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La comunicazione: paradigma teorico e modelli processuali
di Giovanni Manetti
1.1 Nascita del paradigma comunicativo
La comunicazione Ăš un fenomeno intrinseco alla specie umana e a tutti gli organismi complessi (animali o dispositivi piĂč o meno âintelligentiâ e interattivi, dalla macchina che distribuisce il caffĂš ai robot). La specie umana, poi, Ăš legata, in particolare, anche a quella complessa forma di comunicazione che Ăš il linguaggio articolato, esso pure connaturato allâuomo a partire da un determinato momento evolutivo, che gli studiosi fissano per lâhomo sapiens a un periodo che oscilla tra i 150.000 e i 50.000 anni fa.1 Ben sottolinea questo fatto Emile Benveniste (1966: tr.it. 311) in un saggio in cui critica il paragone che viene spesso fatto tra il linguaggio e uno strumento esterno allâuomo:
Inoltre la comunicazione Ăš fenomeno talmente pervasivo da aver fatto coniare negli anni Sessanta del secolo scorso allo psicologo Paul Watzlawick3 il fortunato slogan in cui si riassume il suo primo assioma della comunicazione: âNon si puĂČ non comunicareâ; formulazione vagamente paradossale esprimente lâidea che lâuomo sia una sorta di âforzatoâ della comunicazione, che esso esplica sia intenzionalmente, sia quando non ne ha intenzione, manifestando anche in questo secondo caso lâemergenza di contenuti che vengono involontariamente trasmessi.
Che cosâĂš allora che costituisce la vera novitĂ che si puĂČ cogliere in relazione alla comunicazione nel mondo contemporaneo? I fatti nuovi sono sostanzialmente due. Innanzitutto lo sviluppo dei âmezzi di comunicazione di massaâ (giornali, radio, cinema, televisione) e di quelli di comunicazione interpersonale mediati dalla tecnologia (dallâottocentesco telegrafo, al telefono, a Internet, su su fino ai media interattivi come i social media).4 Questi sono effettivamente nati esternamente allâuomo e â soprattutto i media telematici â definiscono la piĂč recente contemporaneitĂ .
In secondo luogo, a definire la dimensione contemporanea non Ăš soltanto la presenza dei mezzi piĂč sofisticati di comunicazione, ma anche un fatto forse altrettanto importante: la nascita di una riflessione specifica sul concetto di comunicazione, totalmente assente fino alla metĂ del secolo scorso e sicuramente promossa, se non addirittura provocata, proprio dal vertiginoso affermarsi dei primi mezzi di comunicazione veramente di massa (come la radio) e dagli effetti (quelli veri e quelli presunti) che essi potevano provocare sui pubblici. Ă cosĂŹ che Ăš nata negli anni Quaranta del secolo scorso negli Stati Uniti la âcommunication researchâ, finalizzata a capire il meccanismo comunicativo dei media, per neutralizzarne gli effetti potenzialmente perversi.
1.1.1 Caratteri generali e minimali della comunicazione
Ma prima di addentrarci in una rassegna storica concernente lâevoluzione della ricerca contemporanea sulla comunicazione, vale forse la pena di soffermarci su quali sono le caratteristiche minimali e imprescindibili della comunicazione. Come sottolinea opportunamente Volli5, queste caratteristiche si riducono sostanzialmente a due. La prima Ăš costituita dalla sua natura duplice, per cui tutti gli eventi e fenomeni comunicativi hanno un doppio livello: per un verso sono dei fatti fisici, materiali, che cadono sotto la nostra percezione (la voce, la scrittura, le immagini visive â ferme o in movimento â persino i fenomeni tattili, come lâalfabeto Braille e non solo, le onde elettromagnetiche e cosĂŹ via). Per un altro verso tutti questi non valgono di per se stessi, ma in quanto sono portatori un ulteriore livello che Ăš quello del significato veicolato, sottoposto al processo tuttâaltro che pacifico, e anzi altamente rischioso, dellâinterpretazione.
