Due in una carne
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Due in una carne

Chiesa e sessualità nella storia

  1. 336 pagine
  2. Italian
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Due in una carne

Chiesa e sessualità nella storia

Informazioni su questo libro

Esaltazione della verginità, celibato obbligatorio dei sacerdoti, divieto di usare contraccettivi, condanna dell'omosessualità, della masturbazione, dei rapporti extraconiugali. Ce n'è abbastanza per attribuire alla Chiesa cattolica un'ostinata sessuofobia. Ma sarebbe una conclusione affrettata perché la questione investe aspetti culturali, sociali, antropologici e teologici: lo spiegano bene Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia con una analisi dalle origini cristiane al Novecento. Antonio Carioti, "Corriere della Sera"

Un'opera considerevole per profondità ed erudizione, oltre che di onestà storica ineccepibile. Tutti i testi fondamentali e molti testi dimenticati sono commentati ed esaminati con saggezza e acume. Un bellissimo libro. Alain Besançon, "L'Osservatore Romano"

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Informazioni

Competizione e conflitti

1. La Chiesa risponde

Il processo di secolarizzazione ottocentesco non solo mette in discussione la morale sessuale cristiana, ma addirittura la stessa legittimità della Chiesa a parlare di sesso, legittimità riconosciuta solo al discorso scientifico, soprattutto se medico. In una situazione in cui, di fatto, la morale sessuale dominante, soprattutto per le donne, non differiva certo da quella proposta dalla Chiesa, gli anticlericali attaccano frontalmente il diritto del clero di parlare di sesso: il confessore diventa ai loro occhi corruttore e pornografo, perché non è uno scienziato. Un esempio di questa campagna lo offre la traduzione in francese del manuale per confessori di Jean-Baptiste Bouvier, scritto nel 1827 (Dissertatio in sextum Decalogi praeceptum et Supplementum ad tractatum de matrimonio), realizzata nel 1874 da un personaggio ambiguo come Leo Taxil e pubblicata con il titolo allusivo I misteri del confessionale, tramutato nell’edizione del 1882 nell’ancora più esplicito I pornografi sacri. La confessione e i confessori, che ottiene un grande successo come libro erotico – confermato dalle molte edizioni – grazie a una traduzione molto esplicita del prudente latino del prelato, a cui si aggiunge qualche opportuna inserzione di descrizioni molto realistiche. Gli anticlericali accusano pertanto il clero di usare un linguaggio illegittimo, teso a destabilizzare l’istituzione del matrimonio attentando a quella recente «privatizzazione del sesso» che si stava affermando nelle classi borghesi1. I preti – secondo loro – non possono parlare di ciò che non conoscono, e attentano al pudore delle mogli durante le confessioni, perché violano un rapporto intimo e privato che a loro non compete: «Il mondo non ha mai visto una lotta più terribile e disperata di quella che si combatte nell’animo di questa giovine moglie e di quest’umile figliuola, le quali prostrate appié del prete debbono tra se stesse decidere: se debbono ascoltare la voce del pudore, ch’è voce di Dio, e nascondere a quest’uomo ciò che una donna non può dire ad un uomo; oppure se debbono degradarsi fino a dimenticare il rispetto che debbono a se medesime, fino a parlare con lui di cose che non possono non contaminare e chi le ascolta e chi le dice»2. Così è scritto in uno dei numerosi e diffusi pamphlet, talvolta opera anche di celebri scrittori come Victor Hugo e Jules Michelet, che fondano i termini di una polemica anticlericale che segna l’epoca moderna: non basta criticare la Chiesa per la sua morale sessuale, ma bisogna impedire che il clero si pronunci sull’etica del comportamento sessuale, di cui si devono occupare, con maggior competenza, gli scienziati. Una delegittimazione in atto ancora oggi.
È di questi anni e risale a questi ambienti la traduzione del termine debitum, che nella teologia designa l’atto sessuale stesso all’interno del matrimonio, con «dovere», termine che fa credere che la Chiesa lo imponga come obbligo morale, mentre significa solamente «ciò che è dovuto». Nel contratto matrimoniale, infatti, ciascuno ha diritto al corpo dell’altro, in una situazione che stabilisce l’uguaglianza fra i coniugi, perché la reciprocità dei diritti e dei doveri è totale.
Al centro della polemica sta dunque proprio il controllo del comportamento sessuale che la Chiesa tenta di mantenere attraverso i confessionali, e proprio presso le donne, le uniche rimaste a frequentarli. Ed è quindi dai confessori, i quali si misurano con le nuove tecniche di controllo delle nascite, che sorgono le prime domande da porre ai dicasteri romani.
