McItalia
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McItalia

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420 ristoranti, 14.500 addetti, 700 mila pasti al giorno. Sono questi gli impressionanti numeri di McDonald's Italia. Ma cosa c'Ăš dietro la famosa M che campeggia sempre di piĂč nelle nostre cittĂ ? McDonald's Ăš davvero l'impero del "junk food"? E se invece proprio in virtĂč del buon nome da mantenere vi fossero rigorosi controlli della qualitĂ  uniti a un rispetto sempre piĂč evidente per il mangiare italiano come la recente campagna "McItaly" ha voluto dimostrare? Due giornalisti, Renata Fontanelli e Giorgio Lonardi, hanno voluto vedere cosa succede "dietro le quinte" dando vita a questa interessante indagine dai risultati tutt'altro che scontati

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Information

1.
Il panino della discordia
QUELLO CHE POTREBBE SEMBRARE il titolo di una piĂšce teatrale, in realtĂ  Ăš davvero accaduto.
Un panino ha diviso l’Italia, scatenando una bagarre politica senza precedenti.
Destra e sinistra si sono scontrate, tirando in ballo Stalin, i Gesuiti e il KGB. Hanno coinvolto critici gastronomici, un ministro, l’amministratore delegato della filiale italiana di una delle piĂč grandi multinazionali del fast food, e il grande guru di Slow Food. Per non parlare delle interrogazioni parlamentari fioccate sulla vicenda e dell’impressionante eco della stampa estera.
Fiumi di inchiostro e decine di servizi televisivi per un semplice sandwich.
Un caso, insomma.