La seconda caratteristica, invece, concerne il fatto che la comunicazione Ăš un fenomeno che non rimane mai confinato in un solo soggetto (salvo quel particolare caso rappresentato dal discorso interiore, in cui si verifica una auto-comunicazione, che sdoppia comunque il soggetto empirico in due entitĂ ). La comunicazione Ăš sempre un processo che implica uno scambio reale (come nella comunicazione interpersonale) o simbolico-simulacrale (come nella fruizione dei media di massa). In particolare, nella comunicazione interpersonale, i due attori coinvolti sono normalmente impegnati in manovre complesse, come i giochi di ruolo e gli effetti di âfacciaâ: chi Ăš emittente in un processo di comunicazione fa sempre delle ipotesi sul destinatario e sul modo in cui il suo messaggio verrĂ interpretato, mostrando consapevolezza della âfacciaâ dellâaltro, ovvero del ruolo sociale che il destinatario rappresenta pubblicamente nel momento in cui comunica. La comunicazione, dunque, Ăš un fenomeno molto piĂč complesso di quello che normalmente non si immagini, e che segue una serie di regole implicite che proprio la riflessione degli ultimi settanta anni circa si Ăš sforzata di enucleare.
1.2 I motivi del ritardo nella nascita di un paradigma teorico della comunicazione
Sicuramente Ăš un fatto sorprendente che i primi studi specificamente dedicati al concetto di comunicazione in generale e ai processi in cui si articola la sua realizzazione risalgano soltanto alla prima metĂ del secolo scorso; il fatto Ăš tanto piĂč eclatante se si considera che, per esempio, gli studi sul linguaggio verbale â una delle specifiche forme di comunicazione â possano essere invece ricondotti allâantichitĂ classica, addirittura ai filosofi presocratici. Soffermandosi su questo ritardo, che concerne la mancata nascita di un paradigma teorico riguardante specificamente la nozione di comunicazione, Volli porta come esempio la definizione che del concetto fornisce il vocabolario della lingua italiana dello Zingarelli nellâedizione del 1941, in cui la comunicazione compariva come âmezzo di corrispondere, impulso, partecipazione, trasmissione, passaggioâ, e si adducevano esempi che erano primariamente riferiti ai mezzi di trasporto fisici (come âcomunicazione ferroviaria, stradale, marittimaâ) e solo secondariamente ai mezzi di trasporto dellâinformazione (come âcomunicazione telegrafica, telefonica, aereaâ).6 Ancora non si era tematizzata la comunicazione come processo inter-umano.
Ma quali potevano essere i motivi di questa miopia teorica (non solo italiana, ma globale), che si Ăš perpetuata dallâantichitĂ fino alla prima metĂ del secolo scorso? Una prima ragione Ăš sicuramente individuabile nel fatto che la comunicazione, pur essendo coinvolta in qualunque processo di conoscenza, vi appare come mezzo che veicola dei contenuti: sono quindi questi ultimi (il messaggio) che hanno la ribalta, mettendo in ombra la natura specifica di ciĂČ che li veicola (il medium). Inoltre la comunicazione appare in ogni caso come fatto assolutamente naturale, che, come tale, risulta âtrasparenteâ e non viene colto nella sua specifica dimensione.
Dobbiamo chiederci, allora, quali eventi abbiano fatto sĂŹ che la comunicazione divenisse da âtrasparenteâ finalmente âopacaâ, rendendo cosĂŹ visibile qualcosa che esisteva, ma che gli studi non avevano mai tematizzato come tale. La risposta Ăš sicuramente da ricercarsi nello straordinario sviluppo che i mezzi di comunicazione di massa hanno avuto nella prima metĂ del secolo scorso e soprattutto nel loro massiccio utilizzo da parte dei regimi europei totalitari. La reazione, soprattutto da parte della democrazia americana, a questo fenomeno Ăš stata quella di un forte timore che i mezzi di comunicazione di massa avessero il potere di âfare il lavaggio del cervelloâ e che quello che stava succedendo in Europa potesse dilagare negli Stati Uniti o nelle altre democrazie occidentali.7
1.3 Le origini della ricerca sulla comunicazione
Infatti le prime ricerche sulla comunicazione in quanto tale, come fattore indipendente dai contenuti veicolati, si registrano negli Stati Uniti (nel periodo tra le due guerre), dove esse iniziano concentrandosi sugli effetti che le comunicazioni di massa possono produrre sui pubblici esposti alla loro azione. Queste ricerche portano allâemergenza di un modello generale della comunicazione e lâidea che si afferma inizialmente Ăš che questâultima agisca secondo uno schema unilineare e ipersemplificato, che assume la seguente forma: E â M â R (un Emittente elabora e trasmette un Messaggio, che arriva ai singoli Riceventi in una forma immutata, producendo degli effetti). Tale modello, nel caso della comunicazione di massa, aveva come presupposto, dal punto di vista sociologico, che la massa dei riceventi fosse composta da unâaggregazione omogenea di individui, i quali, anche se potevano provenire da ambienti diversi e da diversi gruppi sociali, tuttavia non erano distinguibili di fronte al potere dei media. Prevaleva inoltre una concezione secondo cui la massa era composta da individui isolati, anonimi e con scarsa possibilitĂ di interagire tra di loro e in quanto tali esposti singolarmente allâinfluenza dei media.8 Questo comportava lâidea che la persuasione propagandistica potesse facilmente venire âinoculataâ negli individui singoli, che costituivano un facile âbersaglioâ. A questa visione Ăš stato dato il nome di âbullet theoryâ, facendo riferimento alla metafora del destinatario visto come un bersaglio da colpire; o anche di âteoria ipodermicaâ, perchĂ© si supponeva inoculasse nei destinatari dei contenuti (nel caso in questione, indesiderati). Il modello a cui si richiamava la teoria ipodermica Ăš quello mostrato nella Figura 1.1 (ripreso da Wolf9).
