Marketing e comunicazione
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Marketing e comunicazione

Strategie, strumenti, casi pratici

Maurizio Masini, Jacopo Pasquini, Giuseppe Segreto

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Marketing e comunicazione

Strategie, strumenti, casi pratici

Maurizio Masini, Jacopo Pasquini, Giuseppe Segreto

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Negli ultimi anni, in seguito all'avvento del digitale, il marketing e la comunicazione hanno conosciuto trasformazioni talmente radicali da averne cambiato in profondità gli approcci, le strategie, le tecniche. Da qui la nuova visione d'insieme che questo libro cerca di fornire. Il volume prende le mosse dalle teorie e dalle definizioni classiche, nella consapevolezza che i grandi studiosi del passato sono ancora fondamentali per comprendere oggi le dinamiche di marketing e comunicazione. I capisaldi della comunicazione d'impresa, comunque aggiornati alla luce della trasformazione digitale, sono trattati in profondità: dal branding alla pubblicità, dalle ricerche di mercato alle relazioni pubbliche, fino agli eventi. L'ultima parte ha come focus proprio l'ecosistema digitale e illustra come l'ottimizzazione delle pagine web in funzione del loro posizionamento sui motori di ricerca o il design dell'esperienza dell'utente siano, insieme a un approccio strategico ai social media, imprescindibili per chiunque voglia fare marketing e comunicazione. A partire dall'esperienza del Master in Comunicazione d'impresa dell'Università di Siena, i diversi temi sono affrontati da studiosi provenienti da numerosi atenei nazionali e internazionali, nonché da professionisti di primo piano che operano all'interno di imprese, agenzie di comunicazione e società di consulenza. Ciascun capitolo è poi arricchito da schede di approfondimento e interviste a esperti del settore. Una pluralità di voci e discipline che ha l'obiettivo di definire un framework completo, indispensabile per chi si affaccia per la prima volta al mondo del marketing e della comunicazione, ma anche per chi, in questo mondo, opera già a livello professionale.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2017
ISBN
9788820379681
1
La comunicazione: paradigma teorico e modelli processuali
di Giovanni Manetti
1.1 Nascita del paradigma comunicativo
La comunicazione è un fenomeno intrinseco alla specie umana e a tutti gli organismi complessi (animali o dispositivi più o meno “intelligenti” e interattivi, dalla macchina che distribuisce il caffè ai robot). La specie umana, poi, è legata, in particolare, anche a quella complessa forma di comunicazione che è il linguaggio articolato, esso pure connaturato all’uomo a partire da un determinato momento evolutivo, che gli studiosi fissano per l’homo sapiens a un periodo che oscilla tra i 150.000 e i 50.000 anni fa.1 Ben sottolinea questo fatto Emile Benveniste (1966: tr.it. 311) in un saggio in cui critica il paragone che viene spesso fatto tra il linguaggio e uno strumento esterno all’uomo:
Parlare di strumento vuol dire contrapporre l’uomo alla natura. La zappa, la freccia, la ruota non si trovano in natura, sono degli artefatti. Il linguaggio è nella natura dell’uomo, che non l’ha fabbricato. Siamo sempre inclini a immaginare ingenuamente un periodo originario in cui un uomo completo scoprirebbe un suo simile, altrettanto completo, e tra loro, poco per volta, si elaborerebbe il linguaggio. È pura fantasia. Non possiamo mai cogliere l’uomo separato dal linguaggio e non lo vediamo mai nell’atto di inventarlo. Non riusciamo mai a cogliere l’uomo ridotto a se stesso e che si sforza di concepire l’esistenza dell’altro. Nel mondo troviamo un uomo che parla, un uomo che parla ad un altro uomo, e il linguaggio detta la definizione stessa di uomo.2
