Existential Marketing
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Existential Marketing

I consumatori comprano - Gli individui scelgono

Paolo Iabichino, Stefano Gnasso

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  1. 240 pages
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Existential Marketing

I consumatori comprano - Gli individui scelgono

Paolo Iabichino, Stefano Gnasso

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In una società senza direzioni non si possono più dare nuovi nomi a vecchi comportamenti. Per mantenere efficace la comunicazione di marca è fondamentale un vero e proprio cambio di paradigma. Quello proposto dagli autori si basa sull'individuazione di nuove narrazioni che, rispondendo a criteri di autenticità per i diversi pubblici, possono avere un potenziale di trasformazione esistenziale. Perché ormai i brand sono sempre più chiamati ad agire all'interno di contesti socio-culturali che non sono più la semplice scenografia delle proprie matrici narrative, ma diventano parte stessa del racconto di marca, per impattare positivamente sulla collettività. Questo nuovo indirizzo strategico per la comunicazione d'impresa e il marketing si delinea a partire da un'analisi del cambiamento sociale, in atto dai primi anni '90, che mette in crisi il tradizionale approccio pianificatorio delle discipline in questione per abbracciare una nuova tensione creativa, in cui marche, pubblico e società si ritrovano all'interno di un circolo virtuoso win-win.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2014
ISBN
9788820364021
Subtopic
Marketing

Parte I

E se non avessimo un destino?

