Yes I know… Pino Daniele
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Yes I know… Pino Daniele

Tra pazzie e Blues---storia di un masaniello newpolitano

Carmine Aymone

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  1. 192 pages
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Yes I know… Pino Daniele

Tra pazzie e Blues---storia di un masaniello newpolitano

Carmine Aymone

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ino Daniele è uno dei principali rappresentanti della canzone d'autore italiana, tra i primi ad aprirsi a collaborazioni con artisti internazionali.Il libro racconta la storia di un "suonautore", cresciuto nel cuore del centro storico di una città fatta di sole e mare, di tufo e musica, nata dal canto della sirena Partenope. Un luogo dove una storia millenaria si mescola a miti e leggende, in ultimo proprio alla sua, a quella di un bluesman scugnizzo, di un lazzaro felice che, chitarra in spalla e con un cuore malato, ha saputo conquistare con le sue note forse non IL mondo, ma UN mondo: quello dei suoi tanti fan.Autore dell'ultimo grande classico partenopeo Napule è, fi n dal 1977 col suo primo album Terra mia, Pino Daniele ha riscritto le coordinate della canzone napoletana e d'autore, immergendola, col suo slang angloamericano- italiano-partenopeo, nei colori della fusion e della world music. Dall'infanzia nei vicoli di Napoli, ai suoi dischi, dalla super band, alle collaborazioni col gotha della musica mondiale, dalla sua amicizia con Massimo Troisi, alle sue chitarre, fi no all'ultimo abbraccio della sua città in piazza del Plebiscito, davanti a centocinquantamila neri a metà col viso solcato dalle lacrime… questo è un racconto che si snoda attraverso scritti ad hoc e interviste realizzate dall'autore allo stesso Pino Daniele (dal 1989 al 2014), ai suoi familiari, amici e colleghi (circa 70), fatte in trent'anni di giornalismo, per quotidiani, mensili specializzati in musica e non, tv e radio.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820395810
2
Il Guevara Pino, Masaniello newpolitano
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I primi provini. I primi singoli (1976-1979)
Gli album Terra mia e Pino Daniele tra personaggi/metafora del vissuto napoletano, baciati dal mare, dal sole e dal vento come Fortunato, Donna Cuncetta, la venditrice d’aglio di Saglie, saglie, il Pulcinella di Suonno d’ajere, ‘o buono guaglione e le vittime della Flobert. Brani come Napule è, Terra Mia, Je so’ pazzo, ‘Na tazzulella ‘e cafè, Quanno chiove, entrano nella cultura popolare partenopea, divenendo colonna sonora di una città millenaria e di una new generation.
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Sul divano di casa delle zie, al 32 di piazza Santa Maria La Nova, Pino con la sua chitarra crea le prime canzoni. Alcune le registra grazie alla spinta dell’amico percussionista e compositore Rosario Jermano, progettista aeronautico prima, musicista a tempo pieno dopo.
“Dopo l’avventura con i Batracomiomachia”, racconta Rosario Jermano, “Pino ed io cercammo di andare avanti, tentando varie strade. Pinotto già per il gruppo componeva dei brani d’avanguardia, con testi e musiche che ricordavano un po’ quelli dei King Crimson, ma a un tratto cominciò a scrivere canzoni in napoletano. Cominciò con un pezzo in cui si parlava di Napoli e del calcio, dopo poco compose Terra mia. Appena me la fece sentire gli dissi: ‘Pinotto, nuje ste canzoni l’hamma registrà… so’ assaje belle’. Così ci mettemmo a casa delle sue zie con i nostri due registratori a cassette: io avevo un Geloso e Pino un Philips, unimmo i fili con un microfono e riuscimmo a realizzare delle sovraincisioni. Certo, il rumore di fondo era molto forte, ma riuscimmo a fare un provino di Terra mia, perfettamente uguale a quello che sarebbe poi stato registrato per il suo album d’esordio. Quest’unica canzone la ascoltò una nostra amica giornalista della RAI (Teresa Piazza) che aveva partecipato anche alla trasmissione radiofonica Per voi giovani, che ci disse che era un bel brano, consigliandoci di continuare anche se il napoletano avrebbe limitato le possibilità in generale”.
