Libro IV
Capitolo 1. Della magia in commune, e sua divisione
Magi s’appellaro gli antichi savii dell’Oriente, in particolare i Persiani, che investigavano le cose occulte di Dio e della natura, sua arte, e poi operavano cose maravigliose applicandole all’uso umano, come scrive sant’Agostino1. Ma oggi è sì avvilito questo nome che solo a’ superstiziosi amici de’ demonii si dona, perché la gente, fastidita di investigare le cose, ha cercato per breve strada dalli demonii quel che non ponno dare e fingono di potere. Così l’astrologia, maneggiata da imperiti, è venuta in abbominio; anzi li profeti oggi si chiamano barbanti e sciagurati dallo sciocco volgo. Si è forzato nondimeno il Porta studiosissimo di revocar questa scienza, ma solo istoricamente, senza render causa2; lo studio d’Imperato3 può esser base in parte di ritrovarla.
Constava di tre scienze, come Plinio narra, quest’arte, cioè della religione, medicina e astrologia4. La prima serve per purgar l’animo per farsi atto alle conoscenze e amico della prima causa, e per imporre fiducia, timorea e riverenza negli animi di quelli ai quali s’applica. La seconda per conoscere le virtù dell’erbe, pietre e metalli, e la simpatia e antipatia tra loro e con noi, e la complessione e attitudine a patire e operar dell’uomo che ha bisogno di quelli. La terza per conoscere il tempo di operare e il simbolo che con ogni cosa han le stelle fisse, erranti e li luminari5, che manifestamente sono causa delle virtù e mutazioni di tutte cose. Onde nell’Evangelio di san Matteo sono lodati quei Magi che conobbero dalla cometa la natività del monarca del mondo6, perché Dio all’investigatori delle opere sue e ammiratori mostra non solo quel che cercano, ma più grazia dona loro di arrivare a cose soprannaturali, essendosi purgati e disposti con le virtudi: tanto è benigno e amoroso l’Autor nostro.
Questa, dunque, sapienza è speculativa e pratica insieme, perché applica quel che intende all’opere utili al genere umano. Stimò Plinio che quest’arte sia a tutti naturale e che il fare miracoli penda da lei. Però mette Moisè esser stato gran mago come gli egizii Iamnes e Mambre, che pugnaro con lui7, e dice ultimamente in Cipro essersi trovata magia, imperoché san Paolo fece accecare Elimas mago, e poi lo sanò in presenza del proconsole Sergio Paolo in quell’isola8; né crede che ci siano demonii, perché Nerone investigò quelli, e cercò alcuno che gli mostrasse, e non ne vide mai uno; talché pensa la natura essere Dio infuso in ogni cosa e operare secondo la sapienza nostra, che servirsi sa delle opere sue9. Ma Trismegisto sapientissimo dice che l’uomo è un miracolo del mondo, e più nobile delli dèi o eguale, e che però abbia potestà tanta nel suo senno che può far dèi di marmo e di bronzo, e dargli anima sotto a certe costellazioni, e ricever risposta da loro10. E questo crede Porfirio e Plotino, aggiungendo che vi siano angeli buoni e perversi, come ogni dì si vede esperienza, e io n’ho visto manifesta prova non quando la cercai, ma quando pensavo ad altro11; però non è meraviglia se al curioso Nerone non sono comparsi. E quanto dicono di Simon Mago stimo esser giuoco naturale, poiché Svetonio Tranquillo narra che Nerone fè rinnovare il caso d’Icaro12.
Or io affermo esserci magia divina che l’uomo senza grazia di Dio non intende né opera, e questa fu quella di Moisè e d’altri santi gloriosi amici di Dio, che con poca scienza fecero tanti miracoli, obedendo a loro la natura come a messaggieri di Dio. Ci è magia naturale come questa delle stelle e della medicina e fisica, aggiungendo religione per dar fiducia a chi spera il favore di questa scienza; e ci è la magia diabolica di coloro che per arte del demonio fan cose mirabili a chi non l’intende, e questa senza demonio spesso si fa da cantambanchi in presenza di sciocchi; ma sono cose d’astuzia e non di sapienza. La naturale, dunque, sta in mezzo, e chi ben la esercita con pietà e riverenza del Creatore, merita spesso esser levato alla sopranaturale e partecipare con li superi. Ma chi l’abusa in ammaliare le genti, avvelenare, arrabbiare e burlare, merita che il demonio s’ingerisca, l’inganni e conduchi a perdizione.