I fatti

Il panino in questione si chiamava McItaly, il ministro era il leghista Luca Zaia, all’epoca capo del dicastero per le Politiche agricole, oggi governatore del Veneto, e l’amministratore delegato ù Roberto Masi di McDonald’s, nella multinazionale americana dal 2008. In campo ù sceso anche Carlin Petrini, inventore di Slow Food, da sempre critico severo della ristorazione veloce.
Al momento dell’ingresso di Masi in McDonald’s, la multinazionale usciva da un forte processo di ristrutturazione interna cominciato nel 2001, l’anno piĂč brutto nella storia del gruppo.
Una serie di eventi concatenati, tra i quali la crisi di immagine degli Stati Uniti, l’esplodere del caso «mucca pazza», e non da ultima la crescente attenzione del pubblico verso un’alimentazione piĂč sana e naturale, aveva fatto crollare il titolo della societĂ  a dodici dollari, il minimo storico. Come se non bastasse nel 2004 era uscito il docufilm di Morgan Spurlock Super size me. Il regista per un mese si era nutrito esclusivamente nei fast food di New York, documentando e filmando gli effetti devastanti che la dieta «McDonald’s» aveva prodotto sul suo fisico e nella sua psiche. La reputazione della multinazionale americana, mai come nei primi anni del nuovo secolo, era letteralmente distrutta.
Si decise quindi di correre ai ripari.
Dal grande capo americano James Skinner partĂŹ l’ordine perentorio ai numero uno delle varie nazioni, quindi praticamente a tutto il mondo: «Dobbiamo risollevare la nostra immagine. Non importa come, ma fatevi venire delle idee. Voglio che McDonald’s diventi la marca di fast food con la miglior reputazione al mondo».
Per la prima volta nella storia della societĂ , ai singoli amministratori delegati dei vari Paesi veniva lasciata carta bianca.
L’Italia, tra questi, era uno dei piĂč sofferenti. Ma anche uno di quelli che, con Cina e Brasile, manifestava maggiori potenzialitĂ  di crescita.
È in questo contesto che scoppia il caso «McItaly», nato dal fatale incontro tra il leghista Luca Zaia e il manager Roberto Masi, che per McDonald’s aveva lasciato Carrefour.
Zaia, uomo di marketing dalla dialettica svelta, anche grazie a un passato da PR nelle discoteche, con la comunicazione ci sa fare. Masi, dal canto suo, stava concentrando tutte le sue energie nella riorganizzazione interna della filiale italiana. Oltre alla necessitĂ  di rifare il look e ampliare la gamma dei servizi all’interno dei ristoranti, aveva individuato come nodo cruciale la questione del «made in Italy». Fondamentalmente l’amministratore delegato doveva ritrovare la fiducia dei clienti.
Innanzitutto puntando sulla qualità del prodotto e sull’italianità, tema da tempo fondamentale nel settore ristorazione.
A onor del vero la carne dei panini ù italiana sin dal 1997, quando il colosso, per accelerare la propria crescita, aveva deciso di acquisire Burghy, società del gruppo Cremonini presente in Italia con una novantina di ristoranti. In seguito a una lunghissima trattativa e a un contratto di migliaia di pagine, la proprietà di Burghy era passata di mano e tutti i punti vendita erano stati trasformati in McDonald’s. Una delle clausole affidava a Cremonini la fornitura della carne per tutti i ristoranti che prima di allora si erano approvvigionati da aziende tedesche.
L’informazione doveva perĂČ raggiungere il grande pubblico.
Ed Ăš qui che entra in campo Luca Zaia. È la primavera del 2009. Il Ministro chiede un colloquio con l’amministratore delegato Masi, colpito dal fatto che un anno prima la societĂ  aveva cominciato a utilizzare il Parmigiano Reggiano dentro a un panino. Obiettivo dell’azienda all’epoca era per l’appunto avvicinare sempre di piĂč il prodotto McDonald’s al gusto italiano.
«PerchĂ© – disse il Ministro delle Politiche agricole all’Amministratore delegato – non ci inventiamo un panino tutto italiano?». Detto fatto, Masi alzĂČ il telefono e diede ordine alle cucine di studiare un sandwich interamente riempito con prodotti del Bel Paese: Asiago, crema di carciofi, olio extra vergine e manzo.
Due mesi dopo la multinazionale diede alla luce McItaly, «creatura a termine», destinata sin dalla nascita a restare in vita due mesi come esperimento.
E si scatenĂČ il putiferio.
Il 24 gennaio 2010 Zaia e Masi si fanno immortalare a Roma nella sede McDonald’s di Piazza di Spagna mentre spalmano salsa di carciofi sul classico pane tondo, cui aggiungono puro Asiago, la tradizionale fetta di carne trita scottata alla griglia, meglio nota come hamburger, in quanto importata negli USA dai tedeschi di Amburgo durante l’onda immigratoria degli anni ’30. Un lancio plateale.
Otto settimane, appunto. Come spiega Masi: «Sin dall’inizio McItaly doveva essere un esperimento temporale. Abbiamo interrotto la produzione solo perchĂ© la nostra politica prevedeva la creazione di nuovi prodotti, infatti dopo sono arrivati Mozzarillo e il Ciociaro». Ribattono invece i «contrari», in particolare il proprietario di Eataly Oscar Farinetti e l’inventore di Slow Food Carlin Petrini: «Se dopo due mesi la multinazionale ha smesso di produrlo vuol dire che non era di qualitĂ  e non piaceva a nessuno». Dati alla mano McDonald’s parla di oltre 3 milioni di sandwich venduti per un fatturato di circa 15 milioni di euro. Numeri di tutto rispetto.
L’operazione ha un’eco mediatica inaspettata e fin dalle prime battute lo scontro sembra assumere carattere politico. In campo scendono Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food, e parecchi esponenti del centrosinistra, accusando gli americani e il Ministro leghista dell’Agricoltura di strumentalizzare la cucina italiana per biechi fini pubblicitari.
