Sostenibilità
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Sostenibilità

La lezione delle piante

Giuseppe Gavazzi, Silvana Castelli de Sannazzaro

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La lezione delle piante

Giuseppe Gavazzi, Silvana Castelli de Sannazzaro

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E se fosse una pianta a mostrarci il futuro? Da sempre l'uomo ha sfruttato l'ambiente per sviluppare le proprie civiltà, ma ora sorge indifferibile la necessità di cambiare il modo di usare le risorse naturali per preservare la natura, pilastro fondamentale per la sopravvivenza. Questo libro vuole trasmettere al lettore come oggi attraverso l'osservazione degli ecosistemi, la ricerca, la sperimentazione e l'innovazione sia possibile adottare comportamenti e produzioni sostenibili che possono garantire cambiamenti tali da non compromettere ciò che ci circonda. L'alimentazione mirata, il mantenimento della biodiversità, la domesticazione delle piante, la manipolazione del microbioma, il biorisanamento, il riciclo, la produzione di prodotti e molecole rinnovabili sono gli argomenti di un percorso all'insegna della circolarità. La sostenibilità è una necessità per la vita sulla Terra ed è il motore della bioeconomia circolare, con un cambiamento strutturale della società sempre più necessario nell'era dell'Antropocene, ovvero la nostra era.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820392284
1
Uomo e mondo vegetale
Le piante come risorse per l’uomo
Quattro miliardi e trecento milioni di anni è l’età della Terra, uno dei tanti corpi celesti rotanti in un universo in espansione.
La storia evolutiva del nostro pianeta ci rimanda quindi a una dimensione temporale di miliardi di anni, nel corso della quale le attività di selezione, adattamento e trasformazione hanno permesso la comparsa dapprima di microrganismi e poi delle piante. Era la notte dei tempi rispetto alla nostra comparsa sulla Terra. Le prime forme di vita pluricellulare pare risalgano a 800 milioni di anni fa e la presenza delle piante sulla terraferma a circa 400 milioni di anni; si ritiene che l’Homo erectus si sia messo in cammino dall’Africa verso l’Asia e poi verso l’Europa circa un milione di anni fa, mentre l’Homo sapiens, nostro antenato, apparve circa 300.000 anni fa.
La diffusione delle piante è stata un evento di estrema importanza per la storia del pianeta. Le piante, infatti, hanno colonizzato la terra emersa utilizzando e rimuovendo parte del biossido di carbonio (CO2) dall’atmosfera e hanno liberato ossigeno (O2). Inoltre, la presenza di estese coperture vegetali ha favorito la piovosità portando il clima a un andamento delle temperature e a una composizione dell’aria adatti alla presenza dell’uomo. Il mondo vegetale è sempre stato il grande colonizzatore del pianeta, costituendo circa il 99% della biomassa, tutto ciò che ha una componente organica, presente sulla terra (Mancuso, 2017).
Gli studi sui fossili ritrovati indicano che nel susseguirsi delle diverse ere geologiche la maggior parte delle specie vegetali oggi esistenti ha avuto origine circa trenta milioni di anni fa e le angiosperme riconosciute e viventi sono circa 350.000 specie. Il numero di specie è molto più elevato se consideriamo gli altri gruppi botanici che insieme costituiscono quell’enorme capitale che è la biodiversità. Un aspetto peculiare è la loro elevatissima diversità: le piante possono avere cicli di vita annuale o poliennale, foglie caduche o sempreverdi, possono galleggiare sulle superfici d’acqua come le ninfee o avere forme ben radicate e possenti come i baobab o le sequoie.
Lo studio del rapporto tra uomo e piante, incluso in un sistema dinamico in cui coesistono fattori sociali e naturali, evidenzia come gli usi delle piante e le relazioni uomo-pianta siano stati modellati dalla storia, dall’ambiente sociale e fisico e dalle caratteristiche intrinseche degli stessi vegetali (Jain, 1986). Le piante sono sempre state fondamentali per l’uomo, non solo per la loro influenza sull’ambiente e sul clima, ma anche perché sono sempre state fonte di nutrimento, di cura e di apporto di materiali utili per la sua sussistenza.
