Matematica rock
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Matematica rock

Storie di musica e numeri dai Beatles ai Led Zeppelin

Paolo Alessandrini

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Matematica rock

Storie di musica e numeri dai Beatles ai Led Zeppelin

Paolo Alessandrini

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Un viaggio insolito alla scoperta della matematica in un'ambientazione rock: aritmetica, algebra, geometria rese più semplici e divertenti attraverso i numerosi spunti matematici presenti nei dischi e nelle canzoni delle rockstar più famose. Suddiviso in parti tematiche, ognuna dedicata a un ramo della matematica (aritmetica e algebra, statistica e calcolo combinatorio, geometria e topologia, analisi), il libro accompagna il lettore in un percorso che va dai numeri naturali del rock'n'roll dell'orologio (Rock around the Clock) con cui inizia la storia del rock, ai numeri primi di We Will Rock You, alla statistica dei Beatles, alla topologia dei Led Zeppelin, passando per i Coldplay e i Radiohead.Ogni capitolo prende le mosse da un aneddoto, da una vicenda o da un disco della storia del rock, per poi introdurre e trattare un concetto matematico collegato, mantenendo sempre viva la cornice narrativa offerta dallo spunto musicale.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820392260
Parte prima
ARITMETICA E ALGEBRA
1
Il rock’n’roll dell’orologio
One, two, three o’clock, four o’clock, rock
Five, six, seven o’clock, eight o’clock, rock
Nine, ten, eleven o’clock, twelve o’clock, rock
We’re gonna rock around the clock tonight.
Max C. Freedman e James E. Myers,
“Rock Around the Clock”, 1954
Lunedì 12 aprile 1954. Un traghetto in viaggio tra Philadelphia e New York rimase bloccato in una secca. A bordo c’era un cantante piuttosto noto, Bill Haley, assieme alla sua band, i Comets. Avevano da poco firmato un contratto con la Decca e quel giorno dovevano raggiungere il Pythian Temple per registrare alcuni brani. Per loro era l’occasione della vita, ma quell’inconveniente rischiava di mandare tutto all’aria.
In studio, il produttore Milt Gabler (zio del futuro attore Billy Crystal), insofferente, meditava di dare il benservito alla band. Per loro fortuna, i musicisti arrivarono, sia pure per un pelo, e, ancora col fiatone, attaccarono “Thirteen Women (and Only One Man in Town)”, perché era questa la canzone che Gabler aveva in mente di pubblicare.
Quasi tutta la session venne dedicata a questo pezzo. Solo negli ultimi dieci minuti Bill Haley riuscì a convincere Gabler ad ascoltare una canzone quasi sconosciuta, scritta due anni prima da Max C. Freedman, un ex annunciatore radiofonico nato nel 1893 proprio a Philadelphia. Il titolo del brano era “Rock Around the Clock”. Pochi giorni prima, il 20 marzo, la canzone era stata incisa dalla band italo-americana Sonny Dae & His Knights con il titolo “We’re Gonna Rock Around the Clock Tonight!, passando totalmente inosservata.
Alla chitarra elettrica c’era Danny Cedrone, collaboratore saltuario di Bill Haley: non avendo mai provato prima la canzone con il gruppo, improvvisò un assolo, che diventò uno dei più famosi della storia. Cedrone fu pagato 21 dollari per quella performance e un paio di mesi dopo morì, a soli trentatré anni, cadendo dalle scale.
Al termine della registrazione, Milt Gabler decise di pubblicare un 45 giri con “Thirteen Women (and Only One Man in Town)” sul lato A e “Rock Around the Clock” sul lato B. Con quel disco, uscito il 20 maggio, ebbe inizio la storia del rock, o per meglio dire la fase esplosiva del rock’n’roll come fenomeno planetario di ribellione giovanile. E il merito, come potete immaginare, era tutto della canzone sul lato B.
L’anno successivo, infatti, “Rock Around the Clock” fu inserita nella colonna sonora del film di Richard Brooks Blackboard Jungle (in Italia Il seme della violenza). La pellicola raccontava la storia di un professore d’inglese preso di mira da un gruppo di studenti ribelli. Fu la rivoluzione. Il film venne accusato di suscitare atti di vandalismo e violenza da parte dei teddy boys, dentro le sale cinematografiche e fuori. In particolare, fu colpito dagli strali dei benpensanti proprio il brano di Freedman.
Il film incassò più di 8 milioni di dollari nel mondo e favorì il successo straordinario di “Rock Around the Clock”: 25 milioni di copie vendute e un posto irremovibile nella storia del Novecento.
