Le affinità elettive
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Le affinità elettive

  1. 360 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Le affinità elettive

Informazioni su questo libro

Il solido matrimonio di Edoardo e Carlotta viene scosso dall'arrivo del Capitano e della giovanissima Ottilia. Ben presto le affinità elettive tendono a unire da una parte Edoardo e Ottilia e dall'altra Carlotta e il Capitano. Se Edoardo si abbandona alla passione, inebriato dai propri sentimenti, Carlotta cerca invece di frenarsi e far vincere la ragione, mentre Ottilia, "la piú dolce figlia della natura che sia uscita dalle mani di un artista", risponde alla legge dell'istinto con un sentimento totale ma rigoroso e castissimo. Un capolavoro della letteratura di tutti i tempi nell'eccezionale traduzione di Massimo Mila, che sottrae "al limbo dei cosí detti "classici" un'opera che può ben dirsi una delle sorprendenti "primizie" del romanzo moderno".

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
Print ISBN
9788806222598
eBook ISBN
9788858418215

Parte seconda

I.

Nella vita consueta ci occorre spesso ciò che nell’epopea siamo soliti celebrare come artifizio poetico, e cioè che quando i protagonisti si allontanano, si nascondono, restano inoperosi, ecco che una seconda, una terza figura, finora trascurate, tosto ne occupano il posto, spiegando intera la loro operosità, e ben presto ci sembrano degne di attenzione, d’interesse, perfino di lode e di stima.
Cosí, subito dopo la partenza del Capitano e di Edoardo, quell’architetto si rivelò ogni giorno piú notevole; da lui solo dipendevano l’ordinamento e l’esecuzione di tante imprese, ed egli vi si dimostrò preciso, giudizioso ed energico; inoltre sapeva assistere in tanti modi le dame e intrattenerle nelle ore di calma e di noia. Già il suo aspetto era tale da ispirar fiducia e destare simpatia. Un giovanotto, in tutto il significato della parola, ben fatto, svelto, forse un po’ troppo alto, modesto senza timidezza, confidenziale senz’essere importuno. Allegramente si assumeva qualunque incarico e qualunque grattacapo, e poiché teneva i conti con la piú grande facilità, in un momento tutto l’andamento della casa non ebbe piú segreti per lui e dappertutto si estese il suo benefico influsso. Si facevano ricevere da lui i forestieri, ed egli sapeva tenere a bada un visitatore inaspettato, oppure preparare almeno le signore con tanta destrezza, ch’esse non ne provavano piú fastidio.
Tra gli altri gli diede non poco da fare, un giorno, un giovane avvocato, mandato da un nobile vicino per trattare una questione che, per quanto d’importanza secondaria, pure punse Carlotta sul vivo. Dobbiamo esporre questo caso, poiché diede una spinta a tante cose che altrimenti sarebbero forse rimaste ferme a lungo.
Ricordiamoci di quella trasformazione che Carlotta aveva operato nel cimitero. Tutte le lapidi erano state rimosse dalla loro sede e avevano trovato posto sulla parete lungo lo zoccolo della chiesa. Lo spazio rimasto venne spianato. Ad eccezione di un largo viale, che conduceva alla chiesa e poi alla porticina dall’altro lato, tutto il resto era stato seminato d’ogni genere di trifoglio, che ora verdeggiava bellissimo in fiore. Le nuove sepolture dovevano esser disposte secondo un certo ordine, dal fondo venendo innanzi, ma poi il luogo doveva essere di nuovo uguagliato e similmente seminato. Nessuno poteva negare che questa sistemazione garantisse un lieto e onesto spettacolo ai frequentatori della chiesa nei giorni festivi. Perfino l’anziano pastore, attaccato alle antiche usanze, che a tutta prima non era stato molto soddisfatto della sistemazione, ora si faceva un piacere, quando riposava davanti alla porticina laterale, come Filemone, sotto i vecchi tigli, insieme alla sua Bauci, di contemplare invece delle irregolari sepolture un bel tappeto variopinto che, per di piú, doveva tornare a tutto suo vantaggio, poiché Carlotta lasciava alla parrocchia l’utile di quel terreno.