La rassegna stampa sull’argomento ù stupefacente.
Sul «The Guardian» un fogliettone a firma del critico gastronomico Matthew Fort accusa l’Italia di Alto Tradimento. Si legge sul quotidiano inglese:
Se mai c’ù stato un segno del fallimento morale del governo di Silvio Berlusconi ù la vista di un grembiule di McDonald’s avvolto intorno al corpo snello del Ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Il presidente del consiglio, sorpreso a far capriole con le donne giovani, le accuse di connessioni oscure, le viscide disposizioni finanziarie, le dubbie appartenenze politiche e tutti i rapporti discutibili non sono nulla in confronto a questo mostruoso atto di tradimento nazionale.
Carica la penna anche il corrispondente del «The Times» Richard Owen e a Roma, nel giorno del lancio di McItaly, arrivano centinaia di testate da tutto il mondo.
Indubbiamente l’operazione di marketing, per McDonald’s, si rivela un successo planetario.
Il PD fa fioccare alla Camera e al Senato interrogazioni parlamentari volte a chiarire il presunto rapporto di connivenza tra un nostro ministro e la multinazionale del «veleno». Come quella del capogruppo democratico alla Commissione agricoltura della Camera, Nicodemo Oliverio, che scrive: «Mi sembra piĂč che legittimo chiedersi se il ministro Zaia stia lavorando per l’Italia o per McDonald’s».
Scende in campo Carlin Petrini, inventore del movimento Slow Food e uomo molto amato dalle sinistre. Dalle pagine di «la Repubblica» chiede a Masi: «Quanto pagate i contadini e quanto pagate la merce italiana? Da dove arriva la carne?».
A sua volta Masi acquista una pagina su «Repubblica» per replicare a Petrini.
L’AD risponde, calcolatrice alla mano, e sciorina i suoi numeri sulle quantitĂ  di Asiago DOP (47 tonnellate nel 2010), Parmigiano Reggiano DOP (piĂč di 300 tonnellate tra il 2008 e il 2011), Speck IGP (45 tonnellate nel 2011), e Pancetta di Val Venosta (24 tonnellate nel 2010).
Quintali e quintali di prodotti nostrani distribuiti nei quasi 400 ristoranti del Bel Paese che sfamano oltre 700.000 clienti all’anno. Non risponde perĂČ alla domanda di Petrini: «Quanto pagate i contadini?».
E lo scontro si fa ancora piĂč aspro.
Masi e Zaia commentano:
Slow Food ù un’ottima iniziativa elitaria, cui in pochi possono accedere, mentre McDonald’s non ha mai smesso di servire studenti, extracomunitari e padri divorziati che non saprebbero dove altrimenti portare i figli durante le lunghe e fredde giornate invernali.
Possibile che su McItaly si sia scatenata una sorta di guerra di religione?
PerchĂ© in Italia il nome stesso di McDonald’s riesce ancora a suscitare pareri tanto contrastanti?
Domanda che si sono fatti in molti.
E che giriamo a Luca Zaia, uno dei protagonisti di questa vicenda. All’epoca dei fatti Zaia era ministro dell’Agricoltura in quota Lega. Proprio questa sua provenienza politica accentuĂČ lo scalpore generale quando si presentĂČ in piazza con l’AD di McDonald’s Roberto Masi ad addentar panini con tanto di grembiule bianco.
D. «Ma come? Un leghista che dovrebbe appoggiare i contadini locali si mette a fare rĂ©clame alla multinazionale piĂč globale e piĂč americana del mondo?».
R. «Intanto io non ho appoggiato le multinazionali in generale, bensĂŹ McDonald’s. Posto che Ăš impossibile distruggere questo baluardo mondiale dell’alimentazione, rifugio ormai di tantissimi giovani di ogni ceto sociale, ho deciso di scardinarlo nelle sue abitudini e di inserire nel panino solo prodotti locali e certificati».
D. «Ma l’idea di chi Ăš stata?».
R. «Mia, assolutamente mia. Sono io che sono andato da loro e ho detto: facciamo un panino tutto italiano e chiamiamolo McItaly. Ho trovato dall’altra parte una risposta entusiastica, soprattutto amministratori che hanno capito che la via della certificazione e della tipicitĂ  era l’unica per sdoganare un ristorante e i suoi prodotti che fino a poco tempo prima erano senza storia e dignità».
D. «E come Ú nata?».
R. «Dall’osservazione della realtĂ . Ovvero: ci insegnano da sempre che le abitudini alimentari si formano sin da ragazzi. Tenuto conto quindi che quello che mangiamo da giovani ci condiziona tutta la vita non possiamo non considerare che i numeri di McDonald’s sono davvero importanti. Ci vanno milioni di persone e molti sono studenti.
Per questo motivo ho pensato che fosse un ottimo luogo per propagandare l’attenzione ed il rispetto verso ciĂČ che mangiamo».
D. «Non ha posto nessuna condizione a McDonald’s, come ministro dell’Agricoltura?».
R. «Solo una: chiesi, qualora il prodotto avesse funzionato, di impegnarsi a portarlo nel circuito internazionale. E cosÏ infatti Ú stato. Con grandissimo vantaggio anche per i nostri contadini e produttori diretti».
D. «Ma perché, secondo lei, cosÏ tante polemiche?».
R. «Intanto c’ù un forte snobismo. Mi chiedo perchĂ© se gli stessi prodotti che abbiamo messo nel panino li mettessimo sul ...

Table of contents

  1. McItalia
  2. Colophon
  3. Indice
  4. 1. Il panino della discordia
  5. 2. Benvenuti in McItalia
  6. 3. Benvenuti in Slow Italy
  7. 4. Quando l’Italia ù il modello da imitare
  8. 5. McDonald’s ù davvero il demonio?
  9. 6. La grande crisi della multinazionale
  10. 7. McDonald’s in Italia
  11. 8. Il Mclavoro, l’impegno sostenibile e la solidarietà
  12. 9. McDonald’s e la sfida ecologica
  13. 10. Come il diavolo riuscì a sedurre l’acqua santa. Ma soprattutto: chi ù il diavolo e chi l’acqua santa?
  14. Postfazione
  15. Bibliografia