“Rock Around the Clock” non fu certo la prima registrazione della storia del rock’n’roll. Molti brani degli anni precedenti si contendono questo primato: per esempio “That’s All Right, Mama” di Arthur “Big Boy” Crudup (1946), “Good Rocking Tonight” di Roy Brown (1947), “Rock the Joint” di Harry Crafton, Wendell “Don” Keane e Harry “Doc” Bagby (1949), “The Fat Man” di Fats Domino (1949), “Rocket 88” di Ike Turner, marito della più celebre Tina (1951). Ma il pezzo registrato da Bill Haley conobbe a partire dal 1955 un successo commerciale di gran lunga superiore, grazie al quale la rivoluzione poté finalmente prendere il volo. Le armi di questa rivoluzione erano rullanti e chitarre elettriche, brillantina e gonne svolazzanti, balli scatenati e voglia di sostituire il ricordo di una guerra crudele con la musica e la spensieratezza.
Tra i versi della canzone si legge effettivamente un messaggio di rivolta sociale: l’espressione inglese around the clock significa “a oltranza”, “24 ore su 24”, “in modo continuativo”. Il verso We’re gonna rock around the clock tonight potrebbe quindi essere letto non già come un innocente invito a partecipare a una festa notturna, ma come il manifesto di un movimento giovanile gioioso e perpetuo, di un’insurrezione a tempo di rock’n’roll.
E non può sfuggire il fatto che la canzone invita alla ribellione nel segno dei numeri e della matematica. Il testo è infatti basato sulla sequenza dei numeri da 1 a 12, corrispondenti alle ore sul quadrante dell’orologio, ripetuta per due volte: la prima citazione è tutta nella prima strofa, riportata a inizio capitolo, mentre la seconda è diluita nelle strofe successive:
Put your glad rags on and join me, hon,
We’ll have some fun when the clock strikes one,
We’re gonna rock around the clock tonight,
We’re gonna rock, rock, rock, ’til broad daylight.
We’re gonna rock, gonna rock, around the clock tonight.
When the clock strikes two, three and four,
If the band slows down we’ll yell for more,
We’re gonna rock…
When the chimes ring five, six and seven,
We’ll be right in seventh heaven.
We’re gonna rock…
When it’s eight, nine, ten, eleven too,
I’ll be goin’ strong and so will you.
We’re gonna rock…
When the clock strikes twelve, we’ll cool off then,
Start a rockin’ round the clock again.
We’re gonna rock…
Il verso Start a rockin’ round the clock again, cantato subito dopo la seconda occorrenza del 12, sottintende una nuova, terza ripetizione dei numeri da 1 a 12. Questo rafforza l’espressione around the clock e dà forma a un ciclo infinito di numeri del tipo:
1, 2, 3, …, 11, 12, 1, 2, 3, …, 11, 12, 1, 2, 3, …, 11, 12, 1, 2, 3, …
I numeri da 1 a 12 non servono soltanto per denotare le ore, ma più in generale per contare. Tutti noi abbiamo imparato da piccoli a contare, per esempio fino a 10, dapprima ripetendo i primi numeri come una filastrocca e successivamente associando a ciascuno di essi un concetto di numerosità di un insieme di oggetti (un libro, due libri, tre libri ecc.).
L’alba della matematica, collocabile probabilmente già trecentomila anni fa, è legata a una fondamentale intuizione. Un orso, una montagna e un albero hanno in comune il fatto di essere oggetti singoli, indipendentemente dalle loro nature differenti di orso, montagna e albero. Questa proprietà comune si può indicare graficamente con un simbolo, il numero 1 appunto. In modo analogo, due orsi, due montagne e due alberi rappresentano coppie di oggetti diversi, ma accomunate dal fatto di essere coppie: concetto che può essere rappresentato con un altro simbolo, il numero 2. E così via.
I numeri così introdotti sono chiamati “naturali” dai matematici, proprio perché corrispondono all’idea di quantità più intuitiva possibile.
“Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo”, disse il matematico tedesco Leopold Kronecker, vissuto nel XIX secolo. Come dire: i numeri naturali erano già insiti nella natura delle cose e l’uomo li ha estrapolati osservando la realtà. Le altre categorie numeriche, come i numeri interi, i numeri razionali, i numeri reali, i numeri complessi, sono state definite successivamente mediante procedimenti di estensione più astratti e sofisticati.
Ma come fece Dio, se così possiamo dire, a creare i numeri naturali? Una celebre risposta fu data nel 1889 da Giuseppe Peano, grande matematico cuneese noto per la sua eccentricità oltre che per i suoi brillanti contributi scientifici (si racconta che, perso nei suoi ragionamenti, si dimenticasse regolarmente di presentarsi alle sessioni di esame dei suoi studenti all’Università di Torino).
