Augusto figlio di Dio
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Augusto figlio di Dio

  1. 576 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Augusto figlio di Dio

Informazioni su questo libro

Libro ricchissimo, complesso e affascinante. Canfora, capace di un prodigioso – e oggi impensabile quasi per tutti – lavoro di recupero storiografico, fa emergere grazie alle sue smisurate conoscenze un Augusto almeno in parte inedito e, talvolta, quasi inatteso. Giovanni Brizzi, "Corriere della Sera"

Augusto salvatore di Roma o Augusto camaleonte? Genio della pace o disprezzabile opportunista? Luciano Canfora traccia un ritratto guizzante e appassionante dell'imperatore romano, facendone simbolo di tutti i poteri che scaturiscono da una rivoluzione e si acquietano nella restaurazione. Andrea Corni, "Tuttolibri"

Il capolavoro di Augusto è stato imporre l'immagine di sé come vero e coerente erede e continuatore dell'opera di Cesare, ormai divinizzato, mentre in realtà la trasformava, se non nel suo contrario, certo in altro. Questo libro recupera, attraverso fonti greche solo parzialmente esplorate, pagine cruciali dell'Autobiografia di Augusto, abilmente apologetica, scritta nel 25 a.C., quando egli aveva ormai definitivamente consolidato il suo potere monocratico, pur nella raffinata finzione di aver restaurato la repubblica.

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Informazioni

1.
Appiano:
«un egiziano dalla testa ai piedi»

Appiano non fu un semplice ‘copista’ delle sue fonti, che peraltro seppe ben scegliere. Aveva le sue idee, le sue insofferenze, le sue visioni politiche spesso manifestate come commento al racconto. A lui si deve tra l’altro l’attacco più aspro che si conosca, per quell’epoca, ai filosofi che pretendono di ‘cambiare il mondo’. Lo sferra in una pausa del riuscitissimo libro su Mitridate. Prende spunto dalla fiammata di autonomia politica divampata in Atene al tempo dell’insurrezione antiromana attizzata da Mitridate e capeggiata, in Atene, da uomini legati alle scuole filosofiche. Suo bersaglio è un certo Aristione, di fede epicurea1, che si fece strumento dell’implacabile nemico di Roma e «tiranneggiò» Atene giovandosi del tesoro che un generale di Mitridate, Archelao, incaricato delle operazioni in Grecia, aveva sottratto al santuario di Delo. Commenta Appiano2:
Né costui [Aristione] fu il solo, ad Atene, e nemmeno lo fu, al tempo suo, Crizia con quanti, sodali suoi in filosofia, governarono Atene da tiranni; ma anche in Italia fecero lo stesso i pitagorici che si misero a governare, e così anche, in tutto il resto della Grecia, quelli dei ‘Sette Sapienti’ che si dettero alla politica. Il loro governo fu dispotico e tirannico in modo ben più feroce rispetto ai comuni tiranni. La loro azione politica ha fatto sorgere la domanda, di non facile risposta, se questa gente si sia messa a filosofare per autentica vocazione o non piuttosto per trovare un rimedio alla loro povertà e ai loro fallimenti. E ancora al tempo nostro molti, poveri e marginali, si drappeggiano di un credo filosofico derivante da tali due presupposti (povertà e marginalità) e attaccano con virulenza i ricchi e i governanti: dietro il loro apparente disprezzo della ricchezza e del potere vi è in realtà il desiderio folle di entrambi. Ben fanno le loro vittime e i loro bersagli a coprirli di disprezzo.
Contro i filosofi che non si limitano ad elogiare la giustizia, ma vogliono attuarla, Appiano non risparmia sarcasmo e disprezzo e non manca di rimarcare che costoro, se giungono al potere, si fanno «tiranni». E, ovviamente, l’esempio topico che mette davanti a tutti è quello di Crizia e degli altri socratici (i «trenta tiranni»!) giunti al potere ad Atene alla fine del V secolo a.C. e rimasti, dopo la sconfitta, schiacciati da una condanna che non conobbe incrinature nel corso dei secoli. Al tempo di Appiano – cioè dopo sette secoli – Crizia era tornato di moda, e anche chi lo apprezzava come modello di lingua attica (per esempio Filostrato) continuava a demonizzarlo e a postumamente insultarlo come filosofo-reggitore.
Ma nelle parole di Appiano c’è un risentimento diretto e personale. I filosofi-straccioni, di discendenza cinica e dunque in ultima analisi socratica, potenzialmente e talora attivamente eversori, furono figure tutt’altro che insolite nel secolo ‘felice’ della dinastia antonina, suscitatrice per altro verso dell’entusiasmo dei greci ‘collaborazionisti’ come Elio Aristide. Ce li fanno intravedere certe caricature impietose di Luciano di Samosata, come anche l’episodio narrato da Gellio di quel mendicante-filosofo che si mise ad insultare, per aver da lui denaro, un tipico esemplare di greco collaborazionista come Erode Attico3.
Con buona pace dei cantori dell’ordine romano, però, il mondo stava cambiando, anche per opera di questi predicatori-pezzenti e di tanti altri portatori di una diversa scala di valori, i quali «sfilarono di mano» – come scrisse Arnold Toynbee – ai dominatori romani il dominio del mondo4. La nostra ricostruzione prenderà dunque le mosse da una curiosa circostanza: dall’entusiasmo che provò Karl Marx, ormai da tempo autore della celebre ‘tesi’ «Finora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora bisogna cambiarlo», leggendo, in un momento difficile della sua tormentata esistenza, le Guerre civili di Appiano.

