Orgoglio e pregiudizio (Deluxe)
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Orgoglio e pregiudizio (Deluxe)

Jane Austen

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  1. 464 pagine
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Orgoglio e pregiudizio (Deluxe)

Jane Austen

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In provincia non succede mai molto, e l'arrivo di due scapoli giovani e benestanti è un avvenimento. Specialmente in una casa con ragazze in età da marito e di scarsi mezzi, come sono le cinque sorelle Bennet. Eppure, fin dal primo incontro, tra la vivace Elizabeth e lo scostante Darcy scatta una cordiale antipatia; quando la ragazza scopre che lui trama contro la liaison tra l'amata sorella Jane e l'amico Bingley, l'avversione si fa ancora più forte. Ma gli eventi sgretoleranno il pregiudizio di Elizabeth, e anche Darcy, nonostante il suo orgoglio aristocratico, si scoprirà perdutamente innamorato. Nel suo capolavoro, Jane Austen tratteggia con affetto e brio la vita provinciale che conosceva così bene, e i suoi personaggi deliziosi animano un romanzo di costume tra i più amati della letteratura inglese. Questa edizione è arricchita dalle illustrazioni di Hugh Thomson, che sorprendono per l'immediatezza con cui fanno rivivere, in pochi tratti, le atmosfere dell'Inghilterra di Jane Austen e la commedia dei sentimenti più attuale, divertente e longeva che sia mai stata scritta.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2020
ISBN
9788831802512
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