Il primo assioma di Peano stabilisce semplicemente che esiste un numero naturale chiamato zero. Ecco che l’insieme viene inizialmente popolato con un elemento del tutto speciale, lo zero appunto. Curiosamente, questo numero così importante era sconosciuto nell’antichità e fu introdotto in modo organico soltanto nel Medioevo. La prima intuizione dello zero come numero si deve probabilmente allo scienziato greco di epoca imperiale Tolomeo, che rielaborò precedenti nozioni dell’astronomo greco Ipparco e degli antichi babilonesi. Furono i matematici indiani, in particolare Brahmagupta, vissuto nel VII secolo d.C., a recuperare le idee di Tolomeo e a costruire il primo sistema di numerazione posizionale, nel quale lo zero recita un ruolo fondamentale. In questo sistema la prima cifra da destra presente in un numero rappresenta il numero delle unità, la seconda quello delle decine, la terza quello delle centinaia, la quarta quello delle migliaia e così via. La cifra zero viene usata per rappresentare i posti “vuoti” e diventa così un numero a tutti gli effetti. I matematici arabi impararono il sistema posizionale dagli indiani e a loro volta lo trasmisero in Europa intorno al XIII secolo (in questo passaggio fu cruciale il contributo del matematico pisano Fibonacci, protagonista del capitolo 3).
Il secondo assioma di Peano afferma che per ogni numero naturale ce n’è sempre un altro che è il suo “successore”. Il terzo assioma chiarisce meglio questa faccenda dei successori, precisando che numeri naturali diversi hanno successori diversi. Il quarto assioma specifica che lo zero non è successore di alcun numero naturale.
A questo punto, anche un alieno che non avesse mai sentito parlare di numeri naturali dovrebbe essersi fatto un’idea abbastanza chiara di cosa ci sia dentro questo insieme numerico: sicuramente c’è un numero speciale che è lo zero, poi c’è il suo successore, quindi il successore del successore e così via. Va da sé che alla parola “successore” dovrebbe essere attribuito il suo significato concreto, ovvero quello di numero immediatamente successivo, ottenuto aggiungendo un’unità al numero di partenza. Dove ci conduce questa catena numerica? Grazie al terzo assioma siamo certi che i numeri che via via incontreremo saranno sempre diversi. Inoltre, il quarto assioma ci assicura che non potremo mai incontrare di nuovo lo zero. La conseguenza logica è che questa successione ci porta, virtualmente, verso l’infinito.
Per chiarire le modalità di questo avvicinamento progressivo, Peano introdusse un quinto assioma, che afferma quanto segue. Supponiamo che A sia un sottoinsieme dei numeri naturali contenente lo zero. Ipotizziamo anche che A sia fatto in modo tale che se un certo numero naturale vi appartiene, anche il suo successore ne faccia parte: allora A comprende tutti i numeri naturali. Il quinto assioma è il celebre principio di induzione applicato ai numeri naturali.
I numeri naturali, così ben definiti da Peano, rappresentano l’ideale porta di ingresso del grande palazzo della matematica e a me pare meravigliosamente significativo che, ad accoglierci, sia stata proprio la canzone che ha simbolicamente dato avvio alla storia del rock: “Rock Around the Clock”, appunto. Tuttavia, la sequela di numeri naturali snocciolati da Bill Haley non sembra seguire l’ordine suggerito dagli assiomi di Peano. In questo elenco, infatti, il successore di 12 non è 13, come avviene nell’usuale lista, ma 1. Questo rispetta in pieno il comportamento delle lancette di un orologio, che sono soltanto dodici e non ventiquattro, e meno che meno infinite.
Dai cinque assiomi di Peano possiamo derivare questa particolare sequenza di numeri naturali che continua a “ciclare” all’infinito tra 1 e 12? No di certo: se ci fate caso, il testo di “Rock Around the Clock” ignora bellamente il primo assioma di Peano. Lo zero, infatti, non viene adoperato e in sua assenza, senza infrangere alcun assioma, il numero 1 può tranquillamente giocare il ruolo di successore del 12, così da “avvolgere” ripetutamente i numeri su loro stessi. Abbiamo scoperto, quindi, che si possono creare sistemi formali del tutto coerenti che rispettano solo una parte degli assiomi di Peano: il mondo aritmetico di “Rock Around the Clock” è una perfetta incarnazione del secondo e del terzo assioma.
Intendiamoci, non si tratta di un’invenzione di Max C. Freedman, ma di un sistema aritmetico introdotto un secolo e mezzo prima e noto come aritmetica modulare. Immaginate che in questo momento siano le ore 22 in Italia: che ora è a Tokyo, il cui fuso orario è 8 ore avanti rispetto all’Italia?1 Calcolando la somma 22 + 8 si ottiene 30. A Tokyo sono dunque le ore 30? Ovviamente no, direte voi, che discorsi sono? Sono le 6 del mattino, perché aggiungendo due ore alle 22 si arriva a mezzanotte e aggiungendone altre sei si fanno le 6 del mattino. Ecco, magari senza rendervene co...

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