Quando la certezza di essere ogni realtà è elevata a verità, la ragione è spirito, ed è consapevole di se stessa come del proprio mondo, e del mondo come di se stessa. – Il divenire dello spirito è stato indicato dal movimento immediatamente precedente, in cui l’oggetto della coscienza, la categoria pura, si è elevato a concetto della ragione. Nella ragione osservatrice questa pura unità fra l’Io e l’essere, fra l’essere-per-sé e l’essere-in-sé, è determinata come l’in-sé, ossia come essere, e la coscienza della ragione la trova1. Ma la verità dell’osservare consiste piuttosto nel levare questo istinto del trovare immediatamente, questa esistenza inconsapevole della ragione. La categoria2 intuita – la cosa-oggetto trovata – accede alla coscienza come l’essere-per-sé dell’Io, il quale ora, nell’essenza oggettiva, sa se stesso come il Sé. Ma questa determinazione della categoria, intesa come l’essere-per-sé opposto all’essere-in-sé, è altrettanto unilaterale, ed è un momento che leva se stesso. Dunque, per la coscienza la categoria viene determinata quale essa è nella sua verità universale, | [377] come essenza in-sé- e per-sé-essente. Questa determinazione ancora astratta, che costituisce la cosa stessa, dapprima non è che l’essenza spirituale, e la sua coscienza ne è soltanto un sapere formale, che si attarda vagando fra i vari tipi di contenuto di tale essenza; di fatto, questa coscienza, in quanto singola, è ancora differente dalla sostanza: essa o fornisce leggi arbitrarie, oppure ha opinione d’avere nel suo sapere in quanto tale le leggi, per come esse sono in-sé e per-sé; e ritiene di essere la potenza che le giudica. – Detto altrimenti, se si considera tutto ciò dal punto di vista della sostanza, quest’ultima costituisce l’essenza spirituale in-sé- e per-sé-essente, che non è ancora coscienza di se stessa. – Ma quell’essenza che è in-sé e per-sé, e che nel contempo in quanto coscienza si considera effettiva e si rappresenta a se stessa, è lo spirito.
La sua essenza spirituale è già stata designata come la sostanza etica; lo spirito però è la realtà effettiva etica. Lo spirito è il Sé della coscienza effettiva, a cui esso viene a contrapporsi; o piuttosto, è quella coscienza che viene a contrapporsi a se stessa come mondo oggettivo ed effettivo; un mondo che però ha perduto per il Sé ogni significato d’estraneità, cosí come il Sé ha perduto ogni significato di essere-per-sé separato, dipendente o indipendente dal mondo. Lo spirito è la sostanza e l’essenza universale permanente, uguale a se stessa; costituisce il fondamento e il punto di partenza inconcusso e indissolubile del fare di tutti, e ne è anche lo scopo e la meta, essendo l’in-sé pensato d’ogni autocoscienza. – Questa sostanza è, del pari, l’opera universale che, | [378] attraverso il fare di tutti e di ciascuno, si produce come loro unità e uguaglianza: quella sostanza infatti è l’essere-per-sé, il Sé, il fare. In quanto è la sostanza, lo spirito è la giusta e inflessibile uguaglianza a se stesso; ma in quanto essere-per-sé, la sostanza è l’essenza che si è dissolta, l’essenza buona che si sacrifica, nella quale ciascuno compie la propria opera, lacerando l’essere universale e prendendosene la propria parte. Questa dissoluzione e questa singolarizzazione dell’essenza costituiscono appunto il momento del fare e del Sé di tutti: si tratta del movimento e dell’anima della sostanza, e dell’essenza universale portata a effetto. Proprio in quanto si tratta dell’essere dissoltosi nel Sé, la sostanza non è l’essenza morta, ma è effettiva e vivente.
Con ciò, lo spirito è l’essenza reale assoluta che sostiene se stessa. Tutte le figure della coscienza presentatesi fino a questo punto sono astrazioni di esso; in tali astrazioni lo spirito si analizza, differenzia i propri momenti e indugia presso ciascuno di essi singolarmente. Questo isolare tali momenti ha per presupposto e per sussistenza lo spirito stesso; ossia, tale isolamento esiste soltanto entro lo spirito, il quale è l’esistenza. I momenti, cosí isolati, hanno la parvenza di essere come tali; ma il loro ulteriore svolgimento e ritorno nel loro fondamento e nella loro essenza ha mostrato come essi siano soltanto momenti, ossia grandezze dileguanti; e tale essenza, appunto, è questo movimento in cui quei momenti si dissolvono. Una volta che sia posto lo spirito, ossia la riflessione di quei momenti entro se stessi, la nostra riflessione può qui ricordarli brevemente sotto questo aspetto: | [379] tali momenti erano coscienza, autocoscienza e ragione. Lo spirito è dunque coscienza in generale, che comprende entro di sé la certezza sensibile, la percezione e l’intelletto; lo è nella misura in cui, analizzando se stesso, tiene fermo il momento secondo cui si considera realtà effettiva essente al modo dell’oggettività, e astrae dal fatto che questa realtà effettiva costituisce il suo proprio essere-per-sé. Quando lo spirito, al contrario, tiene fermo l’altro momento dell’analisi, secondo cui il suo oggetto è costituito dal suo essere-per-sé, esso è allora autocoscienza. Ma come coscienza immediata dell’essere-in-sé e dell’essere-per-sé, come unità della coscienza e dell’autocoscienza, lo spirito è quella coscienza che ha la ragione. È la coscienza che, come denota quell’avere, ha l’oggetto come in-sé determinato razionalmente, ossia dal valore della categoria; ma lo ha in una maniera tale che, per la coscienza propria dell’oggetto, quest’ultimo non ha ancora il valore della categoria. Lo spirito è quella coscienza dalla cui considerazione noi appunto proveniamo. Quando finalmente lo spirito intuisce che la ragione, che esso ha, è proprio la ragione, ovvero la intuisce come la ragione che entro di lui è effettiva e che costituisce il suo mondo, ecco che lo spirito è nella sua verità; esso è lo spirito, è l’essenza etica effettiva.
