Social Guerrilla
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Social Guerrilla

Semiotica della comunicazione non convenzionale

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Social Guerrilla

Semiotica della comunicazione non convenzionale

About this book

Adesivi mimetizzati nel tessuto degli spazi urbani, performance di attivisti nascosti tra i passanti, oggetti fuori posto inseriti all'interno di luoghi del consumo (shopping mall, supermercati), spot apparentemente amatoriali concepiti per diffondersi sfruttando le logiche della partecipazione tipiche dei social network. Da tempo il social advertising si caratterizza per la capacitĂ  di dare forma in modo innovativo e talvolta controverso a temi drammatici di rilevanza sociale. La visibilitĂ  del testo e l'intensitĂ  drammatica della rappresentazione del tema su cui ruota una campagna non sono piĂš sufficienti a garantire la costruzione di un contatto efficace tra i soggetti del discorso, tra l'universo composito delle istituzioni, del non profit, delle ONG e il tessuto sociale dei soggetti chiamati a fornire il proprio sostegno. L'efficacia di una campagna sociale si fonda sul rinnovamento di strategie e tattiche. Sempre piĂš spesso, infatti, molte campagne vengono descritte come "armi non convenzionali", strumenti di una tecnica di "guerrilla" che cerca di "colpire" alla sprovvista il "target", con "armi leggere", agendo direttamente sul suo territorio, praticando l'arte del "mimetismo" e dell' "imboscata", privilegiando il "corpo a corpo" rispetto allo "scontro a distanza".

