IX. La Cina, l’altra patria delle paste alimentari
Ci piace aprire questo capitolo sulla Cina con l’«Ode ai bing», che più volte avremo modo di citare nel testo. È dovuta a Shu Xi (?264-?304), grande letterato molto ammirato dai contemporanei. Nel 281 egli fu incaricato di compilare gli «Annali scritti sul bambù», una cronaca storica del regno di Wei nello Shanxi – perduta ma poi riscoperta in una tomba – che registrava i fatti accaduti fra il terzo millennio e il 299 a.C. Shu Xi ha scritto anche odi consacrate a temi diversi come il piacere della lettura, l’arte di vivere lontano dal mondo, la miseria contadina, la promozione dell’agricoltura, fra cui questa Ode ai bing, la più lunga di tutte:
Nei trattati dei riti Liji e Zhouli, si dice che l’imperatore mangiava grano nel secondo mese di primavera, e che i panieri dell’offerta del mattino contenessero grano cotto. I bing tuttavia non figurano fra i cibi menzionati nel capitolo Neize del Liji. Benché si alluda al consumo di grano, i bing non esistevano ancora. Il loro avvento è dunque un fenomeno più recente.
Che si tratti di angan, di juru e siffatti bignè
Delle paste dette lingue di cane, orecchie di porcellino
Lacci di pugnale, coppette
O anche butou e candele
Alcune sono state battezzate nei vicoli
Altre han foggia e fattura d’altre contrade.
Al principio del terzo mese di primavera
Quando lo yin fa posto allo yang
I venti freddi si smorzano
E il calore non è ancora canicola
È tempo d’invitare gli amici a banchetto
Di preparare i mantou.
Quando il dio del fuoco governa la terra
E lo yang è al suo apogeo
Vestiti di tela leggera, dissetati con acqua ghiaccia
Cercando all’ombra frescura
I bing che allora si mangiano
Sono dei bozhuang.
Quando il vento d’autunno diviene violento
E Antares si muove verso Occidente
Bestie ed uccelli rigonfiano pelo e piume
Gli alberi si spogliano del loro manto
I piattini si gustan meglio caldi
Ed è saggio offrire qisou.
Quando l’inverno è giunto al suo culmine
Di prima mattina le brinate
Fanno gelare la goccia al naso
Agghiacciando respiro e fiato
Per calmare i brividi e la fame
Nulla vale i tangbing.
Tali preparati hanno ognuno il suo tempo
Chi lo rispetta ne trae profitto
Chi ne scompiglia l’ordine
Non può godere delle loro qualità.
Soltanto i laowan
Dall’inverno all’estate
Si preparano tutto l’anno
E s’addicono alle quattro stagioni
Senza inconvenienti.
Farina due volte stacciata
Neve di polvere bianca in volo.
Impasto lavorato con acqua e brodo
Appiccicoso, elastico, ora luccica,
Costine di maiale e coscio d’agnello per la farcia
Grasso e carne in giusta parte,
Sezionati minutamente
Come la ghiaia o le perle di una collana
Rizoma di zenzero e bulbo di cipolla,
Vengon rifilati in bastoncini sottili
Cosparsi di cannella e d’asaro triti
D’origano acquatico e di pepe cinese
Al tutto unendo il sale e il condimento
Intimamente in una sola massa.
Poi sul fuoco l’acqua è messa a bollire.
Nell’attesa che s’alzi il vapore
Rimboccata la veste, ritratte le maniche
S’impasta, si forma, si sfiora, si stira
Dalle dita finalmente la pasta si stacca
E le palme in ogni verso la spianan di fino.
Nella fretta, nel trambusto
Le stelle si separano e casca la grandine,
Non c’è traccia di pasta superflua sui bing.
Bene allineati, di grande bellezza
Senza rompersi la pasta è diafana,
Nel gonfiore traspare la farcia
Tenera come serica borra di primavera
Bianca come è la seta d’autunno.
In nuvola fugge e s’addensa il vapore,
S’invola il profumo e si perde lontano,
Fra gli effluvi l’acquolina viene al bighellone
Che mastica a vuoto, i paggi si lanciano occhiate oblique,
Nel mentre, leccandosi le labbra, facchini
E servi con la bocca asciutta deglutiscono in coro.
Li afferrano con bacchette d’avorio
Per tuffarli in una salsa nera
Coi muscoli tesi di tigri in agguato
Ginocchio contro ginocchio, spalla a spalla.
Appena presentati i piatti son vuoti,
I cuochi sfilano con foga crescente
Le lor mani non sono ancor libere
Che altre richieste giungono.
Labbra e denti all’unisono
La bocca inghiotte con facilità
Tre volte tornano a servire
Perché il turbine ceda placato.
