
- 192 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Nel corso del Novecento la danza è stata sottoposta ad attenta e minuziosa indagine e a un radicale ripensamento. Se si esamina il progredire nel corso del secolo delle idee sull'uomo e sulle sue possibilità di comunicazione e di espressione attraverso il movimento, emergono le caratteristiche e le peculiarità della danza come esperienza sociale e di partecipazione rituale collettiva, come evento artistico e realtà spettacolare. Il volume ripercorre la storia della danza moderna e contemporanea dal punto di vista sociale e fenomenologico, dai grandi precursori all'avanguardia degli ultimi anni, e ne mette in luce la dialettica costante e produttiva con le prassi teatrali, le tecniche e le pedagogie del movimento.
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Informazioni
Categoria
Storia e critica del teatroCapitolo sesto. Videodanza, danza digitale, «environment dance»
La danza – come abbiamo avuto modo di constatare ampiamente – è l’arte del movimento formale del corpo nello spazio e nel tempo. Proprio per queste sue caratteristiche particolari è stata, storicamente, un’interlocutrice privilegiata per le tecnologie della visione: il cinema prima, la televisione poi, i media informatici oggi si sono messi quasi naturalmente in relazione con le peculiarità costitutive della danza, che sono il dinamismo, la velocità, il ritmo. L’immagine, infatti, fra i fattori strutturali della cultura contemporanea, rappresenta uno dei veicoli privilegiati per la comunicazione e in particolare per quella del corpo danzante1.
All’interno dello stesso universo mass-mediatico, parlare di danza in video (più precisamente di videodanza) e di danza digitale significa fare riferimento a ordini di cose differenti, disposte – tra l’altro anche in termini cronologici – a partire dal fenomeno più storico, la videodanza, a quelli più attuali: l’ambiente coreografico interattivo, la web-dance, l’interfaccia-mondo2 della realtà virtuale.
Il video di danza, come prodotto chiuso, come testo audiovisivo esperibile e decodificabile attraverso la visione e l’ascolto, permessi dai normali e più tradizionali mezzi di riproduzione (videoregistratore, lettore Dvd, ecc.), ripropone una fruizione di tipo frontale e passivo, per certi aspetti in apparenza della stessa natura dell’arte coreica tradizionale, in realtà assai distante dalla presa diretta sul mondo. Quando la danza è parte integrante dell’ambiente di un evento performativo, nel quale interagiscono immagini video, realtà virtuale, suoni sintetizzati, rielaborazioni digitali del movimento, in differita o in tempo reale, ci troviamo all’interno di un’esperienza percettiva, che mette in gioco più direttamente la corporeità: se non quella del performer, almeno quella di uno spettatore certamente più attivo, che in tali contesti ambientali diviene a sua volta protagonista di un’azione ed è parte in causa e motore del processo artistico e creativo.
Al di là del ritorno del corpo percettivo del fruitore nell’esperienza dell’environment, è importante sottolineare alcune conseguenze teoriche di questo percorso storico della danza. Se la videodanza, infatti, ha proposto, e continua a proporre, una nuova creatività nell’ambito della ricerca coreografica, il computer ha contribuito a una ulteriore smaterializzazione della danza e del danzatore. Nel primo caso si coglie ancora la presenza, per quanto differita nel passato, di un corpo sottoposto a ripresa ed eventualmente a post-produzione deformante, ma pur sempre di una corporeità reale transcodificata nell’informazione audiovisiva; nel caso, invece, di una danza frutto unicamente di un processo digitale di simulazione (come nel caso della web-dance3, ad esempio), la presenza diviene virtuale e il corpo non è più quello di un essere al mondo esistenzialmente situato, di una realtà biografica e biologica identificabile e incontrabile: nella migliore delle ipotesi, quello che lo spettatore intercetta è un insieme proteiforme di sistemi e protesi, che possono ricondurre a un centro intenzionale, portatore di senso, solo se, «attaccata» a queste protesi, si trova una corporeità vivente4.
In una tale situazione in continua mutazione, la danza partecipa del mutamento in atto, proprio attraverso il contatto, spesso molto creativo e stimolante, con le nuove tecnologie. Parallelamente alla nascita di nuovi prodotti della visione o della partecipazione ambientale, esistono delle ibridazioni di linguaggi5. Assistiamo a una riorganizzazione del sensorio dell’uomo e della sua percezione del mondo, che permette la fruizione di questi stessi nuovi prodotti linguistici in una continua ridefinizione delle convenzioni comunicative e percettive e dei confini fra realtà, virtualità ed esperienza6.
Danza e video hanno, dunque, storicamente instaurato un rapporto prevedibile e inevitabile: l’arte del corpo in movimento nello spazio e nel tempo, come tale, fin dalle origini del cinema, è oggetto privilegiato dello sguardo della macchina da presa e, a partire dall’invenzione della televisione, anche dell’obiettivo della telecamera. Sul versante della produzione coreografica e della sua conservazione, gli artisti hanno cominciato a capire che gli strumenti più adatti per la persistenza nel tempo delle loro effimere evoluzioni performative, e per la divulgazione delle stesse come oggetto d’arte, erano proprio il cinema, la televisione e il video.