ECCOMI QUI IMMORTALE

L’autunno del 1796 si annuncia piovoso e noioso nell’oscuro villaggio di Steventon, Hampshire, in un angolo nemmeno troppo ameno della campagna inglese. La casa piuttosto malmessa del reverendo George Austen sembra vuota. In ottobre, i suoi numerosi figli sono quasi tutti altrove. I due maggiori – James vedovo, Edward sposato – sono nelle loro case coi loro bambini. L’inquieto quartogenito Henry, rotto il fidanzamento con la figlia del capitano dell’ospedale dei marinai a Greenwich, va a Londra a corteggiare l’affascinante cugina Eliza, che ha appena rifiutato la proposta di matrimonio del fratello maggiore James Austen, il vedovo, prete come il padre. Quanto ai figli minori, ufficiali di marina, Frank è stato appena richiamato a bordo della sua fregata da 31 cannoni, e il diciassettenne Charles è in mare, chissà dove. Coi genitori restano solo le due figlie ancora nubili, Cassandra e Jane.
Quest’ultima ha appena subìto una bruciante delusione amorosa, o piuttosto un’amara lezione sociale: Tom Lefroy, l’amico irlandese scanzonato e divertente che le piace, e a cui piaceva, è stato brutalmente allontanato dal paese dalle manovre di Mrs Lefroy, che non ritiene la figlia del reverendo Austen adeguata al livello sociale del nipote. Jane incassa il colpo con ironia – ma né i sentimenti dei due giovani innamorati né i pregiudizi della signora verranno dimenticati. Quando la brutta stagione impedisce passeggiate e altri svaghi, Jane comincia a scrivere un romanzo. Il titolo provvisorio è First Impressions (Prime impressioni). Non è molto attraente, ma adeguato: la prima impressione che i protagonisti – Elizabeth Bennet e Fitzwilliam Darcy – si fanno a vicenda, è sbagliata. L’orgoglio, i pregiudizi, la vanità li accecano, le prevenzioni mettono a tacere la ragione, impedendo loro di vedersi al di là delle apparenze, per ciò che realmente sono. La storia del romanzo consiste proprio nelle peripezie che porteranno entrambi a modificare le prime impressioni, scoprendo di essere fatti l’uno per l’altra.
Benché non abbia ancora compiuto ventun anni, Jane Austen è già al suo secondo romanzo. Il primo, storia di due sorelle intitolato Elinor e Marianne, è finito da un pezzo. Scrive nella camera da letto lasciata libera da uno dei fratelli, con le pareti tappezzate di disegni di Cassandra e al centro un vecchio pianoforte, oppure nella stanza comune, fra continue interruzioni, curandosi solo che visitatori e domestici – gli estranei, insomma – ignorino la sua attività. Come se fosse un segreto di famiglia. O piuttosto un gioco. Nella casa del reverendo, che è stato anche insegnante e ha tenuto a pensione molti giovani delle buone famiglie dei dintorni, tutti scrivono lettere, versi satirici, parodie, commedie. E leggono. «La nostra famiglia» – scriverà Jane – «ama molto la lettura dei romanzi e non se ne vergogna.»1 Jane – la penultima degli otto figli del reverendo – è intelligente e spiritosa. Alta e snella, ha gli occhi nocciola e i capelli castani. Nel tempo libero, scrive per divertire i fratelli e la sorella Cassandra, cui è legatissima, e anche per divertire se stessa. Non pensa di poter diventare una professionista: scrivere per denaro è qualcosa che oltrepassa la sua ambizione. Ma il padre ha investito 12 scellini per comprarle una piccola scrivania – di mogano, con un cassetto e il set da inchiostro di vetro.
Per mesi, indifferente agli sconvolgimenti che sconquassano l’Europa (gli Inglesi, gli Austriaci e i Russi sono da tempo in guerra contro la Francia rivoluzionaria), apparentemente interessata solo ai balli, ai flirt, alla moda e ai pochi cappellini che la penuria economica le permette di comprarsi, nella sua scalcagnata casa del villaggio di Steventon, Miss Austen si guarda attorno e scrive. Scrive di ciò che conosce: il paesaggio collinare punteggiato di scialbi villaggi, tenute parrocchiali e manieri di favolosi aristocratici; i balli che animano all’improvviso la noia della provincia, i pomeriggi interminabili consumati giocando a carte o a shangai, i tè con le vicine o le parenti; le sonate mediocri al pianoforte, le chiacchiere vacue, le smanie per la villeggiatura; la caccia al marito, che costituisce l’unica occupazione di ragazze alle quali non si chiede nulla più che saper «fare una borsetta o rivestire un paravento».2 Ma anche la disperante stupidità degli esseri umani, le ambizioni spesso mal riposte, le menzogne, le inflessibili regole sociali, il mercato del matrimonio, le ingiustizie, le ragioni dei sentimenti contro quelle del mondo. Amori effimeri, genitori inadeguati, sorelle impossibili, famiglie scombinate, qualche rara tenerezza. La giovane donna osserva tutto – con divertimento e disincanto. E intanto Cassandra prepara il corredo da sposa per un matrimonio che non ci sarà, perché il suo