Il diritto del bambino al rispetto
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Il diritto del bambino al rispetto

Janusz Korczak, Anastazja Buttitta

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Il diritto del bambino al rispetto

Janusz Korczak, Anastazja Buttitta

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Scritto nel 1929, questo piccolo e prezioso pamphlet del grande pedagogo polacco Janusz Korczak non ha perso la sua forza provocatoria e la sua natura politica. Korczak è uno dei rari adulti che sa penetrare un mondo ormai lontano e irraggiungibile, quello del bambino, e descriverlo dall'interno e non dall'esterno, come spesso avviene. Attraverso la sua prosa carica di compassione, Korczak offre l'opportunità al lettore di ritrovare in sé quel piccolo bambino che è stato e che ancora è, mettendo in luce i diritti dell'infanzia, spesso negati, e le responsabilità della pratica educativa.JANUSZ KORCZAK ebreo polacco, nacque a Varsavia nel 1878 e morì nel 1942 nel campo di sterminio di Treblinka insieme ai bambini della Casa dell'Orfano del ghetto di Varsavia che aveva fondato insieme ad altri educatori. Medico, poeta e libero pensatore, ha consacrato tutta la sua vita, il suo lavoro e centinaia di scritti all'infanzia, tra i quali si ricordano Momenti educativi, Come amareil bambino e Pedagogia giocosa. La sua tragica fine, la sua resistenza al nazismo e la sua lotta per "il diritto del bambino alla consapevolezza della morte" sono stati raccontati dal regista Andrzej Wajda nel film Dottor Korczak del 1990.