Capitolo 2. La magia sopranaturale consistere nell’amicizia del Creatore, né potersi commandare alle creature, né far miracoli se non dalla parte di Dio
I primi uomini conoscevano Dio manifestamente per l’opera della creazione ancora fresca, e per li continui benefizii e apparizioni di quello, talché chi era più amico della prima causa era più sapiente, poiché la sapienza è lo stesso culto divino, cioè la religione, come dice Iob13. Dunque, chi meglio lo serviva, aveva più obedienza dalle creature e faceva opere miracolose. Ma perché si sdegnarono gli uomini di servire al più sapiente uomo, fecero divisione, e perché la religione non li sforzasse a star soggetti al gran sacerdote amico di Dio, introdussero nuovi dèi per ragion di stato, dicendo che quel Dio che in forma umana o d’altra spesso appariva era alcun di loro.
S’appellava comunemente Dio Iove, onde la lingua ebraica, figlia della caldea che fu la prima, ancora lo chiama Ieova. Il primo che s’usurpò nome di Iove fu Belo, descendente di Nembrot, capo della monarchia assiria e padre di Nino, dalla qual nazione, cinquant’anni da poi, si partì Abraham e seminò il culto del vero Ieova per il mondo, e gli fu per questo da Dio promessa l’eredità di tutto il mondo14, poiché egli era dell’Autor del mondo conoscitore; e così veramente è avvenuto, ché non si trova nazione che non si vanti venire da Abraham: li Maomettani per Ismaele, gli Ebrei per via d’Isaaca, i Cristiani per via di Davide, del cui tronco venne Cristo, e insertò noi a quel ceppo santo come olivastri nell’oliva15. E verrà tempo, come si vede disposto, che tutto il mondo tornerà al culto di Dio vero e sarà figlio d’Abraham, non spurio come Macone, né carnale come gli Ebreib, ma spirituale, poiché ad Abraham l’eredità dell’universo è promessa, secondo dice san Paolo16.
Non può l’uomo, dentro un pugno di cervello chiuso17, vedere né conoscere l’infinito Dio, ma Dio condescende a noi e cic dà notizia di ciò agli esteriori organi. Ma l’interno senso meglio conosce, per somiglianza caminando all’infinito, che tutti enti circonda e sostiene. Se un pesce non può tutto il mare insieme abitare, né vedere, né noi tutta l’aria ingombrare, così e meno l’anima nostra non può spandersi a conoscere l’infinito. Ma credere che egli sia, e che sia buono, santo e giusto, e che possa e voglia farci bene, più che il padre carnale, che non sa come ne genera, ma solo si piglia quel gusto venereo, incitato dallo stimolo secreto che Dio a tutti stromenti suoi pose, è necessario e ragionevole.
Or questa fede ha tanta forza che muta le cose create in quel che desideramo, non perché è fede, ma fede in Dio causa di tutte le cose, talché chi può e vuol servire tanto bene al Creatore che si confidi della sua amicizia in tutto e per tutto, e che non voglia e disvoglia cosa alcuna, se non secondo vuole e disvuole Iddio, né operi contra Dio mai, ma solo quel che Dio commanda a lui in particolare e in commune, il che fede viva si può dire e non istorica solamente, costui si può fidar dell’amicizia di quello, e mutar le cose create nei bisogni, miracolosamente; e così come un uomo, commandando all’altro sopra cui può e fida, riceve da quello il servizio, così, commandando all’altre cose, muove il loro senso sopito e lo rende a sé obediente. Vedremo un birro che commanda a tanti valenti uomini da parte del re qualche cosa e ognuno l’obedisce. Così bisogna pensare che a chi da parte di Dio può commandare secondo vuole Iddio, averà obedienza, e questo è il modo come può una causa ignobile commandare alla più nobile e far miracoli, se non esita nella fede che ha nel suo Signore. Ben disse il Petrarca:
O fidanza gentil, chi Dio ben cole,
Tutto quanto ha creato, aver soggetto,
E ’l sol fermar con semplici parole18
parlando di Iosuè.
Secondo, si ricerca la fede in quello per cui s’opera il miracolo, quando in suo beneficio e non maleficio si fa, percioché non è atto a recevere ben da Dio chi non si dispone; né disposizione senza fede si trova. Onde Cristo, avendo sanato tanta gente d’infermitadi, soggiungeva a tutti: «La tua fede t’ha fatto salvo». E nella patria sua, dice l’Evangelista che Cristo s’ammirava che non poteva fare a quella gente miracoli come agli altri, e soggiunge che ciò avveniva dall’incredulità loro che si rendevano inabili alla grazia divina19, come chi serra la fenestra al sole non può vedere. E disse una fiata: «Io farò secondo credi tu». E ad altri: «Se puoi credere tu la farò sana, perché al credente ogni cosa è possibile»20. Ma questo s’intende secondo il modo ordinario de’ miracoli, perché può Dio sanare per mezzo d’un uomo tristo che ha solo fede istorica o nulla, e può sanare chi non crede in Dio e mutar gli elementi e far ogni cosa che contraddizione non implica, quando è bisogno per sua gloria, e li malefìci miracolosi fa a chi nol crede, come a Faraone21.
E spesso aveva fede l’operante solo, come...