Inoltre la comunicazione è fenomeno talmente pervasivo da aver fatto coniare negli anni Sessanta del secolo scorso allo psicologo Paul Watzlawick3 il fortunato slogan in cui si riassume il suo primo assioma della comunicazione: “Non si può non comunicare”; formulazione vagamente paradossale esprimente l’idea che l’uomo sia una sorta di “forzato” della comunicazione, che esso esplica sia intenzionalmente, sia quando non ne ha intenzione, manifestando anche in questo secondo caso l’emergenza di contenuti che vengono involontariamente trasmessi.
Che cos’è allora che costituisce la vera novità che si può cogliere in relazione alla comunicazione nel mondo contemporaneo? I fatti nuovi sono sostanzialmente due. Innanzitutto lo sviluppo dei “mezzi di comunicazione di massa” (giornali, radio, cinema, televisione) e di quelli di comunicazione interpersonale mediati dalla tecnologia (dall’ottocentesco telegrafo, al telefono, a Internet, su su fino ai media interattivi come i social media).4 Questi sono effettivamente nati esternamente all’uomo e – soprattutto i media telematici – definiscono la più recente contemporaneità.
In secondo luogo, a definire la dimensione contemporanea non è soltanto la presenza dei mezzi più sofisticati di comunicazione, ma anche un fatto forse altrettanto importante: la nascita di una riflessione specifica sul concetto di comunicazione, totalmente assente fino alla metà del secolo scorso e sicuramente promossa, se non addirittura provocata, proprio dal vertiginoso affermarsi dei primi mezzi di comunicazione veramente di massa (come la radio) e dagli effetti (quelli veri e quelli presunti) che essi potevano provocare sui pubblici. È così che è nata negli anni Quaranta del secolo scorso negli Stati Uniti la “communication research”, finalizzata a capire il meccanismo comunicativo dei media, per neutralizzarne gli effetti potenzialmente perversi.
1.1.1 Caratteri generali e minimali della comunicazione
Ma prima di addentrarci in una rassegna storica concernente l’evoluzione della ricerca contemporanea sulla comunicazione, vale forse la pena di soffermarci su quali sono le caratteristiche minimali e imprescindibili della comunicazione. Come sottolinea opportunamente Volli5, queste caratteristiche si riducono sostanzialmente a due. La prima è costituita dalla sua natura duplice, per cui tutti gli eventi e fenomeni comunicativi hanno un doppio livello: per un verso sono dei fatti fisici, materiali, che cadono sotto la nostra percezione (la voce, la scrittura, le immagini visive – ferme o in movimento – persino i fenomeni tattili, come l’alfabeto Braille e non solo, le onde elettromagnetiche e così via). Per un altro verso tutti questi non valgono di per se stessi, ma in quanto sono portatori un ulteriore livello che è quello del significato veicolato, sottoposto al processo tutt’altro che pacifico, e anzi altamente rischioso, dell’interpretazione.
La seconda caratteristica, invece, concerne il fatto che la comunicazione è un fenomeno che non rimane mai confinato in un solo soggetto (salvo quel particolare caso rappresentato dal discorso interiore, in cui si verifica una auto-comunicazione, che sdoppia comunque il soggetto empirico in due entità). La comunicazione è sempre un processo che implica uno scambio reale (come nella comunicazione interpersonale) o simbolico-simulacrale (come nella fruizione dei media di massa). In particolare, nella comunicazione interpersonale, i due attori coinvolti sono normalmente impegnati in manovre complesse, come i giochi di ruolo e gli effetti di “faccia”: chi è emittente in un processo di comunicazione fa sempre delle ipotesi sul destinatario e sul modo in cui il suo messaggio verrà interpretato, mostrando consapevolezza della “faccia” dell’altro, ovvero del ruolo sociale che il destinatario rappresenta pubblicamente nel momento in cui comunica. La comunicazione, dunque, è un fenomeno molto più complesso di quello che normalmente non si immagini, e che segue una serie di regole implicite che proprio la riflessione degli ultimi settanta anni circa si è sforzata di enucleare.
1.2 I motivi del ritardo nella nascita di un paradigma teorico della comunicazione
