Contro la democrazia
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Contro la democrazia

About this book

È stato detto che la democrazia sia la peggior forma di governo, ad eccezione di tutte le altre fin qui sperimentate. Ma se la concezione relativistica dei regimi democratici come "male minore" appare in molte analisi e teorie moderne, da Machiavelli a Sartori, passando per Weber e Schumpeter, nessuno prima di Jason Brennan aveva sottoposto a un processo altrettanto spietato la "miglior forma di governo possibile". A giudicare dai risultati, infatti, il regime che dovrebbe garantire a tutti i cittadini il diritto di essere guidati da leader competenti e capaci di prendere decisioni ponderate, somiglia troppo spesso al regno dell'irrazionalità e dell'ignoranza: molti elettori compiono le loro scelte sulla base dell'emozione o del pregiudizio, non conoscendo neanche, in numerosi casi documentati, la forma di governo vigente o addirittura i nomi dei leader in carica. Inoltre, come dimostra Brennan, che rivolge la sua critica sia alla democrazia rappresentativa che a quella deliberativa, la partecipazione politica tende a rendere le persone peggiori – più irrazionali, arrabbiate e cariche di pregiudizi.
Quale alternativa abbiamo, allora? Come superare gli inconvenienti della democrazia se non vogliamo esporci ai rischi che comporterebbe la concentrazione del potere nelle mani di pochi?
La proposta di Brennan è di sperimentare una forma di governo "epistocratica" che sia compatibile con parlamenti, elezioni e libertà di parola, ma distribuisca il potere politico in proporzione a conoscenza e competenza. Contro la democrazia, che ha diviso specialisti e lettori e creato enorme dibattito in un campo in cui c'è urgente bisogno di idee e stimoli nuovi, è un libro che può illuminare o fare infuriare, da conservare gelosamente o da lanciare contro il muro, ma che in ogni caso non può essere ignorato.

