I sensi e il paesaggio
Lo sguardo e il paesaggio
Il carattere eminentemente visivo del paesaggio sembra inscritto nella stessa origine del termine che, come è noto, è legata alla pittura, dunque ad un’arte della vista. La parola ‘paesaggio’, infatti, nasce nelle lingue romanze per indicare non il territorio reale, ma la rappresentazione pittorica del territorio, la sua trasposizione in immagine: la veduta. Verso la fine del Quattrocento, in Francia, nasce il termine paysage, per indicare un dipinto di paesaggio: non un coin de nature, come penseremmo oggi, ma la sua raffigurazione. Il territorio reale è il pays; quello rappresentato è paysage. Il termine è già registrato, in questo senso specifico, in un dizionario francese della metà del Cinquecento e dalla Francia si diffonde in Italia, dove però a lungo convive con il termine ‘paese’ impiegato nell’accezione pittorica di ‘dipinto di paesaggio’, in Spagna e in Portogallo. Nelle lingue anglosassoni assistiamo a un fenomeno diverso, perché in esse è la parola che indica una porzione di territorio, Landskap/Landschaft in neerlandese e in tedesco, che passa, più o meno nello stesso periodo, a indicare il paesaggio dipinto. Ma il risultato, alla fine, è lo stesso: il paesaggio indica una porzione di natura considerata nel suo aspetto visivo e insieme la rappresentazione di questo aspetto in una veduta pittorica. In tedesco, già nel 1537 si può parlare di un «paesaggio vicino e lontano» in relazione a quel che si può vedere da una torre; nel 1650 il dizionario Francese del Furetière riformula il termine ‘paesaggio’ come «aspect d’un pays», e in termini simili, un secolo dopo, in Inghilterra (dove il termine landscape come pittura di paesaggio arriva tardi rispetto al Continente) si parla di paesaggio come dell’«Aspect of a country».
Questa origine del termine si è poi cristallizzata nella convinzione che la rappresentazione pittorica sia all’origine del paesaggio reale, nel senso che noi impareremmo a vedere dei paesaggi in natura perché proiettiamo sulla natura stessa quello che ci hanno insegnato a vedere i pittori di paesaggio, un’idea che è divenuta popolare attraverso il paradosso di Wilde, secondo il quale la natura imita l’arte ed è stato Turner con i suoi quadri che ci ha insegnato a vedere le nebbie di Londra; prima di lui le nebbie non esistevano perché non sapevamo vederle:
La natura non è una grande madre che ci ha partoriti. È la nostra creazione. Le cose sono perché noi le vediamo, e quello che vediamo, e come lo vediamo, dipende dalle arti che ci hanno influenzati. Guardare una cosa è molto diverso dal vederla. Non si vede niente finché non se ne è vista la bellezza. Allora, e soltanto allora, la cosa comincia a esistere. Al momento attuale la gente vede delle nebbie non perché vi siano delle nebbie, ma perché poeti e pittori le hanno insegnato la misteriosa grazia di tali effetti. Può darsi che vi siano state nebbie per dei secoli, a Londra. Arrivo a dire che vi furono. Ma nessuno le ha mai viste, e così noi non ne sappiamo niente. Non sono esistite finché non le ha inventate l’arte.
Ma in realtà si tratta di un’idea antica, perché già nel Cinquecento Pietro Aretino poteva assimilare la veduta della laguna di Venezia a un quadro di Tiziano:
appoggiate le braccia sul piano della cornice de la finestra mi diedi a riguardare il mirabile spettacolo. Rivolgo gli occhi al cielo, il quale, da che Dio lo creò, non fu mai abbellito da così vaga pittura di ombre e di lumi. Onde l’aria era tal quale vorrebbero esprimerla coloro che hanno invidia a voi per non essere voi. [...] con che bella tratteggiatura i pennelli naturali spingevano l’aria in là , discostandola dai palazzi con il modo che la discosta il Vecellio nel far dei paesi! La natura con i chiari e con gli scuri sfondava e rilevava in maniera quel che le pareva di sfondare e rilevare, che io, che so come il vostro pennello è spirito degli spiriti, e tre e quattro volte esclamai: ‘Oh Tiziano, dove siete mo’?
Le teorie pittoriche del paesaggio sono del resto ancora presenti, anche se ormai ci appaiono invecchiate, nel nostro dibattito culturale. Per esempio nel Court traité du Paysage di Alain Roger, che è del 1997, è il paesaggio dipinto a guidare la nostra percezione del paesaggio reale, di modo che il «pays» diventa «paysage» mediante la proiezione del paesaggio dipinto, e d’altra parte il giardinaggio può essere concepito come «esecuzione di quadri paesaggistici sul terreno». Il legame tra paesaggio reale e pittura di paesaggio, del resto, era stato recepito anche nella nostra legislazione paesaggistica, per esempio nella cosiddetta Legge Bottai del 1939, che sottoponeva a vincolo i paesaggi reali considerati come pitture di paesaggio e i punti di belvedere:
sono soggette alla presente legge a causa del loro notevole interesse pubblico: [...] le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di tali bellezze.
Ma anche una volta che ci si sia liberati da una concezione che sovrappone il paesaggio dipinto al paesaggio reale, il legame inaggirabile con l’ambito della vista rimane un punto fermo delle concezioni paesaggistiche, come ci ricorda Michael Jakob nel suo Paesaggio e letteratura: «Dove non vengano sviluppati modelli visivi in grado di catturare la natura da un punto di vista soggettivo, non può esservi paesaggio. La grammatica e il lessico del paesaggio prescritti dalla poesia e dalla pittura implicano una retorica del vedere collegata alla percezione prospettivistica della natura».
Macchine ottiche
Nulla lo dimostra meglio del fatto che il nostro rapporto con il paesaggio è stato mediato, lungo le varie epoche storiche, da dispositivi visivi e vere e proprie macchine ottiche. Se la prospettiva lineare è un modo per leggere lo spazio e rappresentarlo, allora il legame tra essa e la pittura di paesaggio è essenziale – e in effetti si tratta di invenzioni pressoché coeve – e nei primi esempi di pittura di paesaggio (la Madonna del Cancelliere Rolin di van Eyck al Louvre o San Luca che dipinge la Vergine di Van der Weyden del Museum of Fine Arts di Boston) la costruzione prospettica è essenziale per ‘avviare’ a vedere il paesaggio che costituis...