insomma del presagio in forma di parola o fama che circola per l’aria, come per vita propria, e che manifesta il volere degli dèi. Basta saperlo cogliere e interpretare, ovviamente. La divinazione tramite segni fortuiti non era certo esclusiva della Grecia. Altre popolazioni, mediterranee e no, l’hanno ugualmente conosciuta e la si è lungamente praticata anche nelle tradizioni del folclore europeo4. Soprattutto, si sa in quale conto i Romani tenessero i loro omina vocali, ugualmente presagi di voci còlte al volo, frasi ingenue, involontarie, che pure contenevano un messaggio profondo e spesso fondamentale per la persona a cui erano dirette5. Anche in questo caso bisognava però saper riconoscere il valore soprannaturale della «voce», quando si manifestava. Crasso, per esempio, non riuscí a comprendere che il venditore di fichi Cari – il quale gridava Cauneas! sulla banchina del porto di Brindisi – non stava semplicemente facendo pubblicità alla sua merce, gridando «vendo fichi di Cauno!», come si poteva pensare. Niente di tutto questo. Il venditore lo diffidava nientemeno dal prendere il mare verso la sua propria morte: cau’ n(e) eas! «non andare», stava infatti gridando – ovviamente secondo la pronunzia apocopata dell’imperativo cave che si usava del latino parlato6. Ma Crasso non se ne accorse. Il problema era che, per sua disgrazia, non se l’aspettava. Nel caso dello Hermes di Pharai invece era impossibile essere presi in contropiede dal kledón. Il fedele pagava il prezzo della consultazione, sussurrava una precisa domanda nell’orecchio del dio e sapeva persino in quale momento la voce sarebbe arrivata: cioè quando, fatto qualche passo, avrebbe liberato le sue orecchie dalle mani che le chiudevano.
Vediamo adesso, seppur brevemente, il dio che è coinvolto nel kledonismós di Pharai. Che Hermes avesse a che fare con la divinazione «per voci», anche fuori da Pharai, pare cosa abbastanza certa. Un’erma fallica, proveniente da Pitane in Eolide, porta infatti l’iscrizione Hermés Kledónios7. A dir la verità, non sorprende trovare proprio Hermes impegnato in questa funzione di distributore di messaggi fortuiti. Egli è infatti il dio del trovamento casuale, ogni oggetto in cui ci si imbatteva per caso portava in greco il nome di hérmaion «dono di Hermes»8. Ugualmente in potere di Hermes era poi una pratica in cui la casualità significativa giocava un ruolo determinante: quella del «tirare a sorte»9. Tantomeno stupisce vedere la «piazza del mercato», il regno di Hermes, usata come luogo in cui raccogliere kledónes divinatori. Questo luogo è naturalmente ricco di voci e di grida, e sappiamo che in generale si prestava grande attenzione ai sýmbola che vi si potevano afferrare10. Il fatto è che il mercato è luogo di scambi e di incontri, da tutti i punti di vista. Esso corrisponde in pieno alla natura di Hermes che, dio del mercato, era anche dio dei passaggi, degli spazi aperti, cosí come lo era degli scambi e degli affari11. Hermes era insomma un dio della circolazione, attorno a lui “circolava” di tutto, dalle monete ai segni divinatori, dalle merci agli incontri, ai kledónes. Si può ben dire che Hermes rappresentava, nel pensiero religioso greco, quello che oggi definiamo piú laicamente con la categoria di comunicazione. Del resto la sua funzione era proprio quella di messaggero (ángelos), la persona cioè che fungeva da canale comunicativo fra chi intendeva trasmettere un certo messaggio e il destinatario del medesimo, ovvero di araldo (kéryx)12. Oggi, in una società di persone che portano il telefono persino nel taschino della giacca, si dimentica facilmente che in antico tutti questi mezzi di comunicazione a distanza corrispondevano alla persona dell’ángelos, del kéryx, del nuntius o dell’orator. Hermes era per l’appunto la rappresentazione religiosa di tutto questo.
In quanto dio della comunicazione, a Hermes era poi specificamente consacrata una parte del corpo molto significativa da questo punto di vista, la lingua. Come diceva il filosofo Cornuto, Hermes «viene chiamato diáktoros («messaggero») poiché [...] conduce (diágein) i nostri pensieri alle anime (psychaí) di coloro che ci sono vicini: per questo motivo usano consacrare a lui la lingua»13. Questo esplicito legame religioso fra Hermes e l’organo della fonazione sposta decisamente il dio dalla parte di uno degli aspetti fondamentali della comunicazione umana, quello linguistico. Il Cratilo platonico sosteneva che Hermes «ha a che fare con il linguaggio (lógos)», e che perciò avrebbe dovuto essere chiamato piuttosto «Eirémes» (da eírein «dire»)14. Ma già Esiodo raccontava di quando proprio Hermes mise nel petto di Pandora non solo «menzogne e discorsi ingannevoli e indole scaltra», ma soprattutto «la voce»15. Mentre l’erudito romano Macrobio definiva Mercurio «signore della voce e del discorso»16. Da questo punto di vista, diventano interessanti da seguire anche le speculazioni di Cornuto. Per lui infatti Hermes è direttamente il lógos, e da questa caratteristica fondame...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Le orecchie di Hermes
- Prefazione
- Ringraziamenti
- Le orecchie di Hermes
- Parte prima - Simboli ed eroi
- Parte seconda - Doppi e controfigure
- Parte terza - Racconti di parole
- Bibliografia
- Indice dei nomi
- Il libro
- L’autore
- Dello stesso autore
- Copyright