Alessio Fiore
Il mutamento signorile.
Assetti di potere e comunicazione politica nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (1080-1130 c.)
Firenze University Press
2017
Prefazione
Questo libro è una tappa (per me) importante di un percorso di ricerca iniziato circa otto anni fa, e focalizzato in una prima fase sull’analisi del sistema dei linguaggi politici nel regno d’Italia tra il tardo secolo XI e il XII. Con il procedere della ricerca mi è parsa sempre più chiara la frattura con il periodo precedente, il che mi ha portato a un deciso ripensamento del progetto. Da un lato ciò mi ha indotto ad ampliare l’agenda, inserendo al suo interno anche le tematiche di carattere politico, sociale ed economico, in modo da chiarire le caratteristiche globali di questa trasformazione, e dall’altro a concentrare la mia attenzione proprio sui decenni a cavallo del 1100, che mi apparivano il momento cruciale per capire pienamente questo complesso processo di trasformazione. Con il procedere della ricerca alcune parti di questo libro (in particolare i capitoli 9 e 10) sono state quindi anticipate in diversi articoli e contributi in atti di convegno, anche se in forme quasi sempre molto diverse rispetto a quelle qui esposte.
Ogni ricerca, e in particolare una così lunga e complessa, non può avvenire se non grazie all’aiuto degli altri. Ringrazio per suggerimenti, stimoli e aiuti materiali e immateriali Giovanna Bianchi, Simone Collavini, Gianmarco De Angelis, Paola Guglielmotti, Tiziana Lazzari, Vito Loré, Piero Majocchi, Thomas Köhl, Alma Poloni, Giuseppe Sergi, Paolo Tomei e Gian Maria Varanini (e sicuramente nella fretta del momento mi dimenticherò di qualcuno, a cui chiedo preventivamente venia). Per quanto riguarda invece lo specifico del libro sono particolarmente in debito con Sandro Carocci, Gigi Provero e Chris Wickham, che hanno discusso con me il manoscritto nella sua interezza, e con Andrea Gamberini e Jean-Claude Maire Vigueur che ne hanno commentato alcune parti. A loro si aggiungono naturalmente i due anonimi referee che hanno letto con acribia il manoscritto. A tutti, per le critiche, i (molti) preziosi suggerimenti e gli incoraggiamenti vanno i miei più sentiti ringraziamenti. Un forte ringraziamento anche alla redazione di Reti Medievali, e in particolare a Enrico Artifoni, Roberto Delle Donne, Paola Guglielmotti, Gian Maria Varanini e Andrea Zorzi, per avere fin da subito accolto con entusiasmo il libro nella collana.
La ricerca è stata in parte condotta nel quadro del progetto Chiese, vescovi e comunità lungo due aree di strada, del Dipartimento di Studi storici dell’Università di Torino (finanziamento CRT 2015-2017).
Dedico questo libro alla mia famiglia, un esempio di pazienza.
Introduzione
La medievistica italiana, per quanto riguarda lo studio delle origini dell’istituzione comunale in ambito urbano, ha tradizionalmente visto nei decenni intorno al 1100 un momento di forte cesura e discontinuità1. In questo senso risulta del tutto evidente il nesso con quella che, con una formula oggi un poco passata di moda, e divenuta in qualche misura problematica, viene definita la “lotta per le investiture”2. La fase di guerre tra papato e impero, e i rispettivi alleati, con la crisi di legittimazione dei tradizionali vertici del potere politico e religioso, e con la concomitante liquefazione delle istituzioni pubbliche, è infatti vista come il brodo di coltura in cui germinano quelle esperienze che portano ai primi governi consolari: un momento ovviamente topico nella grande narrazione del medioevo italiano, in cui le città occupano una posizione del tutto centrale3. La robustezza di tale nesso è stata del resto ribadita anche in alcune delle ricerche più recenti su questo tema, in cui si sta tuttavia affermando la formula di “guerre civili” per etichettare questa fase di aspri conflitti, sganciandola almeno in parte dallo scontro tra papato riformatore e impero e restituendola a una dimensione più ampia e fluida, legata anche agli assetti di potere a carattere regionale e locale4.
Negli ultimi due decenni l’attenzione verso questo periodo di transizione e le sue caratteristiche intrinseche si è dilatata rispetto al passato, interessando anche altri ambiti di ricerca: si è esplorato ad esempio il mutamento delle forme e delle pratiche della giustizia, e più in generale della risoluzione dei conflitti5; si è analizzata la crisi terminale delle ultime grandi dominazioni marchionali a forte matrice pubblica, come la marca di Tuscia o quella arduinica di Torino6; e ci si è nuovamente confrontati con i mutamenti nei funzionamenti delle istituzioni ecclesiastiche, da angoli di osservazione nuovi rispetto al passato7. Si tratta nel complesso di spunti e prospettive molto differenti tra loro, ma proprio questa eterogeneità del panorama delle ricerche ha contribuito a valorizzare ulteriormente questa fase, che è emersa in modo sempre più evidente come un momento di fortissima, se non dirompente, accelerazione delle dinamiche sociali e politiche in atto nel regnum Italiae. Sebbene una tendenza caratteristica della medievistica italiana sia quella di valorizzare le trasformazioni e i processi di lungo periodo, evitando di enfatizzare il valore di rottura di fasi cronologiche brevi, a differenza di altre tradizioni storiografiche, più sensibili al fascino periodizzante dei momenti di cesura, il valore di spartiacque di questo (pur non brevissimo) periodo viene dunque rilevato, in modo sostanzialmente convergente, da punti di osservazione assai diversi tra loro8.