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contro la democrazia

Premessa

Il 2016 non è stato un buon anno per la democrazia. Al contrario, è stato ottimo per suoi critici. Ecco le prove:
– ho scritto, su invito, circa diciannove contributi, tra editoriali e articoli, sui difetti della democrazia. Non c’era lo stesso interesse nel 2012 o nel 2014, quando già scrivevo su questi temi;
– allo stesso modo, sono stato invitato in diverse trasmissioni radiofoniche a discutere la mia teoria secondo la quale alcuni elettori non dovrebbero votare. Gli ascoltatori chiamavano per dire: “Lo so! Cosa possiamo fare?”. Ho partecipato a trasmissioni simili sullo stesso argomento un anno prima: allora gli ascoltatori chiamavano per dirmi: “Ma come ti permetti?”;
– ho ricevuto diverse richieste dai media ogni giorno da ottobre a dicembre;
Contro la democrazia ha goduto di copertura sui principali media negli Stati Uniti, in Canada, Regno Unito, Germania, Irlanda, Francia, Svezia, Norvegia, Svizzera, Olanda e in altri Paesi. Finora, è stato tradotto in sei lingue.
Non dico questo per darmi delle arie (va bene, forse un po’ sì), ma perché credo sia significativo. Ho cominciato a scrivere libri e articoli che sfidavano le nostre idee più sacre in merito alla partecipazione politica nel 2009. Eppure, solo nel 2016 le persone sono diventate stranamente interessate ad ascoltare. Probabilmente non sono d’accordo, ma sono molto più disponibili a prendere in considerazione il problema.
Nel referendum sulla Brexit, Leave ha vinto con un margine risicato. Un mese prima del voto, il sondaggio Ipsos Mori ha rilevato che il pubblico britannico fosse sistematicamente disinformato sui fatti rilevanti per prendere la decisione. Ad esempio, gli elettori favorevoli all’uscita dall’Unione Europea credevano che gli immigranti comunitari costituissero il 20 per cento della popolazione britannica. Gli elettori a favore di Remain invece stimavano un 10 per cento. Entrambi avevano torto, ma gli elettori per Leave avevano più torto: la percentuale esatta si aggirava intorno al 5 per cento. In media, entrambi i tipi di elettori sovrastimavano di un fattore dal 40 al 100 per cento quanto il Regno Unito pagasse per aiuti ai bambini in altri Paesi. Entrambi sottostimavano enormemente la quantità di investimenti stranieri provenienti dall’Unione Europea e sovrastimavano quelli dalla Cina.12 Questo non prova, naturalmente, che Remain sarebbe stata la decisione giusta. Di sicuro, però, desta qualche sospetto il fatto che tra l’elettorato di Leave e una certa disinformazione ci sia stato un rapporto particolarmente stretto.
Anche gli Stati Uniti hanno avuto la loro bella danza di asini. Io sono scettico sul fatto che Donald Trump finirà per essere il disastro totale che i miei colleghi più ansiosi temono. Ciononostante, nel corso delle primarie il supporto iniziale a Trump è venuto da fasce di elettori insolitamente male informate. La sua candidatura ha vinto anche perché le primarie repubblicane hanno diviso gli elettori molto informati. Una volta assicurata la nomination, il tribalismo di partito che ho descritto nei capitoli 2 e 3 ha preso il sopravvento, e molti dei repubblicani “Never Trump” si sono tappati il naso e lo hanno votato.
Anche la sinistra americana ha offerto un bel circo di populismo economico male informato. Bernie Sanders proponeva la stessa agenda protezionista e anti-immigrazione di Trump. L’economista Bradford DeLong commentava:
La truthiness politica è diventata un’ondata debordante negli ultimi decenni. I politici stanno facendo affermazioni che hanno legami molto tenui con la realtà economica – ma che noi sentiamo come vere – e su di esse stanno costruendo le loro carriere politiche, talvolta per ignoranza, talvolta per calcolo cinico. […] Trump e Sanders hanno dipinto scenari apocalittici quando parlavano di commercio internazionale, e allora anche Clinton ha abbandonato la verità.13
Come discuto nel capitolo 2, non si tratta solo del fatto che le idee economiche propugnate da Trump e Sanders contraddicono palesemente centinaia d’anni di ricerca economica e montagne di evidenze empiriche. A ciò si aggiunge che le idee economiche che supportano il protezionismo e promuovono l’antagonismo nei confronti degli immigrati sono correlate negativamente con l’informazione politica. In media, gli elettori più informati, indipendentemente dalla loro affiliazione politica di base, supportano il libero scambio e una maggiore immigrazione.
In alcune recensioni internazionali è stato fatto notare che Contro la democrazia non fa riferimento a Trump o a Brexit. Quando ho consegnato la versione finale del manoscritto, Trump stava diventando popolare, ma non era ancora stato nominato. Il referendum per la Brexit ancora doveva aver luogo. Io non mi aspettavo nessuno di questi sviluppi.
Contro la democrazia non è una risposta, per quanto sia Trump che la Brexit siano ottimi esempi di cosa mi preoccupi. Le mie critiche della democrazia sono basate su trend empirici sistematici di lunga durata. Circa sessantacinque anni fa abbiamo cominciato a misurare il livello di informazione dei cittadini. I risultati erano deprimenti allora, e lo sono ancora oggi. Da quando abbiamo iniziato a misurare il suo livello di informazione, è risultato che l’elettore medio, modale e mediano è male informato o ignorante su informazioni politiche di base, e sa ancora meno su argomenti che richiedono nozioni di scienze sociali più avanzate. L’ignoranza e la cattiva informazione di questi elettori li hanno portati a sostenere candidati e politiche che non avrebbero votato se si fossero informati meglio. Il risultato è che otteniamo risultati ben lontani dall’ottimo, e talvolta addirittura pessimi. Di conseguenza poiché, come sosterrò nei capitoli 4 e 5, la democrazia e il suffragio universale non hanno alcun valore intrinseco, dovremmo essere aperti alla sperimentazione di altre forme di governance. Dovremmo considerare giusto il principio “una persona, un voto” solo se risulterà empiricamente che facendo così possiamo generare scenari sostanzialmente migliori rispetto ad altre forme di governo.