Figura 1.1 â I flussi di comunicazione secondo la teoria ipodermica (fonte: M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano 1985, p. 49).
Si trattava di un modello molto elementare e sostanzialmente non adeguato alla complessitĂ del fenomeno, che tutta la ricerca successiva si Ăš sforzata di modificare. Innanzitutto sono state corrette le conclusioni circa gli aspetti di passivitĂ e di isolamento dei singoli membri del gruppo, insistendo in maniera particolare sulle resistenze attive che i destinatari esercitano nei confronti delle influenze delle comunicazioni di massa. I risultati di molte ricerche empiriche hanno condotto a un ridimensionamento della capacitĂ indiscriminata dei mezzi di comunicazione di massa di manipolare il pubblico, mettendo in risalto la complessitĂ dei fattori che intervengono nella determinazione della risposta da parte dei destinatari dei messaggi. Wolf10 individua due tendenze nellâanalisi degli effetti manipolatori progettati dallâemittente, una di ordine psicologico e una di ordine sociologico. La prima tendenza â quella di ordine psicologico, che si esplicitava soprattutto attraverso ricerche empiriche di laboratorio â giungeva a mettere in evidenza le barriere psicologiche individuali che si frapponevano tra il messaggio e la sua piena assunzione da parte dei destinatari, facendo emergere contemporaneamente il carattere di non linearitĂ del processo comunicativo presupposto dalla teoria ipodermica. La seconda tendenza â quella di ordine sociologico, che privilegiava lâapproccio sul campo â concentrava di piĂč la sua attenzione alla connessione tra i processi di comunicazione di massa e le caratteristiche del contesto sociale in cui essi si realizzano, tematizzando sia la composizione differenziata dei pubblici, sia il ruolo della mediazione sociale che interviene nel consumo di media da parte dei tipi di pubblico, sia, infine, le differenti capacitĂ di ogni singolo mezzo di esercitare unâinfluenza specifica sui pubblici.
Questi spostamenti di focalizzazione della ricerca hanno portato allâindividuazione di unâimportante variazione nel modello comunicativo. Lo spostamento di accento, rispetto alla teoria ipodermica, da un nesso di causa diretta tra propaganda di massa e manipolazione dellâaudience a un processo mediato di influenza, ha portato, nellâambito delle ricerche mediologiche di sociologia sul campo, alle importanti scoperte del ruolo dei leader dâopinione (opinion leader) e del flusso comunicativo a due livelli (two-step flow of communication). I leader dâopinione (definiti anche gate-keeper) sono stati individuati come quei particolari soggetti, appartenenti a un settore trasversale della stratificazione socio-economica, che si dimostravano piĂč attivi nella partecipazione ai fenomeni di importanza sociale (come per esempio la partecipazione politica) ed erano capaci di influenzare le persone che fanno parte del loro gruppo, divenendo cosĂŹ dei mediatori tra i mass media e gli altri individui. Questo fatto finiva per determinare un flusso di comunicazione a due livelli, secondo cui i mass media non raggiungono una grossa parte del pubblico in modo diretto (o comunque non lo facevano in maniera tale che il messaggio ricevuto fosse assunto dai destinatari), bensĂŹ il messaggio veniva innanzitutto raccolto da un gruppo di persone influenti allâinterno della comunitĂ , le quali lo ritrasmettevano alle altre persone a esse legate (gruppi amicali, familiari, pro...