Sicuramente è un fatto sorprendente che i primi studi specificamente dedicati al concetto di comunicazione in generale e ai processi in cui si articola la sua realizzazione risalgano soltanto alla prima metà del secolo scorso; il fatto è tanto più eclatante se si considera che, per esempio, gli studi sul linguaggio verbale – una delle specifiche forme di comunicazione – possano essere invece ricondotti all’antichità classica, addirittura ai filosofi presocratici. Soffermandosi su questo ritardo, che concerne la mancata nascita di un paradigma teorico riguardante specificamente la nozione di comunicazione, Volli porta come esempio la definizione che del concetto fornisce il vocabolario della lingua italiana dello Zingarelli nell’edizione del 1941, in cui la comunicazione compariva come “mezzo di corrispondere, impulso, partecipazione, trasmissione, passaggio”, e si adducevano esempi che erano primariamente riferiti ai mezzi di trasporto fisici (come “comunicazione ferroviaria, stradale, marittima”) e solo secondariamente ai mezzi di trasporto dell’informazione (come “comunicazione telegrafica, telefonica, aerea”).6 Ancora non si era tematizzata la comunicazione come processo inter-umano.
Ma quali potevano essere i motivi di questa miopia teorica (non solo italiana, ma globale), che si è perpetuata dall’antichità fino alla prima metà del secolo scorso? Una prima ragione è sicuramente individuabile nel fatto che la comunicazione, pur essendo coinvolta in qualunque processo di conoscenza, vi appare come mezzo che veicola dei contenuti: sono quindi questi ultimi (il messaggio) che hanno la ribalta, mettendo in ombra la natura specifica di ciò che li veicola (il medium). Inoltre la comunicazione appare in ogni caso come fatto assolutamente naturale, che, come tale, risulta “trasparente” e non viene colto nella sua specifica dimensione.
Dobbiamo chiederci, allora, quali eventi abbiano fatto sì che la comunicazione divenisse da “trasparente” finalmente “opaca”, rendendo così visibile qualcosa che esisteva, ma che gli studi non avevano mai tematizzato come tale. La risposta è sicuramente da ricercarsi nello straordinario sviluppo che i mezzi di comunicazione di massa hanno avuto nella prima metà del secolo scorso e soprattutto nel loro massiccio utilizzo da parte dei regimi europei totalitari. La reazione, soprattutto da parte della democrazia americana, a questo fenomeno è stata quella di un forte timore che i mezzi di comunicazione di massa avessero il potere di “fare il lavaggio del cervello” e che quello che stava succedendo in Europa potesse dilagare negli Stati Uniti o nelle altre democrazie occidentali.7
1.3 Le origini della ricerca sulla comunicazione
Infatti le prime ricerche sulla comunicazione in quanto tale, come fattore indipendente dai contenuti veicolati, si registrano negli Stati Uniti (nel periodo tra le due guerre), dove esse iniziano concentrandosi sugli effetti che le comunicazioni di massa possono produrre sui pubblici esposti alla loro azione. Queste ricerche portano all’emergenza di un modello generale della comunicazione e l’idea che si afferma inizialmente è che quest’ultima agisca secondo uno schema unilineare e ipersemplificato, che assume la seguente forma: E → M → R (un Emittente elabora e trasmette un Messaggio, che arriva ai singoli Riceventi in una forma immutata, producendo degli effetti). Tale modello, nel caso della comunicazione di massa, aveva come presupposto, dal punto di vista sociologico, che la massa dei riceventi fosse composta da un’aggregazione omogenea di individui, i quali, anche se potevano provenire da ambienti diversi e da diversi gruppi sociali, tuttavia non erano distinguibili di fronte al potere dei media. Prevaleva inoltre una concezione secondo cui la massa era composta da individui isolati, anonimi e con scarsa possibilità di interagire tra di loro e in quanto tali esposti singolarmente all’influenza dei media.8 Questo comportava l’idea che la persuasione propagandistica potesse facilmente venire “inoculata” negli individui singoli, che costituivano un facile “bersaglio”. A questa visione è stato dato il nome di “bullet theory”, facendo riferimento alla metafora del destinatario visto come un bersaglio da colpire; o anche di “teoria ipodermica”, perché si supponeva inoculasse nei destinatari dei contenuti (nel caso in questione, indesiderati). Il modello a cui si richiamava la teoria ipodermica è quello mostrato nella Figura 1.1 (ripreso da Wolf9).