Rosario Jermano con i soldi del suo stipendio acquista un registratore TEAC a quattro piste: è uno dei pochi a possederlo a Napoli. “Firmai anche tante cambiali, ma ne valse la pena”, racconta, “perché registrammo vari pezzi tra cui Ca calore che poi sarà pubblicato come primo singolo, il cui riff è stato fatto da me su un set di temple block. E poi Maronna mia, Libertà e ‘O pusteggiatore. Provini semplici con chitarre, voci e percussioni. Pino era un grande talento, forse uno degli ultimi che Napoli ci ha donato”.
Pino e Rosario incidono su una musicassetta AGFA C60 quattro canzoni: Ca calore, Libertà, Maronna mia, ‘O pusteggiatore; le prime tre finiranno nel disco d’esordio Terra mia. ‘O pusteggiatore, rimasta fuori dall’album, si ascolterà per la prima volta 30 anni dopo in Nero a metà live con un titolo diverso (Abusivo) e con un arrangiamento nuovo curato da Tullio De Piscopo, Ernesto Vitolo e Gigi De Rienzo. Come Otis Redding era seduto sul molo della baia di San Francisco per catturare i suoni circostanti – quelli delle onde del mare, delle navi, delle maree, come canta in Sittin’ On The Dock Of The Bay – Pino è metaforicamente sul suo balcone, il suo angolo d’osservazione sul mondo, da cui si appropria delle voci e dei rumori della sua città, raccontando anche la storia di personaggi reali e di presenze evanescenti, relazioni e legami tra le cui pieghe si comprendono gesti e comportamenti. Lo fa con la sua lingua, il napoletano, che qui diventa parlata di strada, vera, ma intrisa di poesia, lontana dagli schemi della Napoli folklorica. “Mi sento al 50% un uomo del Sud, un partenopeo”, dice Lucio Dalla. “Sogno di parlare il napoletano correttamente. È una lingua splendida che adopero spesso nel mio quotidiano, perché la trovo affascinante e musicale. Iniziai ad avvicinarmi a lei con Caruso e da allora il nostro amore continua”.
DIALETTO O LINGUA?
Nel 2014 l’UNESCO ha dichiarato che il napoletano, con le sue parole, non è “un dialetto bensì una lingua”, riconoscendolo come patrimonio per l’intera umanità. Il napoletano è secondo, nella nostra penisola, soltanto alla lingua ufficiale, l’italiano, per diffusione sull’intero territorio nazionale.
«Guardo Napoli, la sua cultura, la sua allegria, con gli occhi di un innamorato. Gli stessi con cui guardo Pino»
Lucio Dalla
È di Lino Vairetti, leader e frontman della rock band progressive partenopea degli Osanna, il primo servizio fotografico di Pino. Due scatti sono scelti per la copertina del suo primo 45 giri – Ca calore/Fortunato – la cui realizzazione grafica viene curata da Umberto Telesco, un altro per la copertina di Ciao 2001 del 16 marzo 1980 che titola “Anteprima disco. Pino Daniele. Nero a metà”.
“Vidi la prima volta Pino nel 1975, suonava la chitarra con i Batracomiomachia alla Fiera d’Oltremare di Fuorigrotta”, ricorda Lino Vairetti. “Ci parlai nel ristorante della piscina. Mi chiese se potevo ascoltare alcuni suoi provini. Accettai. Lo invitai a casa di mamma, dove avevo un registratore multitraccia: ero uno dei pochi in città a possederlo. Mi suonò con la chitarra anche alcune canzoni che sarebbero finite poi in Terra mia. Mi trasportò in un mondo parallelo fatto di suggestioni. Per l’emozione chiamai anche mamma, per farglielo ascoltare. Ci frequentammo tutti i giorni per sette mesi, registrando e confrontandoci. Sono stato il suo primo quasi manager, poi disse che perdevo troppo tempo a fargli fare successo e si mosse altrove; niente da dire, aveva un bel caratterino… di quel periodo conservo con tanto affetto, oltre alle fotografie che gli scattai su sua richiesta nella mia casa ai Camaldoli, anche alcuni suoi provini, tra cui A vecchia ca’ venne e castagne che in una nuova versione, che lui fece successivamente col titolo Napoli se sceta sotto ‘o sole, è stata inclusa nella raccolta Tracce di libertà, uscita postuma nel dicembre del 2015, e un inedito senza titolo, dedicato a un suo fratello”. Pino affida la musicassetta registrata con Rosario Jermano (con i titoli dei quattro brani e la loro durata, scritti con un pennarello blu) a un giovane giornalista napoletano che scrive per la rivista Super Sound, Claudio Poggi. Questo, intuendo di avere tra le mani un qualcosa di nuovo, di mai udito prima, contatta al telefono la EMI parlando proprio con Bruno Tibaldi, il direttore artistico di allora, quello che anche Bobby Solo ha già segnalato a Pino. La EMI in quel periodo ha già dato alle stampe Tammurriata nera, La cantata dei pastori, Alla montemaranese, La Rumba degli scugnizzi della Nuova Compagnia di Canto Popolare del maestro Roberto De Simone, ma la Napoli di Pino è una Napoli nuova. E lui canta la rabbia e il disagio dei giovani della sua città come nessun altro ha mai fatto prima.