Rispetto a questa serie di letture che vedono nel periodo intorno al 1100 un momento di marcata discontinuità rispetto agli assetti precedenti, la ricerca relativa alla signoria territoriale nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale ha invece sostanzialmente mantenuto il tradizionale approccio continuista, leggendone la sua genesi in un’ottica di lungo periodo, con un lento e progressivo processo di affermazione che procede dal termine del IX fino all’inizio del XII secolo9. Più in particolare la storiografia tende a ritenere la signoria territoriale una realtà ormai diffusa e consolidata in gran parte del regno già nei primi decenni del secolo XI, anche se solo nel XII la trasformazione delle pratiche documentarie ci consentirebbe di leggerne più approfonditamente le dinamiche interne di funzionamento10. L’esplosione delle fonti connesse al funzionamento dei poteri signorili che caratterizza i primi decenni del XII secolo è insomma ricondotta a una nuova attitudine nei confronti dello scritto da parte della società nel suo complesso, che porta alla registrazione documentaria di pratiche e azioni in precedenza relegate alla sfera dell’oralità, in un contesto di crescente formalizzazione dei poteri locali, che interessa non solo la signoria rurale, ma anche i comuni urbani. In questo quadro sostanzialmente omogeneo, pur nelle diverse sfumature regionali, l’eccezione è costituita dalla Toscana, dove l’affermazione del modello signorile è stata connessa, in modo sempre più netto negli ultimi anni, alla crisi delle strutture pubbliche della marca a cavallo del 110011. Si tratta tuttavia, come detto, di un’eccezione, spiegata con il peculiare assetto di potere toscano, ancora legato, intorno alla metà del secolo XI, a forme del potere di chiara matrice carolingia. Il ritardo del processo di trasformazione degli assetti locali rispetto alle altre regioni avrebbe determinato una particolare violenza e repentinità del processo di cambiamento, avvenuto sotto la spinta degli attori politici locali, con un riallineamento della Toscana alla situazione del resto dell’Italia centro-settentrionale.
Sotto questa prospettiva spicca il forte contrasto con la Francia, dove la ricerca sugli stessi temi ha prima elaborato un modello centrato su un mutamento signorile imperniato su una breve fase di fortissima cesura, collocato nei decenni immediatamente successivi al 1000 – la nota tesi della mutation féodal, in inglese feudal revolution – per poi contestarlo e negarlo ferocemente. Il tema è ben noto, ma un breve riassunto può non essere del tutto inutile, viste le sue decisive implicazioni storiografiche12. Il punto di partenza non può che essere il magistrale studio di Georges Duby sulla regione di Mâcon, in Borgogna, pubblicato negli anni Cinquanta dello scorso secolo; in questo lavoro lo storico francese sostenne che il principale momento di rottura nelle vicende della Francia del pieno medioevo fu la frantumazione delle formazioni principesche (contee, ducati, marche) intorno al 1000 in una moltitudine di signorie di castello13. Questa trasformazione fu segnata anche da un profondo cambiamento delle forme e della natura stessa del potere locale, fino ad allora fondato sui principi elaborati in epoca carolingia. La tesi fu ulteriormente riformulata e rilanciata nel 1980, in un influente libro di Éric Bournazel e Jean-Pierre Poly, intitolato appunto La mutation féodale; negli anni immediatamente successivi la posizione “mutazionista” si affermò Oltralpe come il paradigma dominante, con l’ambizione di porsi come un modello esplicativo valido non solo per la Francia, ma applicabile anche all’intera Europa post-carolingia14.
Tuttavia questo incontrastato dominio, caratterizzato da un sempre maggiore irrigidimento del modello (anche sotto il profilo cronologico) e delle ricerche ad esso connesse, non durò a lungo. Anzi, già a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso esso fu sottoposto a serrate quanto motivate critiche, sia da parte di studiosi francesi, come Dominique Barthélemy, sia anglo-americani, come Stephen White15. Le critiche colpirono dapprima le posizioni mutazioniste più estreme, come quelle di Guy Bois, per poi prendere di mira le fondamenta stesse della teoria, cercando di demolirle16. Il dibattito che ne seguì, segnato da toni accesissimi, fu contrassegnato da un sempre maggiore arroccamento sulle proprie posizioni da parte dei due schieramenti, sostanzialmente incapaci di elaborare costruttivamente le critiche. La polemica si chiuse di fatto alcuni anni più tardi, per mera stanchezza intellettuale, senza riconosciuti vincitori, ma è comunque un dato di fatto che in Francia, suo epicentro, la posizione anti-mutazionista rappresenti oggi il nuovo dogma storiografico, sancito come tale dai manuali universitari, mentre le posizioni legate al mutazionismo, pur ancora presenti, risultano sostanzialmente marginali rispetto al quadro accademico comples...