Nella misura in cui lo spirito è la verità immediata, esso è la vita etica d’un popolo: l’individuo che è un mondo. Lo spirito deve allora procedere fino alla coscienza di ciò che esso è immediatamente; deve levare la bella vita etica e raggiungere, | [380] attraverso una serie di figure, il sapere di se stesso. Queste figure però si differenziano dalle precedenti perché si tratta di spiriti reali, realtà effettive vere e proprie, e anziché essere figure solamente della coscienza, sono figure d’un mondo.
Il mondo etico vivente è lo spirito nella sua verità; innanzitutto, quando esso giunge al sapere astratto della propria essenza, l’eticità declina nell’universalità formale del diritto. Lo spirito, ormai scisso entro se stesso, inscrive nel suo elemento oggettivo, come in una dura realtà effettiva, il primo dei suoi mondi, il regno della cultura, e vi contrappone, nell’elemento del pensiero, il mondo della fede, il regno dell’essenza. Emergendo da questa perdita di se stesso, però, lo spirito ritorna entro di sé e coglie entrambi quei mondi con il concetto; essi vengono allora gettati nello scompiglio e rivoluzionati dall’intelligenza3 e dal suo propagarsi, l’illuminismo; e il regno la cui estensione si era ripartita fra l’aldiqua e l’aldilà ritorna nell’autocoscienza. Quest’ultima, nella moralità, a questo punto coglie se stessa come l’essenzialità, e coglie l’essenza come Sé effettivo; non pone piú il proprio mondo e il fondamento di esso al di fuori di sé, ma lascia che tutto arda entro di sé fino alla consumazione; e come animo coscienzioso l’autocoscienza è lo spirito certo di se stesso. |
[381] Il mondo etico, il mondo lacerato fra l’aldiqua e l’aldilà, e la visione morale del mondo sono allora gli spiriti in cui s’andranno a sviluppare il movimento e il ritorno entro il Sé, semplice e per-sé essente, dello spirito; e come meta e risultato di quel movimento, a emergere sarà l’autocoscienza effettiva dello spirito assoluto. | [382]
A. LO SPIRITO VERO,
L’ETICITÀ.
Lo spirito, nella sua verità semplice, è coscienza, e ribadisce l’esteriorità reciproca dei suoi momenti. L’azione opera in esso una separazione fra la sostanza e la coscienza di questa, per poi suddividere ulteriormente tanto la sostanza quanto la coscienza. La sostanza, in quanto essenza universale e in quanto scopo, viene a contrapporsi a se stessa come realtà effettiva singolarizzata; qui il termine medio infinito è l’autocoscienza, la quale in sé è unità di sé e della sostanza, e ora lo diviene anche per sé. Essa unifica l’essenza universale e la sua realtà effettiva singolarizzata: da una parte eleva la realtà effettiva all’essenza, agendo eticamente; dall’altra abbassa l’essenza alla realtà effettiva, dando attuazione allo scopo, cioè alla sostanza solamente pensata. L’autocoscienza produce come propria opera, e con ciò come realtà effettiva, l’unità fra il proprio Sé e la sostanza.
Nel disgiungersi della coscienza, la sostanza semplice da una parte ha mantenuto l’antitesi rispetto all’autocoscienza; mentre, dall’altra, presenta altrettanto in se stessa la natura propria della coscienza, | [383] che è di differenziarsi al suo interno come mondo articolato nelle sue masse. La spaccatura della sostanza genera dunque un’essenza etica differenziata: una legge umana e una legge divina. Del pari, l’autocoscienza che le si viene contrapponendo prende le parti, secondo la propria essenza, di una sola fra queste due potenze; e, in quanto sapere, si suddivide a sua volta fra l’ignoranza circa il proprio fare e il sapere a esso relativo; un sapere che pertanto è ingannevole. L’autocoscienza, dunque, nel proprio atto sperimenta la contraddizione fra quelle potenze nelle quali la sostanza s’è scissa, e la loro distruzione reciproca; cosí come sperimenta pure la contraddizione che sussiste fra il suo sapere relativo all’eticità del proprio agire e ciò che è etico in sé e per sé; in tal modo, essa trova il suo proprio declino. Di fatto, però, la sostanza etica, attraverso questo movimento, è divenuta autocoscienza effettiva, ossia questo Sé è divenuto in sé- e per sé-essente: mentre, in tutto ciò, a sprofondare è stata proprio l’eticità.
a) Il mondo etico, la legge umana e la legge divina, il maschio e la femmina.