Ma ciononostante a molti abitanti era dispiaciuto che si levasse l’indicazione del luogo dove giacevano i loro vecchi e cosí se ne spegnesse in certo modo ogni ricordo: poiché i ben conservati monumenti indicavano certo ancora chi era stato sepolto, ma non piú dove fosse sepolto, e proprio questo dove era l’importante, cosí molti affermavano.
Appunto di questo parere fu una famiglia vicina, che già da molti anni si era riservato uno spazio per sé e per i suoi in quel camposanto comune e perciò aveva devoluto alla chiesa una piccola dotazione. Ora il giovane avvocato era stato mandato a comunicarne la revoca e a notificare che non si sarebbe piú pagato, poiché la condizione pattuita per il pagamento era stata soppressa unilateralmente e senza alcun riguardo alle proteste e ai pareri contrari. Carlotta, prima responsabile di questa trasformazione, volle parlare personalmente col giovanotto, che espose le ragioni sue e del suo cliente, certo con molta vivacità, ma senza alzar la voce, e diede parecchio da pensare alla compagnia.
– Voi vedete, – egli aveva detto, dopo un breve preambolo per giustificare la propria insistenza, – voi vedete che al piú umile come al piú altolocato importa di contraddistinguere il luogo dove riposano i suoi. Anche per il piú povero contadino che seppellisca un bimbo, è una specie di consolazione porre una piccola croce di legno sulla tomba, ornarla d’una corona, per conservare il ricordo almeno tanto a lungo quanto dura il dolore, anche se un simile segnale, come il lutto stesso, verrà corroso dal tempo. I benestanti fanno queste croci di ferro, e le consolidano e le proteggono in tutti i modi, ed ecco che se ne prolunga la durata già per molti anni. Ma poiché anche queste alla fine cadono né piú si distinguono, cosí niente è piú opportuno per i ricchi che porre una lapide, la quale dà affidamento di durare per molte generazioni e dai discendenti può essere rinnovata e restaurata. Non è la pietra, che ci sta a cuore, ma ciò che sotto v’è conservato, ciò che in quel punto è affidato alla terra. Non è neanche tanto il caso di parlar di memoria, quanto della persona stessa; non del ricordo, ma della presenza. Un caro estinto io lo sentirei assai piú da presso e intimamente vicino nella tomba in terra che non in un monumento: poiché in sé e per sé questo è, a vero dire, ben poca cosa; ma intorno ad esso, come a pietra miliare, continueranno a radunarsi, anche dopo la loro dipartita, consorte, parenti, amici; ed il vivo deve pure avere il diritto di respingere e allontanare estranei e malevoli dalla prossimità dei suoi cari che ivi riposano.
– Ritengo perciò che il mio cliente abbia pienamente ragione di ritirare la dotazione; ed è una misura ancora assai mite, poiché i membri di questa famiglia sono stati feriti in modo per il quale non v’è risarcimento possibile. Devono privarsi della dolorosa dolcezza di portare un’offerta funebre ai loro cari, devono rinunciare alla consolante speranza di riposare un giorno immediatamente accanto a loro.
– La cosa non è di tanta importanza, – replicò Carlotta, – che dobbiamo darci la pena d’un procedimento legale. Tanto poco mi pento della mia sistemazione, che volentieri risarcirò la chiesa di quanto viene a perdere. Solo devo dichiararvi schiettamente che i vostri argomenti non mi hanno persuasa. Il puro sentimento d’una generale uguaglianza finale, almeno dopo la morte, mi sembra piú foriero di pace che non questa ostinata e tenace prosecuzione delle nostre individualità, affezioni e relazioni di vita. E voi cosa ne dite? – chiese poi rivolgendosi all’architetto.
Questi rispose: – In un argomento simile, non vorrei né discutere né pronunciar la sentenza. Permettetemi di esporre semplicemente ciò che riguarda piú da presso la mia arte e il mio modo di vedere. Poiché non ci è piú concessa la felicità di stringerci al petto i resti d’un amato oggetto entro un’urna; poiché non siamo abbastanza ricchi né sereni per conservarli intatti in un grandioso e bene adorno sarcofago; poiché, ancora, nelle chiese non troviamo ormai piú posto per i nostri cari e per noi, ma veniamo invece mandati fuori all’aperto: cosí abbiamo tutte le ragioni per approvare il modo che voi, mia gentile signora, avete tenuto. Quando i membri d’una comunità giacciono l’uno accanto all’altro, essi riposano vicino ai loro cari; e se tutti ci deve accogliere una volta o l’altra la terra, non trovo niente di piú naturale e di piú decoroso, che spianare senza indugio i tumuli formatisi irregolarmente e a poco a poco crollanti: sí che riesca ad ognuno piú lieve, sopportato da tutti, il comune rivestimento.