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Information

1. La pubblicitĂ  sociale.

Una ricognizione semiotica

Paradossalmente parlare di pubblicità sociale in una prospettiva semiotica non è semplice. Certo è possibile individuare i soggetti che ne definiscono il funzionamento (committenti, agenzie di pubblicità, destinatari), analizzare l’insieme delle tematiche sulle quali si misura questo ambito della comunicazione, tentare la via (difficile) della ricostruzione storica del fenomeno, elaborare una mappa delle sue forme testuali. Tuttavia i tentativi di classificare questa modalità della comunicazione sono oggetto di una discussione continua, di un dibattito aperto. Ancora più complesso, come si vedrà, è il tema cruciale intorno al quale necessariamente ruota una riflessione approfondita sulle strategie discorsive della pubblicità sociale: l’efficacia.
Certamente le forme del discorso sociale a vocazione promozionale condividono con la pubblicitĂ  commerciale alcune logiche della significazione.
In particolare la pubblicità sociale è un genere discorsivo articolato in una serie di attività mediali molteplici che impiegano formati analoghi a quelli impegati nell’ambito della pubblicità commerciali (le dimensioni di un’affissione, la durata di uno spot radiofonico o audiovisivo, lo spazio di un magazine o di un quotidiano riservato agli annunci promozionali) allo scopo di mobilitare il destinatario nei confronti di tematiche di interesse collettivo. Più precisamente, gli obiettivi che caratterizzano la pianificazione e la realizzazione delle campagne sociali consistono nel sollecitare interesse e consapevolezza nei confronti di tematiche drammatiche, nell’incentivare o scoraggiare atteggiamenti e/o condotte relativi a tali ambiti e, infine, nel sostenere le attività di fund raising essenziali per garantire il funzionamento delle organizzazioni e dei soggetti impegnati nella ricerca di una soluzione.
Se da un lato il funzionamento del linguaggio pubblicitario è comune, dall’altro la pubblicità sociale possiede tuttavia una vera e propria autonomia sul piano della significazione, una natura sanzionatoria che la distingue dalle forme del discorso commerciale perché mira innanzitutto a promuovere non un prodotto ma un valore, e in secondo luogo a trasformare in modo duraturo la consapevolezza di una condotta sbagliata, dannosa o rischiosa in uno stile di vita corretto. La natura pragmatica si sposa dunque con la retorica del linguaggio pubblicitario dando vita a una forma di comunicazione alla ricerca costante di un equilibrio tra informazione e provocazione. In uno scenario della comunicazione caratterizzato da una competizione sempre più serrata tra i soggetti promotori di campagne sociali, risulta sempre più complesso dare forma in modo efficace a problemi di difficile soluzione, sensibilizzare in modo originale uno spettatore assuefatto alla seduzione del linguaggio pubblicitario declinato in tutte le sue modalità espressive.
Si tratta dunque di andare oltre lo stereotipo che identifica la pubblicità sociale con un tipo di messaggio banale, “buonista”, di scarsa efficacia, lontano dalla spregiudicatezza e dai virtuosismi creativi della pubblicità commerciale. Come si vedrà questa è una visione decisamente riduttiva: nella realtà la pubblicità sociale già da tempo non va più a traino della pubblicità tout court ma sperimenta nuove strategie, tattiche e tecniche, i suoi protagonisti accettano nei casi migliori di misurarsi in maniera intelligente con tabù e stereotipi.
Sangue a fiumi durante un matrimonio orientale, scatole craniche aperte e cervelli tagliuzzati con una lametta, feti esposti in cabine telefoniche. Non sono clamorose anticipazioni della sceneggiature di Kill Bill Volume 3. Sono solo scene tratte da alcune delle più recenti campagne internazionali di comunicazione sociale. Per la cronaca, campagne rispettivamente contro lo sterminio degli squali in occasione dei matrimoni cinesi, contro l’uso di cocaina tra i giovani, e a favore del reparto neonatale di un ospedale neozelandese (Caprara, Fontanot 2005, p. 279).
Il marketing ha da tempo elaborato una riflessione estremamente articolata sulle difficoltà e sugli obiettivi strategici della pubblicità sociale, sulle trasformazioni che la segnano in una prospettiva di mercato globale del fundraising. Affrontare questo campo di indagine in una chiave sociosemiotica significa anche capitalizzare la lezione fondamentale sviluppata da Kotler e Andreasen relativamente al marketing per le organizzazioni non profit (1975), analizzando il modo in cui una serie di fattori economici, psicologici e sociali incide sull’organizzazione interna dei testi, sulla circolazione sociale di una campagna, sulla capacità di sollecitare una reazione nel destinatario.
In questo senso è importante fissare alcuni punti che consentiranno progressivamente di mettere a fuoco potenzialità e criticità della pubblicità sociale nelle sue forme più innovative, senza perdere di vista le esigenze, gli obiettivi e i risultati attesi che, a monte e a valle, fanno da cerniera all’elaborazione di precise strategie di comunicazione. Nella prospettiva da cui muove questo lavoro, la pubblicità sociale è dunque una forma di discorso la cui vocazione consiste nel trasformare dei limiti, delle criticità in punti di forza. I principali fattori da prendere in considerazione sono i seguenti.