1.

Con tutto il porco andare e venire5 di questi ultimi quattordici giorni (mi ci è voluta una grande abilità per impedire il completo sfacelo della casa) non ho letto un solo giornale, e nemmeno la Tribune sull’American Crisis. Invece la sera, per rimettermi su6, leggo le Guerre civili di Appiano nell’originale greco7. Libro di gran valore. Il tipo (der Kerl) è egiziano dalla testa ai piedi (ist Ägypter von Haus aus). Schlosser sostiene che sarebbe senz’anima (er habe keine Seele), probabilmente perché va fino al fondo della causa materiale di queste guerre civili. Spartaco vi appare (erscheint) come il tipo più in gamba (der famoseste Kerl) che l’intera storia antica sia in grado di offrirci. Grande generale (altro che Garibaldi!), generoso, real representative dell’antico proletariato. Pompeo un vero cacasotto (Scheißkerl), assurto a fama usurpata solo per aver rubato con una specie di gioco di prestigio i successi prima di Lucullo (contro Mitridate), poi di Sertorio (Spagna)8, infine come young man di Silla. Come generale, l’Odilon Barrot romano9. Non appena però deve mostrare, in lotta con Cesare, quanto vale: un fior di pidocchio (Lauskerl). Cesare commise i più colossali errori tattici, mostrandosi di proposito matto per far perdere il controllo (decontenanciren [sic]) al filisteo che gli stava di fronte. Un normale generale romano, diciamo Crasso, l’avrebbe annientato sei volte nello scontro in Epiro. Ma con Pompeo tutto era possibile. Secondo me, Shakespeare in Love’s Labour Lost10 deve aver intuito di che pasta fosse fatto Pompeo.
Salut.
Tuo Karl Marx.
Questo finale di una lunga lettera di Marx a Engels del 27 febbraio 1861 è molto noto, soprattutto per l’entusiastico giudizio su Appiano. Tutto il tono è scanzonato né rifugge da un gergo quasi cameratesco. Per esempio l’uso quasi ossessivo di «Kerl», che vuol dir ragazzo, ma soprattutto briccone (ma detto con simpatia a meno che non sia accompagnato da epiteti negativi). Così si incomincia con Appiano stesso definito senz’altro «der Kerl» (il tipo) per passare a Spartaco «der famoseste Kerl» (il tipo più in gamba), quindi si passa ai composti, ed è Pompeo che ne fa le spese: prima Scheißkerl poi addirittura bersagliato con un neologismo inventato sul momento: Lauskerl. E neologismo inventato sul momento sembra anche il verbo «decontenanciren» (dal francese contenance assunto anche in tedesco Kontenance, contegno, condotta). Le traduzioni non riescono sempre a tener dietro a questo pirotecnico virtuosismo lessicale, accentuato dal gusto peculiarmente ottocentesco di passare da una lingua all’altra.
La stessa qualifica di «egiziano dalla testa ai piedi» (egiziano integrale, vero e proprio egiziano, autenticamente egiziano) – è questo, come vedremo, il valore di «von Haus aus» – nasce dal­l’entusiasmo con cui Marx simpatizza col suo autore, trattandolo però, al solito, con spigliatezza, per così dire a tu per tu.
Per un ebreo tedesco come Marx, nato in Renania, dottore in filosofia perfettamente bilingue e imparentato con l’aristocrazia prussiana, dire di qualcuno che è «un egiziano dalla testa ai piedi» non vuol dire fargli senz’altro un complimento. Ma cosa intendeva mai con tale qualifica, fondata comunque su di un corto circuito modernizzante? E, prima ancora: che nozione aveva Marx degli «egiziani»? Ne aveva forse una qualche cognizione diretta nel caleidoscopio di popoli brulicanti nella Londra ottocentesca descritta così efficacemente, pochi anni più tardi, da Arthur Conan Doyle? Funziona nella sua testa il generico stereotipo dell’‘arabo levantino’ pragmatico, astuto etc.? Il giudizio riguarda – come è detto subito dopo – la capacità di Appiano di considerare i fattori materiali ed economici («die materielle Grundlage») degli avvenimenti e dei comportamenti dei protagonisti. Insomma «egiziano» sarebbe un disinvolto e non deferente complimento rivolto ad Appiano come storico per nulla eroicizzante (alla Plutarco o alla Carlyle), ma «materialista».
Abbiamo inteso l’espressione «von Haus aus» alla maniera degli eccellenti traduttori in lingua italiana del carteggio Marx-Engels, Sergio Romagnoli ed Emma Cantimori Mezzomonti: è loro la traduzione «un egiziano dalla testa ai piedi»11. A sostegno di tale interpretazione conviene far capo al mirabile Deutsches Wörterbuch dei fratelli Grimm12: «La lingua moderna ha inteso questa formula diversamente; essa intende significare,...