– E senza qualche segno di ricordo, senza qualcosa che venga incontro alla nostra memoria, cosí, dovrebbe tutto questo trapassare? – obiettò Ottilia.
– Niente affatto! – continuò l’architetto; – non al ricordo, ma solo al luogo materiale si deve rinunciare. L’architetto, lo scultore, sono altamente interessati che l’uomo si attenda da loro, dalla loro arte, dalla loro mano, un prolungamento della propria esistenza; e per questo io vorrei vedere monumenti bene ideati e bene eseguiti, non sparsi isolatamente qua e là, ma raggruppati in un luogo dove si ripromettano lunga durata. Se perfino i santi e i potenti hanno rinunciato al privilegio di riposare personalmente nelle chiese, almeno vi si erigano lapidi e monumenti, eventualmente anche in bei porticati intorno ai luoghi di sepoltura. Ci sono migliaia di forme, che a loro volta richiedono migliaia di decorazioni con cui adornarle.
– Se gli artisti sono cosí fecondi, – replicò Carlotta, – allora ditemi un po’: come mai non ci si riesce a tirar fuori dal solito modello d’un piccolo obelisco una colonna infranta, un’urna cineraria? Invece delle migliaia d’invenzioni di cui voi vi vantate, io non ho mai visto che migliaia di ripetizioni.
– Eh, da noi succede proprio cosí, – le rispose l’architetto, – ma in altri luoghi, no. Certo, il problema sta sempre nell’invenzione e nella sua adeguata attuazione pratica. In questo caso la difficoltà è di rendere attraente un soggetto tanto serio e, trattando di cosa dolorosa, non cadere nello spiacevole. Di schizzi per monumenti d’ogni genere io ne ho raccolti molti, e se capita ve li farò vedere; ma il piú bel monumento resta pur sempre l’immagine stessa dell’uomo. Meglio di qualunque altra cosa essa dà un’idea di ciò ch’egli era; è il miglior testo a cui apporre molte o poche chiose: solo, dovrebbe anche esser fatto nell’età migliore, il che generalmente viene trascurato. Nessuno si preoccupa di eternare la forma vivente, o quando si fa, si fa in modo insufficiente. Generalmente si prende in tutta fretta la maschera del morto, poi la si pone sopra un piedestallo, e questo si chiama un busto. Com’è raro che l’artista sia in grado di ridargli vita pienamente!
– Avete condotto questo discorso, – replicò Carlotta, – forse senza saperlo né volerlo, proprio a mio favore. Il ritratto d’un uomo è del tutto indipendente; dovunque stia, vi sta per se stesso, e noi non desidereremmo ch’esso debba indicare il vero e proprio luogo di sepoltura. Ma devo confessarvi uno strano sentimento? perfino verso i ritratti io ho una specie di avversione, poiché mi sembra sempre che facciano un muto rimprovero, che accennino a qualcosa di remoto, di distaccato, e mi ricordano quanto sia difficile accordare al presente la debita considerazione. Se si ripensa a tutti gli uomini che si son visti e conosciuti e se ci si confessa che poca cosa siamo stati noi per loro, che poca cosa essi furono per noi, quale malinconia! Noi incontriamo l’uomo di spirito, senza intrattenerci con lui; incontriamo il saggio, senza imparare da lui; l’uomo che ha molto viaggiato, senza informarci; l’uomo tutto amore, senza usargli una gentilezza.
– E purtroppo ciò non avviene soltanto con le conoscenze d’un momento. Società e famiglie si comportano allo stesso modo verso i loro piú cari membri, le città verso i loro piú degni cittadini, i popoli verso i loro principi migliori, le nazioni verso i loro uomini piú eccellenti.
– Una volta sentii chiedere perché dei morti si dica un bene cosí incondizionato, e dei vivi, invece, sempre con una certa cautela. Fu risposto: «Perché da quelli non abbiamo piú nulla da temere e questi possono ancora sempre attraversarci la strada». Tanto poco pura è la sollecitudine per la memoria d’altri; non è per lo piú che un gioco egoistico, mentre invece sarebbe un santo compito e serio conservar sempre attive e feconde le nostre relazioni verso i viventi.