di Stefano Gnasso

a Elena
a Sergio

CAPITOLO 1

QUANDO E PERCHÉ IL CONSUMATORE È DIVENTATO INFEDELE

L’inconoscibilità del consumatore

Negli ultimi anni vi sono segnali sempre più numerosi che indicano dei mutamenti sostanziali, relativamente alle pratiche consolidate, del sistema di saperi e conoscenze acquisite, differenze e scarti che rivelano discontinuità con il passato, mostrando che stiamo entrando in un tempo nuovo, con un suo specifico, differente da quello che l’ha preceduto.
I sintomi di questo cambiamento epocale, che coinvolge tutti gli ambiti del vivere sociale, sono particolarmente visibili nei comportamenti di consumo. Questa dimensione, sempre più articolata e pervasiva nella nostra società, più di ogni altra risulta in grado di catalizzare e dare forma ai fenomeni emergenti, grazie anche alla sua capacità di farsi interprete e traino delle nuove tendenze nei momenti di transizione.
Il cambiamento sociale si è accelerato ed è divenuto sempre meno prevedibile, non segue più una logica lineare e graduale, ma appare procedere per discontinuità, caratterizzato da una dinamica a sbalzi.
Già più di dieci anni fa Giampaolo Fabris individuava questa evoluzione, oggi palese ai più.
“Quando questo mutamento porta a una configurazione del tutto particolare tra lo stato degli elementi, il sistema evolve, nel suo complesso, drasticamente, dando origine a un ciclo di mutamenti apparentemente sproporzionati rispetto a quelle che sono state le cause apparenti o dirette del fenomeno. Il problema è di conoscere cause, prevedibilità e modo di porsi delle turbolenze.”3
Di conseguenza, come si vedrà nel Capitolo 3, da tempo si evidenzia la crescente problematicità nell’interpretare e nel prevedere le pratiche di consumo, e sempre più fonti convergono sulla sostanziale inconoscibilità del consumatore. Già Gerken nel 1994 considerava come la domanda fosse “divenuta un mattacchione ammiccante, che ama più le sorprese e i paradossi che la prevedibilità,”4 e già da allora, per tale motivo, riteneva che questa non dovesse avere la tradizionale, centrale rilevanza in un rinnovato stile manageriale di presenza sul mercato.
Pertanto, le convenzionali analisi di mercato permettono sempre meno di comprendere le dinamiche di consumo e le conseguenti tecniche di marketing falliscono nell’interagire con un consumatore che appare sfuggente e lunatico, oltre che sempre più saturo e informato, esigente e selettivo. A tal proposito possiamo individuare un primo momento di reale, irreversibile frattura già nel periodo tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà del decennio successivo. Già lì possiamo affermare che il crescere dell’entropia, a livello sociale e individuale, ha iniziato a rendere i comportamenti del consumatore imprevedibili (secondo la logica pianificatoria della disciplina).
Il crescere dell’entropia, a livello sociale e individuale, ha iniziato a rendere i comportamenti del consumatore imprevedibili.
In particolare, in quel momento ha perso di efficacia la stretta correlazione tra le caratteristiche socio-demografiche del consumatore (variabili di sesso, geografiche, di reddito e livello socioculturale), le sue connotazioni psicografiche (lo stile di vita, l’insieme delle opinioni, convinzioni, preferenze, gli atteggiamenti e orientamenti) e i suoi effettivi comportamenti di consumo (abitudini, propensione alla spesa, tipologia di prodotti acquistati, brand di riferimento, criteri di scelta, gratificazioni e valori ricercati nell’esperienza di consumo).
La relazione tra queste variabili, con il passare del tempo, si rivelerà sempre meno scontata e consequenziale, sino a far saltare i forti legami esistenti tra le connotazioni socio-demografiche e psicologiche degli individui e i relativi comportamenti di consumo.
A partire dagli anni Novanta, infatti, i consumatori sono diventati sempre più complessi e assai meno lineari nei loro percorsi di consumo. Sono divenuti più sensibili alle novità del mercato, più esplorativi (quindi meno fedeli alle marche tradizionali), più individualisti e bisognosi di rinnovarsi, distinguersi e stupire.5
I fattori alla base dell’attuale inconoscibilità della domanda, quindi, oltre a essersi originati in un tempo ormai lontano, sono molteplici e di difficile individuazione, da porre in relazione sia con la crescente complessità del sistema sociale, sia con accadimenti di tipo storico-culturale.
In più ci confrontiamo con un consumatore reso più esigente e selettivo dall’accresciuta informazione sui prodotti e sulle marche, che richiede ai propri interlocutori del mondo della produzione una qualità sempre maggiore e un’innovazione continua.
Certo, da allora, la diffusione della consapevolezza sulle logiche di promozione e di vendita, tanto quelle ufficiali quanto quelle di retroscena, ha aumentato la diffidenza verso le operazioni di marketing e di pubblicità.
Ma crediamo sia necessario anche, e soprattutto, inquadrare l’incoerenza e l’infedeltà del consumatore nella cornice storico-culturale in cui si è trovato a vivere negli ultimi vent’anni. La diffusa instabilità a livello sociale, che iniziò a generarsi nei primi anni Novanta, ha portato all’affermarsi di una forte tendenza al seguire originali percorsi esistenziali, spesso privi di ancoraggio a una collettività e decisamente orientati all’individualismo, caratterizzati nell’ambito del consumo da atteggiamenti pragmatici, critici e selettivi.
A questo si aggiunge, a partire da allora, in relazione allo specifico contesto italiano, una rilevante perdita di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della società che ha determinato disillusione e voglia di far da sé.
Questi sentimenti sono stati enfatizzati dal diffondersi di incertezza e preoccupazione per il futuro e ravvivati dalla percezione delle difficoltà del sistema economico, rese evidenti in diversi momenti (dalla recessione economica del 1993 allo sgretolarsi di alcuni pilastri portanti dell’economia e della finanza, a fine decennio, al fallimento della new economy, al crollo delle borse, all’emergere palese della corruzione anche nelle aziende private, sino ad arrivare alla crisi finanziaria degli ultimi sei anni, inafferrabile ai più, e alla crisi politico-istituzionale che sembra senza ritorno).
Proprio la serie impressionante di accadimenti legati in questi ultimi anni a una crisi finanziaria pressoché incomprensibile ha, poi, evidenziato i limiti della società industriale, affluente e avanzata, a fronte della gestione dell’imprevisto e della complessità.