fidanzato – un cappellano costretto dalla povertà a seguire il suo nobile protettore nelle lontane Indie Occidentali – proprio quella primavera muore di febbre gialla sulla via del ritorno, a Santo Domingo, e viene seppellito in mare come l’eroe di un romanzo. Intanto i fratelli si sposano e si risposano (tranne uno: George, il fratello negato, debole di mente, che era stato allontanato dalla famiglia prima ancora della nascita di Jane, e poi da tutti rimosso, come cosa di cui educatamente tacere). Mentre tutto, insomma, muta, Miss Austen resta ferma, e compone – pagina dopo pagina – un affresco realistico del suo stesso ambiente. Ha trovato uno strumento formidabile per evadere dagli angusti confini del suo mondo: la scrittura.
Orgoglio e pregiudizio è la storia di cinque ragazze da marito, le sorelle Bennet. L’autrice ha scovato il loro cognome nei registri della parrocchia del padre. Jane, Elizabeth, Mary, Kitty e Lydia vivono – come del resto le Austen – nella quiete della provincia inglese. L’autrice le caratterizza sobriamente, attribuendo loro una parte, come se fosse l’impresario di una compagnia teatrale: Jane è dolce e bella, Elizabeth impertinente e ribelle, Mary studiosa e pedante fino alla saccenteria, Kitty è scialba, succube della sorella minore, Lydia una sconsiderata civetta. I loro genitori sono piuttosto impresentabili, al punto di metterle in imbarazzo in società. Il padre, Mr Bennet, è un borghese flemmatico, indolente e disilluso – di quasi irresistibile simpatia; la madre, Mrs Bennet, una donna sciocca, meschina, provinciale e invadente: il loro matrimonio – avaro di gioie coniugali e domestiche – costituisce per le figlie un modello assai poco allettante. L’unica amica di Elizabeth, Charlotte, è una ragazza invecchiata di ventisette anni, bruttina e senza mezzi, prevedibilmente destinata a restare zitella. Le Bennet non hanno relazioni importanti: frequentano ventiquattro famiglie di vicini, e i loro parenti stanno nei dintorni di Cheapside – come dire che abitano a Dozzinalia.
È autunno anche nel romanzo quando la monotonia dell’esistenza dei Bennet è interrotta dall’improvviso arrivo di Mr Bingley. Il ricco gentiluomo (che ha una rendita di cinquemila sterline l’anno ed è scapolo) ha preso in affitto la tenuta di Netherfield. Ed è sulla notizia del suo arrivo che si apre – come un sipario – il romanzo. Tutte le madri del circondario si mobilitano per accaparrarsi l’appetibile partito. Mr Bingley è accompagnato da un amico, lo sprezzante Darcy (ricco anche più di lui: ha diecimila sterline di rendita), e dalle sorelle Caroline (che spera di sposare Darcy) e Louise (sposata a un individuo talmente mediocre che nessun lettore ricorderà mai il suo nome).
Sul palcoscenico neanche troppo immaginario dell’Hertfordshire ha inizio una commedia di costume spietata e divertente, in cui i personaggi si scambiano battute al vetriolo e lettere pensose, entrando e uscendo dalla scena, come in una rappresentazione teatrale. La storia corre come il cavallo di Darcy – lanciato al galoppo sulle colline di Pemberley. I destini dei personaggi si compiono in circa nove mesi (dall’autunno all’estate seguente: non sarà inutile sottolineare che il tempo interno del romanzo coincide perfettamente col tempo esterno dell’autrice che lo sta scrivendo). Non ci sono lungaggini, né digressioni. Nessun abbellimento e nessuna ostentazione letteraria. Niente metafore, descrizioni rapidissime di paesaggi. Solo dialoghi, azione e studio dei caratteri, col gusto geometrico delle affinità e delle dissonanze. E una comprensione sorprendente – in un’autrice di nemmeno ventun anni – delle dinamiche delle relazioni fra gli esseri umani, raccontate senza commento né moralismi, seccamente. Pregiudizi sociali e orgoglio individuale si scontreranno in modo non incruento. Ma conoscere il mondo è conoscersi, e l’amore è conoscenza. E il lieto fine è senza amarezze: contro tutte le previsioni e le convenzioni, Elizabeth, la ragazza più intelligente, duttile e capace di riconoscere i limiti delle proprie impressioni, trasformando le sensazioni in sentimenti, si assicura il migliore destino: l’uomo amato, e la ricchezza. Nell’epilogo del romanzo, l’autrice narra il destino dei suoi personaggi: ma agli amici svela anche quello di quanti aveva trascurato. «Kitty Bennet si sposò bene, vicino a Pemberley, con un ecclesiastico, mentre Mary non ottenne niente di più di un impiegato di suo zio Philips, e si contentava di brillare nella società di Meryton.»3 Nessuna delle cinque squattrinate sorelle Bennet, dunque, rimane zitella.