II

Per l’interesse del caso e delle conversazioni che ne erano nate, si recarono il giorno dopo al camposanto, e l’architetto fece diverse felici proposte per decorarlo e per renderlo piú sereno. Ma anche alla chiesa doveva estendersi la sua diligenza, costruzione che fin dal principio aveva attirata la sua attenzione.
Questa chiesa esisteva da molti secoli, costruita con buon equilibrio di masse secondo lo stile tedesco e piacevolmente decorata.
Ben si poteva supporre che l’architetto d’un vicino convento si fosse applicato, con intelligenza e simpatia, anche a questa costruzione minore, tale da operare pur sempre sull’osservatore un gradevole effetto di raccoglimento, sebbene la nuova disposizione interna per il culto protestante le avesse sottratto alquanto della sua maestosa pace.
All’architetto non riuscí difficile far stanziare da Carlotta una modesta somma per restaurare esterno e interno nel loro aspetto antico e intonarli col camposanto che si stendeva lí davanti. Egli stesso non mancava di abilità manuale e ben volentieri si fu d’accordo per trattenere alcuni operai, che ancora erano occupati nella costruzione della casa, finché anche quest’opera pia fosse terminata.
Quando poi si trattò di esaminare l’edificio stesso, con tutti i suoi annessi e connessi, si rivelò, con grandissimo stupore e piacere dell’architetto, una piccola e trascurata cappella laterale, di proporzioni ancora piú geniali e leggere, di decorazione ancor piú piacevole e ingegnosa. Conteneva pure alquanti resti di sculture e dipinti del precedente culto cattolico, che ben sapeva contraddistinguere le diverse solennità con varietà di paramenti e d’immagini e commemorarle opportunamente una per una.
L’architetto non poté far a meno d’includere immediatamente questa cappella nel proprio progetto e, anzi, di restaurare particolarmente questo piccolo ambiente come un monumento dei tempi andati e del loro gusto. Già s’immaginava le nude pareti decorate secondo il proprio intendimento, e si rallegrava di potervi esercitare il proprio talento pittorico, ma per il momento preferí farne mistero alle sue compagne.
Prima d’ogni altra cosa mostrò alle signore, secondo quanto aveva promesso, riproduzioni e disegni di antichi monumenti funerari, urne e altri oggetti ad essi attinenti e, caduto per caso il discorso sui semplicissimi tumuli dei popoli settentrionali, egli fece vedere la propria raccolta di armi ed arnesi d’ogni genere ritrovati in tali tombe. Teneva tutto ciò ben ordinato e maneggevole in cassetti e scaffali su tavole intagliate e ricoperte di panno, tanto che queste vecchie e tristi cose acquistavano, trattate a quel modo, qualcosa di civettuolo e si guardavano con piacere, come le scatole d’un mercante di mode. E una volta ch’egli ebbe cominciato a presentarle, poiché la solitudine esigeva qualche svago, prese l’abitudine di arrivare ogni sera con una parte dei suoi tesori. Erano per lo piú di origine tedesca: monete bratteate, medaglie, sigilli e altra roba del genere. Tutti questi oggetti indirizzavano la fantasia verso il tempo antico, e poiché ultimamente egli illustrava la propria conversazione con incunaboli, antiche stampe e silografie, e d’altra parte anche la chiesa, conformemente al suo proposito, si sviluppava ogni giorno, per cosí dire, verso il passato, grazie al colore e alle altre decorazioni, cosí c’era quasi da chiedersi se veramente si vivesse nei tempi moderni, o se non fosse un sogno questo aggirarsi in tutt’altri costumi, abitudini, idee ed ordine di vita.