Televisione e video non sono, tuttavia, lo stesso medium. La prima è un flusso di informazioni continuo ed eterogeneo, una sorta di contenitore che non è certo indifferente al suo contenuto, ma inglobandolo lo rimodella nei termini della produzione di un discorso. Non tutti i formati video sono ugualmente adatti alla trasmissione televisiva, proprio perché la chiusura di senso dei prodotti dell’industria culturale (sia quelli di provenienza «indipendente» – e quindi connotati da una etichetta marcatamente artistica – che quelli finalizzati al mercato) dipende anche da un certo tipo di fruizione rispetto a un altro. La «lettura» di un video di danza nel contesto di una proiezione domestica (con l’uso personale dei mezzi di riproduzione) è certamente diversa da quella della programmazione televisiva entro un determinato network: nel primo caso il prodotto è consumato nella consapevolezza dei punti di vista sulla realtà e delle visioni del mondo che esso mette in gioco, nel secondo le regole aziendali e politiche della committenza, cui i messaggi fanno riferimento, sono dissimulate dall’apparente pluralità ed eterogeneità del flusso informativo, sempre presentato come autorevole e oggettivo, in realtà per nulla ingenuo e neutrale7.
È interessante, pertanto, cercare di individuare le caratteristiche dei prodotti risultanti dall’incontro fra danza e televisione e fra danza e video. Si tratta di incontri diversi, come abbiamo accennato, in quanto il mezzo non si è limitato, nel corso del tempo, a essere uno strumento di diffusione e di amplificazione, ma è diventato per la danza un elemento a essa strettamente connesso secondo varie modalità.
6.1. Danza e televisione
Cosa accade quando il medium televisivo incontra la danza?
Se la danza è il luogo di concorso di molteplici sistemi di significazione, che realizzano il fine della loro vicenda comunicativa nella «messa in scena» di fronte a un gruppo di recettori, la specificità dell’evento spettacolare sta dunque proprio nella sua «messa in scena»8. La fruizione dal vivo e la fruizione televisiva sono perciò molto diverse. La situazione performativa è un accadimento ritagliato nello spazio e nel tempo, crea una nuova unità di spazio e di tempo e implica un atto volontario; la danza alla televisione, invece, non ha alcuna caratteristica di evento e si contestualizza in un flusso continuo di immagini e di informazioni, talvolta anche contemporanee, grazie alle tecnologie che permettono di vedere più trasmissioni nello stesso momento. Tale tipo di fruizione è feriale (lo spettatore è nella sua poltrona a casa sua), perché pone l’atto della visione sul piano di tutte le altre azioni quotidiane. Mentre il pubblico live può intervenire con una risposta implicita o esplicita a quanto vede rappresentato, provocando una modificazione sul palcoscenico, analogamente a quanto accade nella comunicazione interpersonale; nel caso della televisione il flusso comunicativo è inalterabile dallo spettatore sia dal punto di vista del tempo che della significazione.
Tanto la televisione quanto il teatro di danza sono processi produttivi di senso che si estrinsecano in testi comunicativi, tuttavia quando la TV media un testo coreografico produce un nuovo testo, diverso da quello di partenza. Non esiste l’innocenza tecnica e la ripresa modifica inevitabilmente il testo spettacolare. Nell’incontro i due mezzi non risultano più distinti e perdono la loro identità9.
Tuttavia è possibile costruire un rapporto reciprocamente rispettoso fra televisione e danza10. Quando la prima svolge attività informativa e di diffusione culturale nei confronti della seconda, anche con la messa in onda di opere di videodanza, la relazione fra i due media diventa proficua, nonostante i codici del teatro e della danza siano difficili ed elitari. In questo caso la televisione parla di danza, senza rinunciare alle proprie caratteristiche. In Italia, l’esempio più significativo, da questo punto di vista, è quello di Maratona d’estate, storico programma ideato e condotto da Vittoria Ottolenghi, nato nel 1978 e proseguito con numerose edizioni fino agli anni Novanta11. Altrettanto noto è il caso della televisione del Regno Unito che ha avuto un ruolo fondamentale nei confronti della danza (britannica e non solo), al servizio della quale svolge ormai da molti anni un’opera capillare di divulgazione, documentazione, informazione ed educazione del gusto.
Quando l’incontro fra apparato televisivo e arte della danza rimane entro gli obiettivi testé indicati produce una tipologia che si dispone lungo l’asse del tempo....
Indice dei contenuti
- Introduzione
- Capitolo primo. La nascita della danza moderna
- Capitolo secondo. Il corpo in movimento: categorie estetiche e strumenti critici
- Capitolo terzo. La danza di un corpo nuovo
- Capitolo quarto. La danza nel secondo Novecento
- Capitolo quinto. Le etichette critiche
- Capitolo sesto. Videodanza, danza digitale, «environment dance»