Il rapporto dell’uomo con il mondo vegetale è cambiato nel tempo e da cultura e cultura, ma le piante sono sempre state una risorsa economica, sociale e culturale.
Risorse economiche. Circa diecimila anni fa in diverse aree della Terra si cominciarono ad addomesticare e a coltivare le piante. Questo fenomeno, insieme all’addomesticazione degli animali, è stato l’inizio del processo di produzione alimentare che ha permesso un grande sviluppo demografico in Medio Oriente, Sud Est asiatico e Messico. Lo sfruttamento localizzato delle risorse naturali, e in particolar modo di quelle vegetali, diede inizio all’economia agropastorale che permise lo sviluppo di fiorenti civiltà e l’espansione demografica. Specie come il mais, il cotone, la canna da zucchero, il caffè o il tè nella storia più recente sono diventate merce di scambio a livello mondiale, fino a diventare commodities scambiate nelle borse e per la loro importanza economica hanno accompagnato lo sviluppo o, in alcuni casi, il declino di intere nazioni.
Il contributo delle piante allo sviluppo dell’economia non riguarda solo la loro importanza per la nutrizione, ma si estende alla cura della salute. La conoscenza degli effetti benefici o nocivi presenti nelle diverse specie vegetali che popolavano l’ambiente naturale è molto antica. Ci sono notizie che in Oriente, già attorno al 3000 a.C., sia stato compilato il più antico erbario medico e anche nell’Antico Egitto vi era una profonda conoscenza delle piante curative; lo stesso per la civiltà greca che, nel 500 a.C., utilizzava rimedi vegetali per la cura delle malattie. Le successive conoscenze biochimiche permisero di riconoscere i principi attivi e di isolare molecole da queste piante dando origine allo sviluppo di quella che oggi è l’industria farmaceutica.
Il gruppo specialista delle piante medicinali dell’IUCN (International Union For Conservation of Nature) stima che vi siano tra 50.000 e 70.000 piante medicinali e aromatiche utilizzate industrialmente. Alcune di queste sono fondamentali per l’individuazione di medicinali e potrebbero esserlo anche nella scoperta del prossimo farmaco di successo. Almeno il 70% delle nuove molecole introdotte in tutto il mondo negli ultimi venticinque anni proviene o è stato ispirato da una fonte naturale e gli scienziati temono che la perdita di biodiversità diminuisca la fornitura di materie prime per la scoperta di nuovi farmaci.
Risorse sociali. Le piante in natura vivono raramente da sole, infatti solitamente formano insiemi denominati “popolazioni” e popolazioni di specie diverse convivono all’interno di insiemi di più specie chiamate “comunità”. Possiamo dire che l’insieme delle comunità vegetali che colonizzano una superficie costituisce la componente principale della vita di quel territorio.
Un altro aspetto interessante riguarda il fatto che le specie vegetali che compongono la flora di una determinata area emergono in seguito a una successione di rapporti di competizione o mutualismo che portano alla costituzione di raggruppamenti che sono l’espressione delle esigenze delle diverse specie. Le caratteristiche della vegetazione di quella determinata area sono in parte anche l’espressione delle caratteristiche ambientali di quel territorio.