Come ha ricostruito lo storico Claude Langlois, il problema nasce in Francia, alla fine del XVIII secolo, e si diffonde nel clima secolarizzato post-rivoluzionario, intrecciando da subito la pratica contraccettiva con l’avanzare della decristianizzazione. La prima forma di controllo delle nascite è il coitus interruptus, praticato anche da coppie cattoliche che chiedono ai confessori ragguagli sulla sua legittimità morale. Da qui nascono una serie di quesiti proposti alla Sacra Penitenzieria e successivamente al Sant’Uffizio da prelati in difficoltà, fra i quali il più attivo nell’affrontare la questione e nel proporre soluzioni è proprio quel Jean-Baptiste Bouvier che abbiamo conosciuto come autore di un manuale per confessori, il quale individua il problema e comincia a chiedere chiarimenti a Roma già nel 1816. Sia Bouvier che i suoi interlocutori rubricano questa pratica assimilandola al «crimine di Onan», che configura una categoria specifica di colpevoli ben nota, perché denunciata per due volte nella Bibbia, in un contesto morale in cui la lussuria è sempre considerata un peccato grave, senza gradazioni, e in cui la perdita del seme costituisce da sempre l’archetipo del peccato contro natura.
Bouvier cerca di trovare delle vie di assoluzione, sia per la moglie che subisce la pratica – problema della collaborazione a un atto malvagio – ma che non è consenziente, sia per entrambi gli sposi se in buona fede, proponendo in sostanza che il confessore non intervenga con domande dirette sulla questione. Egli abbraccia una prospettiva pastorale ispirata ad Alfonso de’ Liguori, ed è ben consapevole di affrontare il problema in una situazione già fortemente marcata dal dimorfismo sessuale: solo le donne si confessano, quindi è più facile gettare la colpa sul marito.
Le risposte romane sono vaghe, non scoraggiano definitivamente Bouvier dal suo tentativo di trovare una via di assoluzione per frenare il processo di secolarizzazione in corso. Del resto la questione è aperta, a Roma il problema è percepito ancora come nuovo, e soprattutto come relativo al contesto francese. Ma nella seconda metà dell’Ottocento, quando le pratiche anticoncezionali cominciano a dilagare anche negli altri paesi cattolici europei, la Chiesa si mostra severa verso coloro che praticano il coitus interruptus, definiti onanisti: specialmente rigido appare nelle sue risposte il Sant’Uffizio, che chiude ogni possibilità di indulgenza con una sentenza del 18513 anche se la speranza di assolvere l’«onanismo» rimane viva nel clero francese, come dimostra il fatto che, nel 1869, un anonimo vescovo francese presenta al Concilio Vaticano I la proposta – che non sarà mai discussa – di decolpevolizzare il peccato di onanismo4. Nel 1873 una soluzione nuova sembra venire proprio dal mondo della scienza: la scoperta dei periodi non fecondi del ciclo femminile offre la possibilità di esercitare un controllo delle nascite senza dispersione del seme. La raccoglie un sacerdote belga, Lecomte, che chiede alla Sacra Penitenzieria di riconoscerne la legittimità, ottenendo risposta affermativa sette anni dopo. Si manifesta qui, per la prima volta con chiarezza, quello che sarà negli anni successivi, ed è ancora oggi, l’atteggiamento della Chiesa: la morale sessuale consiste nel seguire la natura, se non si ostacola la natura tutto è bene, quindi ben vengano le nuove conoscenze della fisiologia femminile che permettono di assecondare la natura approfittando dei periodi di non fertilità. Del resto, la morale matrimoniale già accettava la continuazione dei rapporti sessuali fra coniugi anche dopo la menopausa, quando la donna non poteva più generare, in nome dei fini unitivi del matrimonio.
Langlois sottolinea come venga perduta, con questa scelta «naturale», la logica dell’intenzionalità, a beneficio di un rispetto quasi sacrale della natura. «La Chiesa – scrive – evita la questione di fondo: la scelta individuale della limitazione delle nascite, che fonda la modernità dei comportamenti collettivi»5. La scelta, cioè, non solo di separare la procreazione dalla sessualità, e quindi di separare i due fini del matrimonio – procreativo e unitivo –, ma anche di dare la prevalenza al secondo fine sul primo.
Invece, il Codice di diritto canonico, promulgato nel 1917 da Benedetto XV, fissava nel canone 1013 la tradizionale dottrina cattolica, confermando che «il fine principale del matrimonio è la procreazione e l’educazione dei figli; il suo fine secondario è l’aiuto reciproco fra gli sposi e il sollievo alla concupiscenza»6.
Fra il 1897 e il 1929 si susseguono prese di posizione sul controllo delle nascite degli episcopati nazionali, e un dibattito aperto sulla rivista «L’Ami du clergé» nel 1898. In generale prevale la posizione rigorista, che prevede l’assimilazione alla definizione di onanismo di quello che oggi ci appare a essa estraneo, cioè il controllo delle nascite – oltre al coitus interruptus si sono aggiunti nuovi mezzi, come il preservativo, il pessario e la spugna vaginale – nella convinzione condivisa che ogni cedimento non sarebbe stato un rimedio al neomalthusianesimo dilagante, ma piuttosto un incoraggiamento. Nel 1909 il cardinale belga Mercier denuncia il pericolo dello spopolamento, tema che sarà ripreso, dopo la Grande Guerra, dall’episcopato francese7. In nessuno dei documenti episcopali sul matrimonio trova posto l’amore coniugale, considerato solo un fine soggettivo degli sposi.