Sono un critico della democrazia, ma sono anche un suo fan. Nell’articolo “Democracy and Freedom”, uscito nell’Oxford Handbook of Freedom, sostengo che, nei fatti, la democrazia è positivamente correlata a molti e importanti buoni risultati, e che tra le due cose sembra esserci non solo correlazione, ma anche causalità.14 Le democrazie riescono a proteggere le libertà economiche e civili meglio delle non-democrazie, e di solito sono più ricche. Oggi i posti migliori dove vivere al mondo sono in genere abbastanza democratici. Ma dato che sappiamo che la democrazia ha difetti sistematici, dovremmo essere aperti all’idea di studiare e sperimentare nuove alternative.
In Contro la democrazia ho difeso l’idea di sperimentare ciò che la maggior parte delle persone considera l’alternativa più offensiva: l’epistocrazia. Le forme di governo epistocratiche conservano molte delle caratteristiche formali del governo repubblicano rappresentativo. Il potere politico è disperso e non concentrato nelle mani di pochi. I poteri sono separati, ci sono pesi e contrappesi. Ma, per legge, le epistocrazie non distribuiscono il potere politico fondamentale in maniera egalitaria. Piuttosto, in un modo o nell’altro, i cittadini più competenti o informati esercitano, per legge, un potere politico leggermente superiore rispetto a quello esercitato dai meno informati o competenti.
Nel primo capitolo introduco tre modelli di comportamento dell’elettore. Gli hobbit sono cittadini scarsamente informati, con scarso interesse e scarsi livelli di partecipazione politica; generalmente, si caratterizzano per un impegno ideologico debole o instabile. Al contrario, gli hooligan sono cittadini molto informati e impegnati nei confronti della politica e della propria identità ideologica. Per loro, fare politica è come tifare per una squadra (nella prima edizione ho dimenticato di riconoscere che è stato Drew Stonebraker a suggerirmi di usare per loro l’etichetta “hooligan”). I vulcaniani, infine, sono un idealtipo – pensatori perfettamente razionali e molto informati, senza eccessiva lealtà per le proprie convinzioni.
Nel capitolo 2 sostengo che quasi tutti i cittadini cadono nello spettro hobbit-hooligan. Negli Stati Uniti, coloro che si astengono sono mediamente hobbit, mentre gli elettori sono, in media, hooligan. Il problema è che molte teorie filosofiche sulla democrazia presumono che i cittadini si comportino come vulcaniani. Alcuni filosofi presumono, o sperano, che coinvolgendo i cittadini nella politica si possano trasformare gli hobbit in vulcaniani. Ma, come sostengo nel capitolo 3, è più probabile, secondo la letteratura scientifica in merito, che il coinvolgimento politico trasformi gli hobbit in hooligan, e renda gli hooligan ancora più partigiani. La democrazia è il governo di hooligan e hobbit.
Ma allora l’epistocrazia è il governo dei vulcaniani? Vorrei che fosse subito chiaro: no. Quando evoco i vulcaniani non intendo dire che dovrebbero governare, o che le epistocrazie dovrebbero dare più potere a loro rispetto a hooligan e hobbit. Probabilmente ci sono troppi pochi vulcaniani nel mondo reale.
Inoltre, mentre è relativamente facile distinguere gli elettori molto informati da quelli poco informati, è più difficile testare i pregiudizi cognitivi su larga scala. Non voglio dire che non si possa fare. Potremmo infatti congegnare un test che esamini sia quanta conoscenza una persona possegga, sia la sua capacità di interpretare senza pregiudizi i dati. Nel secondo capitolo discuto gli studi di Dan Kahan sui bias cognitivi. Per distinguere i vulcaniani dagli hooligan fra i cittadini molto informati potremmo usare questo genere di domande.
Eppure, la mia proposta è meno ambiziosa: realisticamente, l’epistocrazia sarebbe il governo degli hooligan, ma comunque di un gruppo di hooligan migliori di quelli che otteniamo in una democrazia. Alternativamente, una delle mie proposte epistocratiche – quella che chiamo “governo per oracolo simulato” – utilizza elettori hobbit e hooligan per stimare cosa vorrebbero i vulcaniani.
Molti giornalisti mi hanno chiesto quale sia l’obiettivo pratico di questo libro, dal momento che ci sono scarse probabilità che un Paese implementi l’epistocrazia nel breve termine. Possiamo fare qualcosa adesso? Bryan Caplan ha proposto un “esame per la patente di elettore”. Ogni anno (o forse prima di un’elezione), lo Stato dovrebbe offrire un test volontario che copra le informazioni di base su temi politici e di scienze sociali. I cittadini che superano l’esame ottengono un premio in denaro, un migliaio di dollari se si risponde correttamente al 90-100 per cento delle risposte, cinquecento dollari per l’80-89 per cento, cento dollari per il 70-79 per cento, e zero per qualsiasi percentuale inferiore.15 Ecco cosa dovrebbe fare lo Stato anziché finanziare l’educazione civica scuola – che, ...

Table of contents

  1. Contro la democrazia
  2. Indice
  3. Prefazione. Correzioni epistocratiche della democrazia
  4. Introduzione
  5. Contro la democrazia
  6. Bibliografia