Dopo questa preparazione fece il miglior effetto una grossa cartella ch’egli tirò fuori per ultima. Non conteneva, per la maggior parte, che contorni di figure; ma, ricalcate direttamente sugli originali, conservavano perfettamente il loro carattere antico: e questo, con quanto piacere si contemplava! Da tutte le immagini si manifestava una purissima natura, sí che tutti parevano, se non nobili, buoni. Sereno raccoglimento, spontaneo riconoscimento d’un Altissimo sopra di noi, tacita attesa e dedizione d’amore erano espressi in tutti i visi, in tutti gli atteggiamenti, il vecchio con la testa calva, il fanciullo ricciuto, il giovinetto vivace, la serietà virile, il trasfigurarsi del santo, l’angelo nel suo volo, tutti sembravano beati in un’innocente contentezza, in una pia attesa. Anche il gesto piú comune pareva un tratto di vita celeste e ad ogni carattere pareva che si addicesse un’azione di culto divino.
Ad un simile mondo guardano i piú come a una svanita età dell’oro, come a un paradiso perduto. Forse Ottilia soltanto era nel caso di sentirsi tra creature affini.
Ormai chi avrebbe potuto opporsi, quando l’architetto propose di dipingere gli spazi tra gli archi acuti della cappella secondo il modello di queste figure, per imprimere cosí decisamente il proprio ricordo in un luogo dove s’era trovato tanto bene? Egli si espresse a questo proposito con una certa tristezza, poiché dal punto a cui stavano i lavori poteva bene arguire che il suo soggiorno in cosí squisita compagnia non sarebbe durato eternamente, anzi, forse avrebbe dovuto cessare presto.
Del resto quelle giornate non erano certo ricche di avvenimenti, ma sí di spunti per una seria conversazione. Ne prendiamo quindi occasione per comunicare qualcosa di ciò che Ottilia si annotava nei suoi quaderni, e crediamo di non poter trovare piú acconcio trapasso che un paragone suggeritoci insistentemente dalla lettura delle sue pagine gentili.
Abbiamo sentito dire d’una speciale disposizione della marina inglese. Tutti i sartiami della regia flotta, dal piú robusto al piú sottile, sono tessuti in modo che vi corra internamente un filo rosso, filo che non si può estrarre senza sciogliere tutto quanto, e grazie al quale anche dei piú piccoli frammenti è possibile riconoscere che appartengono alla corona.
Similmente un filo d’amore e di devozione percorre il diario di Ottilia e tutto vi collega e ne caratterizza l’insieme. Grazie ad esso queste osservazioni, considerazioni, citazioni di massime e ogni altra cosa che vi si possa trovare, fanno intimamente parte di colei che scrive ed acquistano per lei un significato particolare. Anche i singoli passi da noi estratti e citati ne forniscono la prova piú manifesta.
DAL DIARIO DI OTTILIA.
Riposare un giorno accanto a coloro che si amano, è la piú dolce idea che l’uomo possa farsi, quando pensi a ciò che sarà dopo la vita. Riunirsi ai suoi, è un’espressione cosí affettuosa.
Ci sono molte specie di monumenti e ricordi che riconducono vicini a noi gli assenti ed i defunti. Ma nessuno è tanto significativo quanto il ritratto. L’intrattenersi coll’immagine d’una persona amata, perfino se non sia somigliante, ha qualcosa di eccitante, come ha spesso qualcosa d’eccitante litigare con un amico. È un modo delizioso di sentire che si è in due, ma inseparabili.
Spesso ci s’intrattiene con un uomo presente, come con un ritratto. Non c’è bisogno ch’egli ci parli, ch’egli ci guardi, ch’egli si occupi di noi: noi lo vediamo, noi sentiamo il nostro rapporto con lui, anzi, le nostre relazioni possono perfino svilupparsi senza ch’egli vi contribuisca, senza ch’egli nemmeno si accorga di comportarsi verso di noi come un puro e semplice ritratto.
Non si è mai soddisfatti d’un ritratto di per...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le affinità elettive
  3. Le affinità elettive di Goethe di Thomas Mann
  4. Nota introduttiva di Massimo Mila
  5. Le affinità elettive
  6. Parte prima
  7. Parte seconda
  8. Appendice
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright