Rune scandinave
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Rune scandinave

La scrittura degli Dei del Nord

Luisella Sari

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Rune scandinave

La scrittura degli Dei del Nord

Luisella Sari

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Un affascinante e coinvolgente viaggio tra linguistica e archeologia, storia e antropologia, per ripercorrere l'evoluzione della sequenza runica lungo quindici secoli, dall'Età del Ferro fino al Medioevo.A partire dalla Danimarca, attraverso la Svezia e la Norvegia, fino alle più remote regioni della Groenlandia, le rune ebbero un ruolo di preminenza assoluta nel panorama culturale scandinavo. Misteriosi segni di origine divina, prerogativa del Padre degli dèi, Odino, che le impiega per i propri incantesimi e sortilegi, nei primi secoli della loro storia vennero utilizzate da più popolazioni di stirpe germanica, trovando dall'epoca vichinga in poi la propria massima espressione nel mondo nordico.Un progressivo processo di laicizzazione le portò nel Medioevo a divenire lo strumento di una vivace ed eterogenea comunicazione quotidiana, senza che questo le privasse mai totalmente dell'alone di sacralità entro il quale erano sorte.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820395858
Topic
Storia
1
La Fase Antica. La Scandinavia nell’età del Ferro
FASI DELL’ETÀ DEL FERRO IN SCANDINAVIA
500 a.C.-0
età del Ferro Preromana
0-400 d.C.
età del Ferro Romana
400-550 d.C.
età delle Migrazioni
550-793 d.C.
età di Vendel [dei Merovingi / del Ferro Germanica Recente]
Rispetto a quanto avvenne nell’Europa continentale, nel Nord l’età del Ferro iniziò relativamente più tardi e durò più a lungo, coprendo un arco temporale di alcuni secoli corrispondenti altrove già al Medioevo. Il contatto con la cultura romana fu in tale periodo così intenso e significativo da portare a classificare come età del Ferro Preromana la fase più arcaica ed età del Ferro Romana quella seguente, che si protrasse fino al V secolo. Successivamente, dove altrove il 476 d.C. con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente segnava l’inizio del Medioevo, in Scandinavia il periodo compreso tra il 400 d.C. e il 550 d.C. corrispose all’età delle Migrazioni, con riferimento ai grandi spostamenti di popoli, che mossero verso sud andando a premere sui confini dell’impero. I secoli successivi, che condussero al 793 d.C., anno convenzionale di inizio dell’Epoca Vichinga, sono detti età del Ferro Germanica Recente per la Danimarca, età dei Merovingi per la Norvegia ed età di Vendel per la Svezia, dall’omonimo sito archeologico, la cui importanza è però tale da far sì che spesso si adotti per tutto il Nord Europa più semplicemente la definizione di età di Vendel.
È durante l’età del Ferro Romana che vennero ideate le rune, il fuþark antico raggiunse la propria forma definitiva e furono realizzate le prime iscrizioni. La tradizione epigrafica del fuþark a 24 segni continuò poi ininterrotta fino all’età di Vendel, quando cominciarono a essere utilizzate rune di una nuova sequenza nella quale trovavano espressione i mutamenti cui la lingua era soggetta in quel periodo.
Se l’età del Bronzo, dal 1700 al 500 a.C. circa, era stata un’epoca di prosperità, favorevole alle coltivazioni e allo sviluppo degli insediamenti umani, l’inizio dell’età del Ferro fu caratterizzato in Scandinavia da un lento e progressivo peggioramento climatico, che comportò un netto inasprimento delle condizioni di vita e che colpì soprattutto l’agricoltura. La rarità di reperti archeologici nella prima fase di questa epoca ha portato a ipotizzare che la contemporanea espansione dell’influenza celtica nell’Europa centrale avesse contribuito a creare un mercato continentale, isolando ulteriormente le regioni nordiche, già geograficamente più svantaggiate. Le aree meridionali della Scandinavia non vennero tuttavia completamente estromesse da questa ondata culturale, come testimonia per esempio uno tra i più famosi reperti nordici di matrice celtica, il calderone di Gundestrup. Si tratta di un imponente bacile in argento, rinvenuto in una torbiera danese dello Jutland settentrionale e costituito da pannelli istoriati con figure mitologiche, che ne lasciano presupporre la natura sacrale.
In generale l’età del Ferro Preromana fu caratterizzata da sepolture semplici, nelle quali un corredo essenziale accompagnava l’urna con le ceneri del defunto, ma vi sono evidenze di offerte votive che lasciano immaginare, nonostante una società ancora molto primitiva, l’esistenza di una casta addetta all’esercizio del culto e dei rituali a esso connessi. Tra il 200 e il 150 a.C. in Danimarca e in tutta l’area meridionale della penisola scandinava si ebbe un’evoluzione dei costumi funerari, forse riflesso della nascita di una classe sociale emergente, abbiente, detentrice del potere e fortemente attratta dal modello continentale, per cui i corredi funebri divennero più ricchi, quelli maschili connotati da armi e quelli femminili da gioielli, tutti caratterizzati dalla presenza di pregiati manufatti di matrice celtica o romana. Intorno all’inizio della nostra era tornò ad aumentare ovunque in Scandinavia il numero dei nuclei abitati organizzati in villaggi e sull’isola di Gotland e nelle regioni svedesi di Västergötland e Östergötland alcune aree vennero adibite a necropoli per la comunità, nelle quali le tombe potevano anche essere marcate da bautasteinar, massi di una certa dimensione innalzati in prossimità delle sepolture secondo in precise forme geometriche. Esempi di questi monumenti si trovano anche in Norvegia, in Danimarca e nell’isola di Bornholm, e in alcuni casi risalgono alla precedente età del Bronzo, a testimonianza di una forte continuità culturale.
La nuova conoscenza tecnologica della lavorazione del ferro e i relativi prodotti, principalmente armi, sommati all’inquietudine generata dalle peggiorate condizioni di vita, portarono le popolazioni dell’epoca a scontrarsi di frequente, come dimostrato dall’impressionante quantità di equipaggiamenti militari proveniente dai depositi votivi. Insieme a questi oggetti ne vennero sacrificati anche altri, tra i quali anelli, bracciali, fibule, rasoi, spilloni, pettini e non erano rari nemmeno i sacrifici umani, documentati dal ritrovamento di numerose mummie di palude. Alcuni di questi oggetti recavano iscrizioni runiche, prime attestazioni scritte della lingua nordica, che dal II secolo d.C. più o meno fino alla fine dell’VIII secolo d.C. appare piuttosto omogenea in tutta la Scandinavia. Le divisioni linguistiche, infatti, si mostrarono relativamente tardi, in parte per la collocazione periferica stessa dell’area rispetto al resto dell’Europa e in parte perché i popoli nordici rimasero nelle loro sedi storiche senza grandi spostamenti fino all’Epoca Vichinga. Le iscrizioni in fuþark antico sono molto brevi, dal contenuto essenziale, tuttavia sufficiente per individuare strutture formulari ripetitive e per trarne delle osservazioni sulla lingua. Questa presenta morfologicamente e sintatticamente tratti talmente arcaici da lasciare ipotizzare la coincidenza di alcune forme con quelle ricostruite dai glottologi e attribuite non solo al nordico preletterario, ma addirittura al cosiddetto germanico comune. Più o meno intorno al VI secolo iniziarono a emergere i tratti distintivi del nordico rispetto alle altre lingue germaniche, mutamenti nel consonantismo e nel vocalismo dovuti all’esito delle sillabe non accentate e alla diffusione di fenomeni come la metafonia e la frattura, ma solo in piena Epoca Vichinga fu possibile parlare di una variante occidentale e di una orientale del germanico settentrionale. Di pari passo con la lingua anche la sequenza runica subì un’evoluzione, tanto che l’ultima fase della produzione antica è spesso contrassegnata da un sincretismo di forme epigrafiche e linguistiche conservative e innovatrici a riflesso della situazione culturale di passaggio tra due epoche.
Origine delle rune
Che il fuþark si sia ispirato a un modello di riferimento è concetto accettato da tutti gli studiosi, così come il fatto che tale modello debba essere stato mediterraneo; la sua identificazione è un interrogativo classico della runologia, oggi ancora irrisolto, nonostante l’incremento negli ultimi decenni del numero di reperti noti, arrivati complessivamente a un corpus di circa 450 iscrizioni in fuþark antico. Quando nel XIX secolo nacquero la linguistica storica e la filologia fu chiaro che una società caratterizzata dall’oralità non poteva dal nulla aver ideato un alfabeto fonetico, che costituisce il grado più elevato e complesso nel processo di alfabetizzazione, a cui si giunge attraverso fasi obbligate, partendo da una riproduzione pittorica della realtà, come per esempio nelle incisioni preistoriche, per passare poi a un sistema di scrittura basato su ideogrammi e successivamente a una scrittura sillabica, raggiungendo solo al termine di questo percorso un alfabeto fonetico. Quando presso un popolo non vi sono testimonianze di questi passaggi e ci si trova direttamente di fronte a un alfabeto fonetico, si ha sicuramente a che fare con un prestito, o meglio con la rielaborazione di un modello che in precedenza ha rispettato tutte le fasi evolutive.
I primi tentativi di identificazione di tale modello si basarono sulla ricerca di una corrispondenza grafica tra le rune e le lettere prese di volta in volta in considerazione, ma questo risultò essere un approccio piuttosto limitante. L’unico atteggiamento realmente funzionale è ampliare l’analisi dal concetto di alfabeto a quello di sistema di scrittura perché, nel momento in cui ci si rifà a uno schema esterno, non se ne prendono in prestito solo le lettere e i loro valori fonetici, bensì anche tutti gli altri elementi che lo fanno funzionare, quali la direzione della scrittura, l’uso di legature tra i segni o di elementi di interpunzione tra le parole e le convenzioni ortografiche, così come le motivazioni e gli scopi per i quali si scrive. Sulla base di queste osservazioni il predecessore mediterraneo del fuþark è stato individuato, nel tempo, nell’alfabeto latino, in quello greco e in quelli nord italici. L’ipotesi greca oggi conta ancora qualche sostenitore, ma la maggior parte degli studiosi propende per l’una o l’altra delle due restanti teorie. Geograficamente si potrebbe dire che la scuola nordica propende per la tesi latina e quella continentale, italo-tedesca, per la tesi nord italica, senza tuttavia che una teoria prevalga in maniera netta sulle altre.
Ipotesi latina
Nel 1874 Ludwig Wimmer pubblicò la sua opera Runeskriftens oprindelse og udvikling i Norden a Copenhagen, ripresa in tedesco a Berlino alcuni anni più tardi col il titolo Die Runenschrift, nella quale, basandosi su un’innegabile affinità di forma tra alcune rune e altrettante lettere della maiuscola latina imperiale, formulava la teoria della derivazione del fuþark da questo modello. Considerando che fino a non molto tempo prima non si aveva certezza neppure della maggiore antichità del fuþark a 24 segni rispetto a quello a 16, si trattava di una proposta rivoluzionaria. Negli anni ’20 dello scorso secolo il danese Holger Pedersen riprese questa tesi, ipotizzando che i Celti lungo il Reno avessero potuto fare da mediatori tra la cultura romana e quella germanica verso l’inizio della nostra era, e sottolineando alcune affinità tra la scrittura runica e l’ogam. Da allora l’ipotesi latina ha continuato ad avere molti sostenitori, ognuno dei quali ha dato il proprio contributo scientifico nel motivarla.
Effettivamente una presenza, e una conseguente influenza, della cultura romana nei territori dei Germani tra l’anno 0 e il 400 d.C. è storicamente e archeologicamente provata, e questi secoli potrebbero coincidere cronologicamente con la proposta di rielaborazione del modello latino. Se da un lato il più antico reperto accertato recante rune, il pettine di Vimose, risale al 160 d.C., dall’altro l’archeologia conferma che agli anni 1-160 d.C. appartengono alcune decine di iscrizioni romane su oggetti ritrovati in Scandinavia, talvolta recanti anche lo stampo di fabbrica, dunque i Germani conoscevano certamente l’esistenza della scrittura. Le sepolture nelle quali sono stati ritrovati, principalmente in territorio danese e sull’isola di Gotland, dimostrano che solo una certa élite poteva permettersi beni tanto preziosi, ma non sappiamo se i proprietari comprendessero anche il significato delle iscrizioni. Marchi di fabbrica sono presenti anche su alcune delle spade romane emerse dalla palude di Illerup Ådal nello Jutland orientale, dove nell’età del Ferro si trovava un lago profondo circa 3 metri, in cui in almeno quattro distinte occasioni tra il 200 e il 500 d.C. vennero ritualmente sacrificati gli equipaggiamenti e i beni personali degli eserciti sconfitti in altrettanti scontri armati di vaste dimensioni. L’altissima incidenza di lame romane tra i reperti non fa che confermare l’esistenza di un commercio di questi oggetti pregiati, rimandando ancora a quella che potremmo definire aristocrazia; il fatto che alcuni dei reperti di Illerup Ådal rechino iscrizioni in fuþark antico, per lo più costituite da antroponimi, rimanda poi in maniera molto interessante al concetto di marchio di fabbrica romano.
Contemporaneamente alle attività di scavi archeologici iniziate nel 1950 in questo importante sito, lo studioso Erik Moltke propose che l’alfabeto latino fosse stato introdotto nel Nord da mercanti danesi e, sebbene non vi siano prove concrete a supporto di questa ipotesi, molti tra i sostenitori della tesi latina convengono comunque più genericamente sul fatto che la trasmissione del modello possa essere avvenuta effettivamente attraverso una via commerciale. Nonostante l’ombra del massacro delle legioni di Publio Varo nella selva di Teutoburgo nel 9 d.C., le campagne renane di epoca augustea erano essenzialmente campagne di natura commerciale e, da un punto di vista cronologico, l’età augustea potrebbe coincidere con il periodo della nascita delle rune, perché, anche nel caso in cui la fibula di Meldorf fosse definitivamente riconosciuta come primo esempio di iscrizione runica, sarebbero rispettate le tempistiche di trasmissione e diffusione della scrittura. Una variante a questa ipotesi potrebbe essere definita l’idea di un passaggio attraverso la via militare, sostenuta da quanti evidenziano il ruolo che avrebbero potuto rivestire mercenari di lingua germanica, parzialmente alfabetizzati in latino, che al termine del proprio servizio si sarebbero trasformati in mercanti in contatto con le élites guerriere del Nord Europa. Sono entrambe ipotesi verosimili, tuttavia non è possibile dare a nessuna una conferma definitiva. Neppure dal confronto grafico tra le due sequenze derivano certezze assolute, perché le similitudini tra alcuni segni del fuþark antico e della maiuscola latina sono innegabili, ma altri caratteri sono totalmente differenti senza che per questo vi sia una concreta spiegazione. Per quanto in alcuni casi sia stato chiamato a sostegno il principio linguistico dell’analogia del polacco Jerzy Kurylowicz, secondo il quale per esprimere un nuovo concetto si usa un segno ...

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