«Nell’insieme, comunque, mi sento discretamente tronfia e soddisfatta» – scriverà anni dopo Jane Austen alla sorella Cassandra. «L’opera è un po’ troppo leggera e brillante e spumeggiante. Ci vorrebbe qualche ombra, ci vorrebbe, qui e là, qualche altro capitolo lungo e pieno di buonsenso, se possibile, o, altrimenti, di speciose sciocchezze su qualcosa che non abbia nulla a che fare con la trama; un saggio sull’arte narrativa, su Walter Scott o sulla storia di Bonaparte, o qualsiasi altro elemento che serva da contrasto e riporti il lettore, con rinnovato piacere, al brio e alla forma epigrammatica caratteristici di tutto lo stile.»4
Ma non bisogna mai prendere troppo sul serio la noncuranza di Jane Austen. L’autrice sa perfettamente che la spigliata concisione del racconto, la velocità della narrazione senza intoppi, le battute a mo’ di epigramma, costituiscono appunto la forza del suo romanzo e del suo inconfondibile stile. Jane Austen ripeteva spesso che i lettori potevano detestare tutti i personaggi, ma dovevano innamorarsi di Darcy e di Elizabeth. Solo questo le stava a cuore. All’affascinante Darcy aveva dato il nome del principe azzurro che sognava per sé: Fitzwilliam. Di Elizabeth, invece, scriverà: «devo confessare che la trovo la creatura più deliziosa mai apparsa sulla carta stampata e non so proprio come farò a sopportare quelli a cui non piacerà».5 Ma forse Elizabeth Bennet era qualcosa di più di un personaggio ben riuscito. Era una sorta di proiezione ideale di lei stessa – un ritratto ingentilito da un pittore alla moda. Brillante, intelligente e povera, la protagonista – non ancora ventunenne, come l’autrice – attraversa il romanzo con lo stesso passo impetuoso con cui s’inoltra nella campagna, superando steccati e strade piene di fango, divertendosi a scandalizzare le benpensanti con le sue battute taglienti e il suo comportamento audace. Altrettanto libera, ironica e originale, capace di godere del lato comico delle cose, l’autrice amava rappresentare se stessa. «Immaginati tutto quanto può esservi di più licenzioso e scioccante in una coppia che balla e sta seduta vicina», aveva scritto alla sorella Cassandra nel gennaio del 1796, aggiornandola sul suo flirt con Tom Lefroy.6 Elizabeth tiene testa all’orgoglioso e sprezzante Darcy, gli spezza il cuore, sistema le sorelle e alla fine trionfa, sposando il tenebroso Darcy e vivendo con lui ricca, felice e contenta, come sottolinea l’epilogo.
«Spesso la letteratura», ha scritto Hanif Kureishi ne II mio orecchio sul suo cuore, «non è tanto un riflesso dell’esperienza quanto un suo sostituto, un “invece” piuttosto che un rivivere le cose, una specie di sogno a occhi aperti. La relazione fra una vita e il suo racconto è impossibile da sbrogliare.»7 Orgoglio e pregiudizio non è un romanzo direttamente autobiografico. Gli scrittori veri sono troppo orgogliosi per ammettere che i personaggi nati dalla loro fantasia – o fantasticheria – siano semplicemente Mr X o Mrs Y. Più che a persone reali, i personaggi dei romanzi assomigliano a quelli dei sogni, indelebili, capricciosi e rivelatori come quelli. Come i sogni, anche i romanzi sono una magica trasfigurazione della nostra vita, ma più significativa di questa, perché depurata delle scorie e delle deviazioni, distillata e liberata dall’intensità dell’immaginazione. Il romanzo fu dunque un “sostituto” della vita reale. La sua stesura accompagnò la vita di Jane Austen, si sovrappose ad essa, la cambiò e ne fu cambiato. Orgoglio e pregiudizio fu la sua vita parallela, segreta – in fondo, come per tutti gli scrittori, la più vera.
Nell’agosto del 1797 il romanzo – che si intitola ancora Prime impressioni – è completato. Come d’abitudine, viene letto ai familiari e ai conoscenti. Il dialogo scintillante e le scene comiche piacciono. Piacciono i personaggi, vividi e non stereotipati. Piace tutto il romanzo. Più di molti romanzi contemporanei pubblicati e celebrati dalla stampa. Il reverendo Austen – che con le sue scarne entrate si arrabatta a mantenere un tenore di vita adeguato al nome della famiglia – intravede per la figlia tanto ricca di talento la possibilità di procurarsi un reddito. «Signori, ho in mio possesso un romanzo manoscritto in 3 voll.» – scrive il 1° novembre del 1797 all’editore Casell & Davis di Londra. «Poiché so bene quanto sia importante che un’opera di tal genere faccia la sua comparsa sotto l’egida di un nome di rispetto, è a Voi che mi rivolgo. Vi sarei molto grato se poteste farmi cortesemente sapere se la cosa vi interessa.»8 La cosa, purtroppo, non interessa.
La giovane autrice non si scoraggia – del resto non scrive per essere pubblicata – e comincia subito un altro romanzo. Qualche anno dopo, nel 1801, il reverendo Austen lascia la parrocchia di Steventon al figlio James e si ritira con la moglie e le due figlie a Bath. Il trasferimento dalla campagna alla cittadina sconvolge le abitudini della famiglia – non necessariamente in peggio. Tutti ne hanno abbastanza di Steventon. Nella nu...

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