Come hanno fatto dei felici mangiatori di pappa di miglio a trasformarsi in golosi consumatori di pasta a base di farina di grano? Il problema si pone, in realtà, perché il passaggio dal consumo di una specie di cereale a un’altra, e il passaggio dal chicco di cereale alla sua farina, non è affatto scontato, contrariamente a ciò che si potrebbe immaginare. I cinesi, del resto, sono rimasti dei mangiatori di miglio anche quando il grano era già conosciuto nel bacino del Fiume Giallo da molti secoli. In Cina, dunque, la storia degli alimenti a base di farina di grano è in primo luogo quella della lenta diffusione di un cereale poco conosciuto: da Ovest a Est per quasi 3000 anni1, e poi, a partire dalla dinastia degli Han posteriori (23-220 d.C.), da Nord a Sud. Cereale straniero, il grano in Cina venne peraltro confuso fino al I secolo a.C. con l’orzo, altro cereale non autoctono, sotto lo stesso nome mai. Nel periodo in cui si comincia a fare una distinzione tra questi due cereali, inoltre, il vocabolo bing fa la sua comparsa in qualche raro testo per designare una nuova categoria alimentare probabilmente a base di farina di grano. Le attestazioni di questo termine si moltiplicheranno fino al III secolo d.C., quando nasce una vera e propria civiltà dei bing. La parola bing deve però essere intesa come un termine generico che designa tutti i cibi a base di un impasto di farina di grano, incluse alcune paste alimentari, ma anche focacce e pani.
Per più di dieci secoli, poi, il solo vocabolo bing designerà tutti i cibi a base di grano aventi una forma definita, e diverrà inoltre il termine di riferimento per ogni tipo di preparazione a base di cereali, o semplicemente alimentare, atta ad assumere una forma identificabile. In realtà, la capacità propria della farina di grano a produrre, grazie alla sua percentuale di glutine, un legame profondo con l’acqua e in particolare una pasta modellabile e foggiabile, è stata determinante per il notevole successo di cui hanno goduto i bing nel corso dei primi secoli dell’era cristiana. Nel VI secolo, le prime ricette di bing, e soprattutto quelle delle paste alimentari, testimoniano già di una padronanza di questa materia specifica e di originali tecniche di fabbricazione: in particolare l’immersione dell’impasto nell’acqua, che permette una parziale eliminazione dell’amido e, di conseguenza, una più grande elasticità della pasta!
Col tempo, l’insieme dei bing si è talmente diversificato che, a partire dalla fine dei Tang (X secolo), il termine perde progressivamente il suo senso generico per applicarsi solo alle focacce, mentre le paste alimentari si chiamano ormai mian, lo stesso termine che significa «farina di grano». Considerata come una specialità del nord della Cina, la pasta di farina di grano sarà in seguito largamente adottata lungo tutto il bacino dello Yangzi, dopo gli sconvolgimenti politici conseguenti alla pressione esercitata dai mongoli tra il X secolo e 1179, data della caduta della capitale. Il repertorio delle paste alimentari si arricchisce considerevolmente nell’ibridazione culinaria che ne risulta. Inoltre, esse diventano un cibo più raffinato che, per essere fabbricato, richiede nuove tecniche con cui realizzare sottili sfoglie di pasta; parimenti, le preparazioni culinarie, ormai estremamente variate, traggono profitto dai migliori ingredienti che crescono nel clima meridionale. A partire da quest’epoca, e fino alla fine della dinastia Yuan e all’inizio di quella dei Ming (1368-1644), dopo l’integrazione in alcuni trattati culinari di ricette straniere, soprattutto arabe – fatto che testimonia di un’apertura agli usi stranieri incoraggiata dalla corte mongola –, la civiltà della pasta alimentare non conoscerà altri sconvolgimenti importanti. Durante la dinastia Ming la pasta, divenuta popolare, si diffonde su tutto il territorio cinese. Ogni regione svilupperà le proprie specialità e, fatta eccezione per qualche formato molto particolare la cui fama varcherà i confini provinciali, le paste alimentari apparterranno ormai all’ambito della cucina popolare o gastronomica locale. La storia della pasta in Cina potrebbe fermarsi qui, poiché la sua fabbricazione non ha dato luogo, come in Italia, a un’industrializzazione, ed è rimasta un affare domestico o artigianale fino al XX secolo.
La tradizione della pastificazione cinese riposa, tuttavia, su tre particolarità essenziali che derivano dalla sua storia antica. 1) La Cina è il centro di una civiltà unica della pasta fresca, e l’espressione «pasta fresca» deve essere intesa nel suo senso più letterale: le paste alimentari sono concepite spesso e volentieri come preparazioni dell’ultimo minuto, cotte immediatamente dopo la loro confezione, se non mentre le si fabbrica. Il grano duro era sconosciuto in Cina, cosa che non ha certo favorito lo sviluppo di una vera e propria produzione di pasta secca. 2) È sicuramente in Cina, e molto presto, che il glutine è stato separato per la prima volta dalla farina di grano e poi, per la sua elasticità e le sue qualità nutrizionali, n’è è stato sviluppato l’uso, soprattutto nella cucina vegetariana. 3) Sono ancora i cinesi a...