Nonostante si tratti di un settore in rapida ascesa, in cui gli investimenti sono in aumento su scala internazionale, spesso, soprattutto nel caso in cui il committente non appartenga alla sfera pubblica, i budget a disposizione sono piuttosto limitati. A fronte di risorse non adeguate, l’obiettivo che la campagna si prefigge di perseguire risulta decisamente ostico: si tratta infatti di convincere il destinatario a modificare un atteggiamento o addirittura a trasformare radicalmente la consapevolezza dell’urgenza di un problema sociale in una condotta ritenuta opportuna.
La pubblicità sociale è un’attività decisiva per la sopravvivenza del terzo settore e delle organizzazioni non profit impegnate in una competizione per il reperimento dei fondi e per il consolidamento della propria identità visiva (Floch 1995) che si gioca non solo su scala locale ma su un terreno internazionale.
Rispetto alle tradizionali forme testuali della pubblicità commerciale, la comunicazione sociale non gode di una visibilità massiccia e prolungata nel tempo, la sua diffusione spesso è affidata alla capacità di fare presa sull’agenda setting dei mezzi di informazione, in particolare nasce dall’attitudine a innescare un fruttuoso passaparola nei media digitali e nelle piattaforme dei social network.
Per le agenzie pubblicitarie il social advertising non solo è un’attività importante sotto il profilo economico ma è anche una palestra per la sperimentazione di strategie e tattiche promozionali estendibili all’ambito commerciale.
Si tratta di fattori che incidono in modo decisivo sul funzionamento del social advertising, e in particolare delle forme piĂš innovative del cosiddetto social guerrilla in cui il confezionamento dei testi, la scelta del formato, la pianificazione della sua diffusione si accompagnano a un prerequisito essenziale: la capacitĂ  di leggere le logiche dei media, di coglierne le dinamiche, di saper sfruttare, come testimoniano le migliori campagne di comunicazione sociale, risorse limitate e spazi ridotti per provocare disturbo, suscitare interesse e attenzione.
Come si vedrà, si tratta di un passaggio decisivo che consiste, nei casi più rilevanti sotto il profilo semiotico e pragmatico (diffusione sociale del messaggio, supporto al processo di fundraising, incremento della visibilità del soggetto dell’enunciazione), nella messa a punto di un fare di tipo strategico, articolato in un insieme di tattiche e di tecniche, una pianificazione dell’azione comunicativa spesso fondata sulle logiche dell’intertestualità, dell’interdiscorsività, dell’intermedialità.
La pubblicitĂ  sociale si presta dunque ad essere indagata in una chiave sociosemiotica perchĂŠ si tratta di una pratica discorsiva che trova il proprio fondamento e la propria funzione, nel dare forma nei testi a dinamiche sociali complesse, temi delicati a forte rischio di usura che vengono ignorati o al contrario sovra rappresentati nel dibattito politico, mirando a trasformare le relazioni che legano soggetti diversi: istituzioni, ONG, mondo imprenditoriale, associazionismo, cittadinanza. Come afferma Eric Landowski (1999, p. 8)
Al di là o al di qua delle scelte relative alla superficie lessicale e stilistica, e anche indipendentemente dai valori che vengono veicolati, si tratterà in primo luogo per noi di rendere conto del discorso dal punto di vista della sua capacità di “agire” e di “far agire” modellando e, più spesso, modificando le relazioni fra gli agenti che esso coinvolge a titolo di interlocutori linguistici.
L’obiettivo principale di questo lavoro è dunque studiare il modo in cui prende forma nei testi il passaggio dal dibattito al discorso, dall’arena pubblica della discussione sui temi di rilevanza sociale, con i suoi soggetti e strategie, ai testi mediali il cui scopo è rappresentare in modo efficace il repertorio delle tematiche di interesse collettivo che presentano un alto livello di criticità. Secondo questa prospettiva, dunque, nel libro la parola testo verrà impiegata con riferimento a costrutti di tipo culturale, dotati di una certa complessità e stratificazione, le cui singole componenti sono poste in relazione secondo i principi della coerenza e della coesione.
Le forme testuali, con riferimento all’ambito composito dei media, sono articolate in funzione di generi, linguaggi, formati e in nessun caso possono essere considerate come dei semplici contenitori per raccogliere e veicolare messaggi, come semplici “recipienti” di processi della comunicazione più o meno eterogenei e complessi. Piuttosto, con riferimento al vasto ambito della pubblicità sociale, la nozione di testo verrà intesa come un modello utile a dare conto delle logiche interne alla dimensione socioculturale. In questo senso, come verrà mostrato con riferimento a un ampio corpus di campagne sociali declinate in funzione di tematiche diverse, le cosiddette forme non convenzionali del social advertising sono il risultato (soggetto a una continua rinegoziazione) di una serie di trasformazioni di ampia portata che vanno ben oltre il piano di manifestazione di un testo (lo slogan, la rappresentazione figurativa della causa sociale o degli attori che in essa sono coinvolti) e che sollecitano una riflessione sull’insieme di relazioni che intercorrono tra il genere mediale della pubblicità e le logiche di funzionamento di ambiti molto distanti dalla sfera commerciale (politica, terzo settore, non profit…)