«Per il 45 giri Ca calore utilizzò un mio scatto fatto in terrazza mentre è seduto in terra, spalle al muro, con un fazzoletto in testa per proteggersi dal sole. Per ‘Na tazzulella ‘e cafè invece una foto che lo ritrae nel salone, con la mia 12 corde Eko Ranger»
Lino Vairetti
Tibaldi fissa un incontro. Poggi prova ad avvisare Pino, ma inutilmente perché in quei giorni è in Belgio in tour con Bobby Solo, così va senza di lui. Tibaldi rimane colpito dalla voce dello scugnizzo di Santa Chiara, dall’ironia dei suoi testi, dalla melodia e decide di sondare la recettività del mercato discografico pensando di pubblicare prima un singolo contenuto in un 45 giri, spinto dalle radio, e poi eventualmente un intero album. Claudio Poggi nel suo libro scritto con Daniele Sanzone degli ‘A 67 – Pino Daniele. Terra mia (Minimum fax) – ricordando la sua telefonata con Pino riporta: “Pinò comme staje? Bbuono, siamo tornati mo’ dal Belgio. Abbiamo aperto ‘o concerto ‘e Fats Domino e c’hanno pure chiesto ‘o bis’. ‘Azz’, grandi, ma ‘a notizia cchiù bella ce l’ho io. Pinò, ce l’abbiamo fatta. La EMI è interessata, vuole fare un disco’. ‘…Ma che staje dicenno?!’”.
Poggi viene investito dalla EMI del ruolo di produttore esecutivo e segue l’intero progetto, dalle prime fasi delle registrazioni in studio fino alla pubblicazione e promozione delle canzoni. Con Pino in questa prima squadra musicale ci sono Enzo Canoro al basso (arruolato un giorno davanti a un caffè al Bar Parker’s di Capodimonte), gli amici Enzo Avitabile ai fiati, Rosario Jermano alla batteria e alle percussioni e ai cori la cantante della Compagnia Teatrale Masaniello Donatella Brighel. Quest’ultima coinvolge anche una sua amica, Dorina Giangrande.
Il 28 aprile del 1976 Pino e Claudio sono convocati a Roma dalla EMI per firmare il contratto. Nello stesso giorno e quasi alla stessa ora (uno alle ore 14:00 a Roma, l’altro alle 14:30 a Napoli) Pino ha un colloquio di lavoro all’Alitalia per divenire assistente di volo, ma senza pensarci più di tanto, spinto anche dalla ragazza che diverrà la sua futura moglie (Dorina), sceglie la musica preferendola alla sicurezza economica di un posto fisso. Con Claudio, Donatella e Dorina, quest’ultima proprietaria di una FIAT 500 bianca parte per Roma. Il contratto viene siglato.
Ca calore e Fortunato sono i due brani scelti per il 45 giri di debutto che esce nel giugno del 1976. Viene stampata anche un’edizione per il juke-box abbinata, come usanza, a un altro pezzo – in questo caso uno della band americana Tavares, Heaven Must Be Missing An Angel. Nell’estate del 1976 Pino entra negli studi di registrazione Quattro Uno (chiamati così perché si trovano al numero IIII di via Nomentana, a ridosso del raccordo anulare) di Claudio Mattone a Roma, che hanno come registratore multitraccia un Ampex a 16 piste – allora l’Eldorado di tutti i musicisti. Terra mia, registrato tra luglio 1976 e aprile 1977 (mentre in contemporanea, negli stessi studi, Claudio Baglioni lavora al suo LP Solo), costa cinque milioni delle vecchie lire: non tanti, rispetto alle produzioni dei dischi dei cantautori di quel periodo.
Il 1977 è l’anno zero, la data di nascita della nuova canzone napoletana, lontana da una certa retorica folkloristica, stradaiola e kitsch.
Terra mia è una terra che parla di liberta. Terra mia è Pino Daniele, è Napoli, un disco nato con l’ambizione di “scrivere canzoni come Luigi Tenco”, come lui stesso dichiara. Pino ha da poco superato i vent’anni, molte delle canzoni sono state scritte anni prima, nella sua stanza di piazza Santa Maria La Nova, dove ha catturato le voci della strada che sono entrate dal suo balcone senza chiedere il permesso, sedendosi a tavola e sorseggiando ‘na tazzulella e cafè che a Napoli non è solo una bevanda, ma un rito, quello dello stare insieme. Tante voci che diventano una voce, la sua, col tipico falsetto che lo consegnerà alla storia.
«Nella dolce vocalità di Pino e in quell’aspra di James vi è tutto il profondo disagio di una napoletanità sotterranea, nera, underground che preme come un demone/incubo sulla coscienza della Napoli ‘perbene’»
Roberto De Simone
Pino crea musiche e racconti, ridisegnando e narrando nuove storie dei personaggi che osserva quotidianamente. Proprio come ave...

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