L’indagine Trends Monitor 3SC dell’istituto GPF evidenzia un crollo di 15 punti negli ultimi tre anni (Figura 1.1), relativo alla capacità di gestire la complessità da parte dei cittadini italiani, preoccupati soprattutto del vivere con le incertezze e gli imprevisti della vita moderna.
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Figura 1.1 – Percentuale della popolazione risultante in grado di gestire la complessità. Fonte: GPF 3SC 2013.
Ci troviamo, dunque, sempre più a vivere quotidianamente in una realtà caratterizzata dall’imprevisto e dall’imprevedibile, sperimentando l’inefficacia dell’uso di schemi logici tratti dall’esperienza pregressa, rendendo così impossibile l’utilizzo di qualsiasi scenario.
Se, infatti, come appurato, nel 2008 tutti gli operatori finanziari erano in grado di conoscere il livello di rischio assunto, è evidente che è sostanzialmente venuto meno il modello logico-razionale di comprensione della realtà economica.
La cultura che fa da sostrato alle scelte finanziarie è spesso lontana dalla tensione verso l’equilibrio economico ed è diffusa nel corpo sociale: la troviamo in chi, per esempio, ha comprato una casa negli Stati Uniti, accendendo un mutuo che molto difficilmente avrebbe potuto estinguere, così come nelle élite che hanno creato i prodotti finanziari in questione.
Sarebbe importante, a tal proposito, approfondire la riflessione sulle caratteristiche della cultura contemporanea, sul perché tenda a mutare gli equilibri consolidati della società moderna ma, mancando di tensione sociale, non vada a indicarne di nuovi.
Il marketing, a fronte di tale evoluzione del contesto, sembra non essersi accorto più di tanto dello stravolgimento in atto; ancorato al suo tradizionale ruolo, rimane sostanzialmente impegnato nel mantenimento acritico del proprio paradigma tradizionale, rivelando grandi difficoltà nello sviluppare una nuova visione per interpretare i segnali provenienti dallo scenario attuale.
Questo avviene nonostante il fatto che da tempo venga richiesto alle strategie aziendali un approccio fluido e un allargamento di contenuti, analisi e strumenti. Già nel 1987, infatti, Igor Ansoff individuava la risposta efficace all’imprevisto, come principale sfida strategica aziendale per il decennio successivo. Vedeva infatti un importante cambiamento: da un contesto caratterizzato da segnali deboli parzialmente prevedibili a uno segnato da eventi imprevedibili; laddove in questa situazione risultava centrale l’abilità del manager di capire, anticipare e rispondere alle discontinuità ancor più dell’approfondita conoscenza delle ragioni storiche del successo.6
Si trattava quindi di un management che, necessariamente, era chiamato a sviluppare e a mettere in pratica un approccio direzionale con forti apporti di creatività.
In quest’ottica, in cui la turbolenza da ripetitiva si fa imprevista, diviene necessario il passaggio da un sistema chiuso a uno completamente aperto. L’approccio, da conservatore e disattento alle trasformazioni, deve divenire flessibile, teso all’individuazione dei segnali di cambiamento, originali e spesso non correlati. La strategia, da poco modificabile e basata sulle precedenti esperienze, deve, quindi, divenire creativa, cosciente dell’impossibilità di seguire una direzione costituita in buona parte da estrapolazioni dal passato.
Appare dunque centrale l’importanza di comprendere questo diverso scenario ed elaborare la strategia aziendale in una logica di discontinuità rispetto alle modalità del passato.
Si manifesta la necessità di adottare un mindset completamente nuovo: sono necessari nuovi sguardi, nuove prospettive, nuove capacità d’interpretazione, nuovi approcci sistemici per conoscere, comprendere e agire a fronte di questa sfida.
Rispetto alla difficoltà del marketing attuale di focalizzare il cambiamento di scenario, si può tornare a parlare di marketing myopia,7 un limite di questa disciplina che, tesa a conseguire risultati nel breve periodo, appare inadatta a guardare lontano, a vedere oltre, considerando ciò che avviene al di là del contingente, a pensare al futuro e immaginare prospettive a lungo termine.
Ma pensiamo che il problema più rilevante sia dal lato opposto, nel fatto che il marketing, guardando ai mercati troppo da vicino, porti anche a non mettere a fuoco l’oggetto dell’osservazione, cioè il consumatore stesso. È in questo senso che possiamo parlare di presbiopia del marketing. Pensiamo infatti che il marketing abbia difficoltà non solo a immaginare prospettive di ampio respiro, ma anche ad analizzare in modo sistematico un contesto sociale in cambiamento, in modo da collocare le dinamiche di domanda e offerta, con le stesse attività di marketing, nell’ambito di relazioni sociali complesse, che non si possono ridurre alle specifiche attività relative alla vendita e all’acquisto.8
La focalizzazione atomistica sui singoli atti di acquisto e di consumo, basata su un presupposto riduttivo del consumo come sommatoria di singole scelte, porta a considerare il consumatore come un individuo estraniato dal contesto sociale, che agisce in modo individuale. In questo modo, il consumo appare, per usare le parole di Fabris, “espressione di solitudine esistenziale, un agire solipsistico con il mondo degli oggetti.”9 Si trascurano le dinamiche del contesto e si impedisce così di percepire il quadro d’assieme del fenomeno, che permette di dare un significato unitario alle scelte individuali.
“Le preferenze sono interdipendenti, nel senso che le scelte di consumo del singolo sono fortemente influenzate dagli altri soggetti, ma anche che queste non avvengono tra beni singolarmente percepiti e preferiti. Il consumatore acquista cluster di prodotti fortemente interconnessi l’un l’altro.”10
Una simile visione del consumatore è evidentemente debitrice della concezione del consumo propria della teoria economica neoclassica. Questa oggi appare limitata, più precisamente appare in sofferenza per il tentativo di riduzione di una realtà complessa a un modello teorico costruito avendo come scenario quello delle società industriali.
Secondo il paradigma del marketing as exchange, infatti, la soddisfazione dei bisogni dell’individuo si realizza attraverso scambi potenziali, e si afferma che “il concetto di scambio po...

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