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Information

Year
2016
ISBN
9788863571820

Attualità di Korczak | Grazia Honegger Fresco

Ogni vita è inimitabile, eppure alcune sono così luminose da segnare in profondità tante altre, anche attraverso il tempo. Una di queste è sicuramente la vita di Henryk Goldszmit, diventato poi celebre – come scrittore e non solo – con il nome di Janusz Korczak. Polacco, di famiglia agnostica, ebreo (scoprì tardi di esserlo) nato ricco e divenuto povero, si fece medico e uno dei pediatri più ricercati a Varsavia. Decise di non sposarsi nel timore che la follia paterna potesse essere trasmessa a eventuali suoi figli, ma si dedicò per circa quarant’anni a centinaia di bambini e ragazzi privi di genitori. Una storia di generosità antica, esemplare per noi in questi giorni bui.
Da studente di medicina scoprì un forte interesse per le condizioni di vita dell’infanzia, tanto che, poco più che ventenne, agli inizi del Novecento, visitava i quartieri più miseri di Varsavia e denunciava in articoli su una importante rivista polacca la situazione drammatica dei bambini “trattati con il guinzaglio”, ricchi o poveri che fossero. Più tardi andò a perfezionare la formazione medica a Berlino e a Zurigo, nella celebre clinica neurologica dell’università, cercando, nella città natale di Pestalozzi, di comprendere meglio il messaggio di questo educatore che ammirava profondamente.
A settant’anni dalla sua scomparsa il pedagogista svizzero era ormai famoso. Certe sue idee – che, insolite in epoca romantica, in parte traducevano in concreto i dettami di Rousseau – da lui espresse in termini semplici con la passione nata dalle proprie esperienze, erano penetrate un po’ ovunque in Europa, aprendo le porte ai tentativi di educazione nuova del primo Novecento. Pestalozzi aveva parlato dell’ambiente educativo come di un luogo simile alla casa, lontano dallo stile carcerario – tra militare e conventuale – diffuso nelle scuole e nei collegi del suo tempo; aveva affermato il valore delle esperienze personali e il rispetto a esse dovuto, ma anche l’efficacia del “mutuo insegnamento”, lo scambio e l’aiuto reciproco tra ragazzi anche di diversa età, maschi e femmine. Nei suoi scritti traspare la grande fiducia che dava ai più giovani, quando affermava la loro bontà originale o lamentava il comportamento crudele degli adulti, non solo verso gli orfani soli, ma anche quelli in famiglia, gli uni e gli altri privati di attenzioni affettuose, per loro vitali.
Korczak farà tesoro di tutto questo e lo tradurrà in esperienze originali fra le più innovative. “Ben osservare per ben guidare”, proponeva Pestalozzi, e lui fa dell’osservazione la struttura portante di tutto il suo lavoro di medico e di educatore. Scrive con facilità e gentile ironia, severo verso gli adulti, amabile e divertente se si rivolge ai bambini. È preso di mira dalle autorità zariste, ma tira dritto per la sua strada. Conosce gli orrori della guerra, ma si mantiene saldo sugli interessi iniziali nei confronti dell’infanzia. A poco a poco con i suoi scritti diventa famoso in tutto il suo paese, ma nel bel mezzo della duplice carriera, ormai bene avviata, di medico e di scrittore, lascia tutto e nel 1912, appena trentenne, costruisce con l’aiuto di amici facoltosi la Casa degli Orfani a Varsavia in via Krochmalna. È un grande edificio luminoso che non somiglia a una scuola o a una caserma: in essa vorrebbe ospitare ragazzini ebrei e cattolici, ma la cosa non è consentita. Accoglierà solo bambini e ragazzi ebrei di entrambi i sessi: laico non credente, vuole che ci sia una stanza silenziosa, raccolta, dove chi di loro desideri recitare il Kaddish, la preghiera per i genitori perduti, possa farlo liberamente.
Il denaro non abbonda e gli adulti che aiutano sono pochi: il portiere, una cuoca, una lavandaia. Accanto a lui, fidatissima e perfetta organizzatrice, “Madame” Stefa (Stefania Wilczynska), madre affettuosa per i loro cento figli, che gli resterà accanto fino alla tragica fine. La Casa come una piccola repubblica: così a gradi la organizzerà. La gestione è un potere condiviso tra tutti quelli che vivono al suo interno, mentre la responsabilità è tutta del “piccolo dottore”.
Il grosso del lavoro, anche le pulizie, i letti da rifare, le tavole da preparare e molto altro, è svolto dai ragazzi stessi, un centinaio: i grandi aiutano i piccoli (intorno ai sette anni) di cui sono – in misura modesta e ben precisata – responsabili. A seconda delle età tutti assumono un impegno di lavoro che va dalla mezz’ora per i minori alle quattro ore per i maggiori. Nella Casa andranno a vivere anche studenti universitari di ambo i sessi che, in cambio di vitto e alloggio, daranno un altro importante contributo alla vita della comunità, le ragazze affettuosamente seguite da Stefa. Quale straordinaria formazione in compenso tutti ne riceveranno è emerso da numerose testimonianze posteriori. Anche parecchi educatori e maestri chiederanno di entrare per imparare il mestiere dell’educare alla scuola di Korczak. Divenuto sempre più famoso, riserverà a loro un tempo per illustrare e spiegare, ascoltare e discutere.
Nella Casa le regole di vita sono uguali per tutti, senza privilegi di sorta; il clima, mai punitivo, è impostato sul perdono, sul dare sempre un’altra opportunità.
L’accoglienza di ogni nuovo venuto è compito essenziale di Korczak. Arrivano sporchi, laceri, pieni di pidocchi, ma anche spaventati, rabbiosi. Lui – dimesso nella sua eterna blusa grigia da operaio, ben presto calvo, magro, avaro di parole, ma sempre sorridente e pronto ad ascoltare un bambino – sa trovare le frasi giuste per rassicurare ogni nuovo venuto, persuaderlo ad accettare le minime regole di convivenza: lavarsi, cambiarsi, farsi tagliare i capelli, affidarsi a un compagno più grande che gli mostrerà i segreti della Casa.
Una così ampia comunità ha anche un tribunale, dove si possono denunciare torti e offese subiti. Pietra miliare della sua organizzazione interna, è composto da cinque giudici eletti ogni settimana dai ragazzi tra coloro che non hanno questioni in sospeso. Per orientarsi i giudici consultano un codice-base preparato dallo stesso Korczak. Chiunque può affiggere un’accusa alla tavola nella sala da pranzo o denunziarsi per qualcosa di sbagliato di cui si sente responsabile, come più volte fa lo stesso dottore per motivi di equità. Accuse lievi sono ad esempio: aver imbrogliato in un gioco, aver disturbato nelle ore di studio, non essersi lavato le mani prima del pranzo, non aver rimesso a posto qualcosa… Per le infrazioni minori, dalla 1 alla 100, l’accusa ad altri può anche essere ritirata e la soluzione è comunque il perdono, in pratica l’attesa che l’altro capisca ciò che ha fatto e non ripeta più l’errore. (“Preferirei le botte”, dice qualcuno, ma questa è la legge della Casa).
Le infrazioni gravi fino alle gravissime dalla 100 alla 900, soprattutto perché più volte ripetute, possono comportare penalità assai più pesanti, (mai però la privazione del cibo), fino all’espulsione – evento però raro – ovvero la riconsegna del ragazzo alla famiglia o, se questa manca, ad altro istituto.
Korczak vuole trasmettere una idea sana di giustizia: il tribunale non è la verità, ma questa è il suo fine. Sua intenzione è allenare i ragazzi a non fermarsi alle apparenze, non cercare cavilli e scuse, ma a capire le ragioni dell’altro con l’obiettivo di stabilire la realtà dei fatti. Questo insolito tribunale, gestito principalmente dai giovani pur con la presenza degli adulti, è criticatissimo all’esterno con la solita ipocrisia: tutti sanno che nei collegi e nelle scuole sono preferite le punizioni anche corporali inflitte dagli adulti, così come è consentito il mondo sotterraneo delle spiate, dei sadismi, leggeri o pesanti. Korczak non si lascia distogliere dal suo senso sicuro di protezione, dalla sensibilità che lo porta a cogliere i minimi segnali di sofferenza nel viso, nel corpo di uno qualsiasi dei suoi protetti; perfeziona il sistema discutendo con loro, ascoltandoli e guidandoli.
Gli orfani restano nella Casa almeno sette anni, ne escono intorno ai quattordici, un ciclo di vita che consente una sicura assimilazione di regole di comportamento all’insegna della tolleranza, della collaborazione, dell’equità. Lo scopo principale è aiutarli a diventare individui liberi, capaci di dire i propri diritti senza desiderio di vendetta, di sviluppare pensieri calmi piuttos...

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