La sostanza semplice dello spirito si ripartisce in quanto coscienza. Ossia, come la coscienza dell’essere astratto, dell’essere sensibile, trapassa nella percezione, | [384] cosí fa anche la certezza immediata dell’essere etico reale; e come per la percezione sensibile l’essere semplice diviene una cosa-oggetto dalle molte proprietà, tale è per la percezione etica il caso dell’agire, che è una realtà effettiva dai molti rapporti etici. Ma se la coscienza sensibile vedeva la superflua pluralità delle proprietà raccogliersi nell’antitesi essenziale fra singolarità e universalità, ancor piú agli occhi della coscienza etica, che è la coscienza sostanziale purificata, la pluralità dei momenti etici diviene quell’entità duplice che è costituita da una legge della singolarità e da una legge dell’universalità. Ciascuna di queste masse della sostanza etica rimane però il tutto dello spirito; se nella percezione sensibile le cose-oggetto non hanno altra sostanza che le due determinazioni della singolarità e dell’universalità, qui tali determinazioni esprimono solamente l’antitesi superficiale dei due lati l’uno di fronte all’altro.
Nell’essenza che noi prendiamo qui in considerazione, la singolarità ha il significato dell’autocoscienza in generale, non quello d’una singola coscienza accidentale. La sostanza etica è allora, in questa determinazione, la sostanza effettiva, lo spirito assoluto realizzato nella pluralità della coscienza esistente. Lo spirito è l’essenza comunitaria che per noi, quando abbiamo fatto ingresso nella figurazione pratica della ragione in generale, era l’essenza assoluta; e che qui è comparsa nella sua verità, per se stessa, come essenza etica consapevole, e come l’essenza per la coscienza che noi | [385] abbiamo per oggetto. Tale comunità è spirito che è per sé – in quanto si mantiene quale parvenza riflessa4 negli individui –, e che è in sé ossia sostanza – in quanto mantiene tali individui entro di sé. Come sostanza effettiva, lo spirito è un popolo; come coscienza effettiva, è cittadino di quel popolo. Questa coscienza del cittadino ha la propria essenza nello spirito semplice, mentre ha la certezza di se stessa nella realtà effettiva di questo spirito, nella totalità del popolo, e qui ha immediatamente la propria verità: l’essenza e la verità del cittadino non stanno dunque in qualcosa di non effettivo, bensí in uno spirito che ha esistenza e valore.
Questo spirito può venire chiamato legge umana, perché è essenzialmente nella forma della realtà effettiva consapevole di se stessa. Esso, nella forma dell’universalità, è la legge nota e l’ethos, il costume5 vigente; mentre nella forma della singolarità, è la certezza effettiva di se stesso presente nell’individuo in generale, e la certezza di sé come individualità semplice è lo spirito in quanto governo; la sua verità è la validità pubblicamente manifesta alla luce del giorno; è un’esistenza che, per la certezza immediata, prende la forma dell’esistere ormai affrancato.
A questa potenza etica e alla sua manifestazione pubblica si contrappone però un’altra potenza: la legge divina. Infatti la potenza etica dello stato, in quanto movimento del fare che è consapevole di sé, ha la propria antitesi nell’essenza semplice e immediata dell’eticità; come universalità effettiva, la potenza dello stato è una violenza esercitata contro l’essere-per-sé dell’individuo; mentre come realtà effettiva | [386] in generale, essa, nella sua essenza interna, ha ancora un’alterità diversa da sé.
È già stato ricordato che ciascuno dei modi opposti in cui la sostanza etica ha esistenza la contiene per intero, e comprende tutti i momenti del suo contenuto. Se dunque la comunità è la sostanza etica intesa come il fare effettivo consapevole di sé, l’altro lato ha allora la forma della sostanza immediata, o essente. Questa sostanza, cosí, da una parte è il concetto interno, ovvero la possibilità universale dell’eticità in generale; ma dall’altra ha in sé anche il momento dell’autocoscienza. Tale momento esprime l’eticità in questo elemento dell’immediatezza o dell’essere, ovvero esprime una consapevolezza immediata sia di sé come essenza, sia di sé come di questo determinato Sé entro un altro; vale a dire, esprime una comunità etica naturale; e dunque tale momento è la famiglia. La famiglia, in quanto è il concetto interno e ancora privo di consapevolezza, si contrappone alla realtà effettiva consapevole di sé propria del concetto stesso; in quanto è l’elemento della realtà effettiva del popolo, si contrappone al popolo stesso; in quanto essere etico immediato, si contrappone all’eticità che si forma e si mantiene tramite il lavoro in favore dell’unive...