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Figura 1.1 – I flussi di comunicazione secondo la teoria ipodermica (fonte: M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano 1985, p. 49).
Si trattava di un modello molto elementare e sostanzialmente non adeguato alla complessità del fenomeno, che tutta la ricerca successiva si è sforzata di modificare. Innanzitutto sono state corrette le conclusioni circa gli aspetti di passività e di isolamento dei singoli membri del gruppo, insistendo in maniera particolare sulle resistenze attive che i destinatari esercitano nei confronti delle influenze delle comunicazioni di massa. I risultati di molte ricerche empiriche hanno condotto a un ridimensionamento della capacità indiscriminata dei mezzi di comunicazione di massa di manipolare il pubblico, mettendo in risalto la complessità dei fattori che intervengono nella determinazione della risposta da parte dei destinatari dei messaggi. Wolf10 individua due tendenze nell’analisi degli effetti manipolatori progettati dall’emittente, una di ordine psicologico e una di ordine sociologico. La prima tendenza – quella di ordine psicologico, che si esplicitava soprattutto attraverso ricerche empiriche di laboratorio – giungeva a mettere in evidenza le barriere psicologiche individuali che si frapponevano tra il messaggio e la sua piena assunzione da parte dei destinatari, facendo emergere contemporaneamente il carattere di non linearità del processo comunicativo presupposto dalla teoria ipodermica. La seconda tendenza – quella di ordine sociologico, che privilegiava l’approccio sul campo – concentrava di più la sua attenzione alla connessione tra i processi di comunicazione di massa e le caratteristiche del contesto sociale in cui essi si realizzano, tematizzando sia la composizione differenziata dei pubblici, sia il ruolo della mediazione sociale che interviene nel consumo di media da parte dei tipi di pubblico, sia, infine, le differenti capacità di ogni singolo mezzo di esercitare un’influenza specifica sui pubblici.
Questi spostamenti di focalizzazione della ricerca hanno portato all’individuazione di un’importante variazione nel modello comunicativo. Lo spostamento di accento, rispetto alla teoria ipodermica, da un nesso di causa diretta tra propaganda di massa e manipolazione dell’audience a un processo mediato di influenza, ha portato, nell’ambito delle ricerche mediologiche di sociologia sul campo, alle importanti scoperte del ruolo dei leader d’opinione (opinion leader) e del flusso comunicativo a due livelli (two-step flow of communication). I leader d’opinione (definiti anche gate-keeper) sono stati individuati come quei particolari soggetti, appartenenti a un settore trasversale della stratificazione socio-economica, che si dimostravano più attivi nella partecipazione ai fenomeni di importanza sociale (come per esempio la partecipazione politica) ed erano capaci di influenzare le persone che fanno parte del loro gruppo, divenendo così dei mediatori tra i mass media e gli altri individui. Questo fatto finiva per determinare un flusso di comunicazione a due livelli, secondo cui i mass media non raggiungono una grossa parte del pubblico in modo diretto (o comunque non lo facevano in maniera tale che il messaggio ricevuto fosse assunto dai destinatari), bensì il messaggio veniva innanzitutto raccolto da un gruppo di persone influenti all’interno della comunità, le quali lo ritrasmettevano alle altre persone a esse legate (gruppi amicali, familiari, pro...

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