Indice dei contenuti

  1. Figlio di Dio e della guerra civile
  2. Parte I. Marx si invaghisce di Appiano
  3. 1. Appiano: «un egiziano dalla testa ai piedi»
  4. 2. Tra Appiano e Shakespeare
  5. 3. Tra Spartaco e Garibaldi
  6. Parte II. Ma chi era veramente Appiano?
  7. 1. «Alienorum laborum fucus»
  8. 2. «Dove mi portava lo scritto»: il primo proemio
  9. 3. Il secondo proemio
  10. 4. Il mistero del Libro Egizio
  11. 5. La centralità dell’Egitto per Appiano
  12. Parte III. Appiano e Seneca
  13. 1. «Ab initio bellorum civilium». Perché è giusto ritenere che Anneo Seneca padre incominciasse la sua storia dal 133 a.C.
  14. 2. Appiano tra Seneca e Floro
  15. 3. Seneca mette a frutto le Historiae paterne
  16. 4. Appiano legge Seneca, che legge Asinio
  17. Parte IV. Appiano e Augusto
  18. 1. Lo squilibrio delle parti
  19. 2. Appiano, Augusto e gli altri
  20. 3. Appiano e le «sante menzogne» del figlio di Dio
  21. 4. Il ritorno della Graphé e lo strano caso di Cecilio Basso
  22. 5. Anche un «fuco» può essere originale
  23. Parte V- Le Memorie di Augusto
  24. 1. I Commentarii de vita sua
  25. 2. Modena
  26. 3. Una pagina strategica: il discorso di Pansa morente
  27. 4. Dopo Modena
  28. 5. Ottaviano pretende il consolato. Bruto rompe con Cicerone
  29. 6. Le legioni fraternizzano
  30. 7. Controstoria della «marcia su Roma»
  31. 8. Il sogno di Cicerone
  32. 9. «Fata epistularum»
  33. Parte VI. Gli «intellettuali organici» del princeps
  34. 1. Lo stipendio dei poeti che sognavano l’età dell’oro
  35. 2. Il controllo sulla storiografia
  36. 3. Le ambasce di Livio
  37. 4. Quanto dura una vulgata
  38. Epilogo
  39. «Ci penseranno gli uccelli»
  40. Documenti
  41. Diario di una «resistibile ascesa»
  42. Il Cesare di Hegel
  43. La profezia di Nigidio Figulo
  44. Augusto «pamphlettista»
  45. Cronologia
  46. Abbreviazioni bibliografiche
  47. Tavole