Per una semiotica che fonda la propria credibilità teorica e l’efficacia dei propri strumenti di metodo sull’analisi dei testi e non sulle dichiarazioni dei protagonisti della comunicazione, diventa cruciale la riflessione non solo sulla forma di rappresentazione dei temi (ambiente, salute, tutela dei diritti fondamentali…), ma soprattutto sui simulacri dei soggetti coinvolti nella “filiera” della pubblicità sociale. In particolare, si tratterà di analizzare in modo dettagliato le diverse strategie tramite le quali i soggetti del discorso sociale prendono forma all’interno del testo, tanto con riferimento alle figure dell’enunciatore (le modalità con le quali le istituzioni, le organizzazioni non governative, l’associazionismo si mettono in scena nel racconto rivendicando la legittimità e l’urgenza del proprio intervento), quanto alle figure dell’enunciatario (il profilo del destinatario ideale della campagna rappresentato nel testo).
L’efficacia di questo genere di discorso non si fonda banalmente sulla dichiarazione delle buone intenzioni che guidano l’operato di un soggetto impegnato nel sociale ma sulla competenza nella costruzione di un testo al tempo stesso credibile sul versante della circolazione delle informazioni, (dimensione del sapere) e coinvolgente sul piano patemico, vale a dire in grado di fare presa sulla sensibilità del destinatario.
A un primo sguardo la pubblicità sociale sembra un discorso condannato a un fallimento annunciato, il luogo testuale in cui si cerca di dare forma in modo efficace all’utopia del cambiamento sociale. Allo stesso modo è innegabile che la complessa macchina pubblicitaria sia lo strumento ideale per dare voce a una pratica che è per natura connotativa ed è costretta a una dialettica costante con l’insieme dei segni in assoluto più rigido e resistente alle variazioni: quello degli stereotipi.
Una dimensione che svolge un ruolo fondamentale nel funzionamento di questo genere di azioni comunicative è costituita dunque dall’enunciazione1, vale a dire dal processo che consente non solo a un soggetto di produrre concretamente un testo a partire dalle potenzialità espressive predisposte all’interno di un sistema linguistico, ma soprattutto di inscrivere al suo interno dei delegati di parola e dei simulacri che ne orientano il funzionamento, posizionando il destinatario empirico e tentando di sollecitarne la reazione (Manetti 1998; 2008).
Secondo questa prospettiva, l’efficacia dei testi nasce dunque innanzitutto a partire dalla costruzione di un contratto di tipo enunciazionale, vale a dire una relazione tra i soggetti del processo di comunicazione sociale che si realizza, in forma mediata, all’interno delle diverse forme testuali. Ad esempio, restando nell’ambito delle campagne sociali proposte dalle istituzioni pubbliche, è possibile elaborare (Grandi 2001) una classificazione che tiene conto del livello di complicità o, viceversa, di distanza che si stabilisce tra i simulacri del soggetto dell’enunciazione e dell’enunciatario. La “voce” delle istituzioni pubbliche si dispiega dunque all’interno di uno scenario articolato di strategie dell’enunciazione che secondo Grandi si articola in alcune macro categorie:
– strategia di persuasione secondo il volere basata sulla distanza pedagogica
– strategia di persuasione secondo il potere basata sulla complicità
– strategia di persuasione secondo il volere basata sulla complicità
– strategia di persuasione secondo il potere basata sulla distanza pedagogica
– strategia di convincimento secondo il sapere basata sulla distanza non pedagogica.
Come è evidente, l’efficacia di una campagna di social advertising è costruita dunque a partire da una serie di mosse enunciative, dalla capacità dell’emittente di fare presa sul pubblico, stabilendo un “dialogo” che emerge in primo luogo all’interno al testo. Se nella pubblicità commerciale il livello dell’enunciazione riveste un ruolo essenziale nella messa a punto dell’universo di valori connotativi legati al brand e nella costruzione del rapporto di fiducia con il consumatore, nell’ambito della pubblicità sociale è un prerequisito indispensabile senza il quale verrebbe meno la vocazione stessa degli attori in esso coinvolti: promuovere un reale cambiamento sociale a partire dalla mediatizzazione di temi, valori, pratiche.
In questo senso, come si vedrĂ  nel dettaglio a proposito delle forme di social guerrilla, i margini di sperimentazione e di innovazione sul piano del linguaggio si configurano innanzitutto come il prodotto di precise st...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Introduzione
  4. Ringraziamenti
  5. 1. La pubblicitĂ  sociale. Una ricognizione semiotica
  6. 2. RazionalitĂ  strategiche
  7. 3. Pianificare l'effetto sorpresa. Modelli della razionalitĂ  strategica nella tattica ambient
  8. 4. Forme audiovisive del social guerrilla. Gli spot "virali"
  9. 5. Dallo sguardo all'analisi. Forme esemplari di social guerrilla
  10. 6. Dai testi agli ambienti mediali. Usi tattici del social network
  11. Immagini
  12. Bibliografia