Le risposte delle istituzioni ecclesiastiche, così come del resto le questioni proposte dai prelati sorte durante la pratica della confessione, rimanevano chiuse all’interno di un ragionamento teologico, centrato, come si è detto, sulla dispersione del seme e sul ruolo, più o meno indagatorio, del confessore, mentre non erano presi in considerazione, né quindi condannati, i fini eugenetici che si proponevano i neomalthusiani, e più in generale i problemi sociali a essi connessi. Problemi invece affrontati apertamente da uno scienziato cattolico attento all’eugenetica, Agostino Gemelli, ben consapevole che fosse «il terreno sul quale la discussione è attualmente fatta»8. Gemelli accetta la logica del controllo delle nascite, in alcuni casi gravi anche per motivi eugenetici, ma dissente sui mezzi proposti dai neomalthusiani:
Se il controllo delle nascite vuol dire che gli sposi non possono abbandonarsi ciecamente all’istinto, e se esso vuol dire che le ragioni biologiche e sociali, se non possono autorizzare alcuno a frustrare il fine dell’atto coniugale, debbono però essere dal cristiano esattamente valutate finché esso, da un canto, non può trasmettere ai figli, con la vita dei germi, condizioni che la rendano inaccettabile e, dall’altra, non può dar la vita senza creare le condizioni che la rendano possibile – allora il controllo delle nascite diventa il primo dei doveri della paternità, e il controllo delle nascite non solo può essere ammesso dai cattolici con animo tranquillo, ma costituisce un dovere che il progresso della scienza mette sempre più in maggior luce.9
Dal momento però che «la morale cattolica è fondata sul riconoscimento del fine soprannaturale dell’uomo [...] l’impulso sessuale deve essere governato secondo norme soprannaturali»10, e mentre «i neomalthusiani, i sostenitori del controllo delle nascite, sostengono la sostituzione della ragione all’istinto [...] noi cattolici subordiniamo l’istinto alla ragione, ossia conserviamo il giuoco delle forze naturali, ma le regoliamo nel loro agire, le subordiniamo ad un fine soprannaturale». Di conseguenza, Gemelli propone come mezzo unico di controllo la castità, che considera «il miglior mezzo di eugenìa negativa e preventiva»11.
La castità considerata come dura lotta, palestra di volontà, anche se egli sa che oggi «occorre del coraggio per mostrare che la fecondità e la continenza sono le due forze della vita matrimoniale»12. Perché non si può negare la «dolorosa situazione dinanzi alla quale è vano chiudere gli occhi: sono pochissime le famiglie, anche cristiane, nelle quali è mantenuta la pace fra i coniugi e la salute della donna», perché «in tutti i matrimoni si praticano ‘frodi coniugali’»13. Gemelli si rivolge quindi ai cattolici, ricordando loro che «le pratiche neomalthusiane sono dannose per il vostro corpo, infide nei risultati, [...] soprattutto applicandole voi perdete la vostra anima [...] il solo rimedio è la continenza». La sua critica alle ragioni invocate dai neomalthusiani è serrata: «Non preferire qualità a quantità: una certa abbondanza è la condizione necessaria per avere la qualità»14 ed egli dubita anche delle ragioni «umanitarie» che essi invocano per giustificare il loro operato: «Ritengo che gli sposi che si danno alle pratiche anticoncezionali non lo fanno per tutte quelle ragioni teoriche che mettono innanzi i propagandisti di tali pratiche, ma per ragioni personali, individuali»15.
E le conseguenze saranno nefaste: «Si incomincerà per salvaguardare la salute della donna e adducendo le condizioni finanziarie, ma ben presto mille altre ragioni saranno ritenute valide [...] una volta messi su questa china, non ci si ferma più»16 e ricorda che la sterilità volontaria nel matrimonio «conduce con sé inevitabilmente l’aborto, l’infedeltà coniugale e il divorzio», come dimostrano le statistiche: «le curve di frequenza di questi due fenomeni sociali seguono parallelamente le curve della diminuzione della natalità»17.
La consapevolezza che il controllo delle nascite sta diventando una ideologia – l’eugenetica neomalthusiana di matrice evoluzionista – e che non si può affrontare solo come problema di peccato individuale è presente nel primo documento pontificio che affronta la morale sessuale, l’enciclica Casti connubii promulgata da Pio XI il 31 dicembre 1930. Nata come risposta all’accettazione delle pratiche contraccettive da parte della Chiesa anglicana, questa enciclica è la prima presa di posizione di un papa su argomenti che fino ad allora avevano costituito materia di risposte morali da parte dei dicasteri vaticani a ciò preposti. La sua novità – cioè l’inserimento del discorso teologico concernente la limitazione delle nascite nel campo dell’insegname...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Due in un libro
  2. Il corpo, le pulsioni
  3. Eros e santità
  4. Il controllo e le norme
  5. Il disciplinamento impossibile
  6. La fine del monopolio
  7. Competizione e conflitti
  8. Conclusioni