Basandosi sui primi studi di Josias Braun-Blanquet, fondatore della fitosociologia, ora i ricercatori osservano e rilevano per ogni singolo aggruppamento il numero di individui, il grado di copertura, il grado di aggregazione, la vitalità, lo stadio fenologico,1 i caratteri genetici, solo per citare alcuni aspetti. L’associazione vegetale, definita da Blanquet come “aggruppamento vegetale più o meno stabile in equilibrio col mezzo ambiente caratterizzato da una composizione floristica determinata in cui certi elementi esclusivi o quasi (specie caratteristiche) rivelano con la loro presenza un’ecologia particolare e autonoma”, è di estrema importanza per decidere interventi di ripristino di un certo habitat, pur sapendo che l’associazione è una fase più o meno stabile in un divenire continuo che, come dimostrato dalla paleontologia, contraddistingue la vita vegetale. Infatti, l’evoluzione del mondo vegetale è avvenuta in risposta a costrizioni ambientali che hanno determinato un cambiamento profondo nell’organizzazione delle piante e nel loro metabolismo, nonché nella struttura dei loro apparati. L’aspetto interessante riguarda la capacità delle piante di adattarsi ai diversi habitat presenti sulla Terra, qualità che ha permesso loro di imporsi nell’area del pianeta dove si sono adattate grazie probabilmente allo sviluppo di una fitta rete di relazioni tra loro e simbiotiche con funghi e batteri. Va ricordato a sostegno di questa loro capacità che le piante arboree, per esempio, hanno una vita media dell’ordine di centinaia di anni. Numerosi sono gli esemplari di circa 4000 anni divenuti monumenti naturali (per esempio, Cupressus Sempervirens).
Risorse culturali. Le piante, anche se nella scala della natura di origine aristotelica hanno rivestito un ruolo secondario rispetto agli animali, sono sempre state compagne dell’uomo e contrariamente al mondo animale non hanno mai rappresentato un pericolo. Anzi, il mondo delle piante ha sempre accompagnato lo sviluppo delle civiltà e della cultura, in quanto risorsa di alimenti e di cure da un lato, risorsa per il benessere psicologico e mentale dall’altro. Le piante, infatti, hanno contribuito a stimolare la parte più impercettibile e nascosta dell’uomo favorendo l’espressione artistica ed estetica. Ecco quindi che anche i primi giardini possono essere considerati come il frutto di una collaborazione tra l’uomo e il mondo vegetale.
Se poi volgiamo lo sguardo alla produzione artistica, possiamo osservare come il paesaggio, i giardini o i fiori abbiano toccato la sensibilità di numerosi artisti e poeti. Pensiamo all’espressione di sentimenti veicolati attraverso un fiore, come nel caso dei tulipani o delle rose come dichiarazione d’amore. I fiori o un insieme di alberi sono sempre stati d’ispirazione per l’arte e sono stati oggetto di sentimenti profondi che hanno toccato la sensibilità creativa di numerosi pittori. Pensiamo ai giardini di Monet, ai famosi girasoli di Van Gogh, alle opere di Degas o a La grande zolla di Dürer, in cui il pittore osservando la natura riproduce ciò che vede e lo eleva a capolavoro artistico. Anche nella storia della letteratura vediamo il richiamo al mondo vegetale come allegoria della fasi della vita in numerose poesie.
Le piante hanno sempre suscitato l’interesse dell’uomo, che nel corso della storia le ha trasportate da un continente all’altro (dopo la scoperta dell’America la patata e il pomodoro si diffusero in Europa), le ha selezionate per renderle più produttive e le ha ammirate per la loro bellezza. Il mondo vegetale costituisce un patrimonio di valore incalcolabile anche per la molteplicità di servizi che garantisce all’ambiente. Infatti, con l’attività fotosintetica le piante non solo continuano a trasferire dal Sole alla Terra energia che trasformano in preziose molecole organiche, ma ripuliscono l’aria e con le loro radici combattono i dissesti idrogeologici.
Pertanto il mondo vegetale, che è stato il precursore della nostra vita e ha supportato e supporta la nostra esistenza, probabilmente con la sua evoluta organizzazione biologica può esserci d’aiuto e insegnarci come utilizzare le risorse naturali rispettando l’ambiente.
Non a caso, infatti, la ricerca di sistemi produttivi “sostenibili” è il nuovo paradigma del sistema economico. Lo studio delle piante, nella loro molteplicità di specie e di organizzazione complessa che interagisce con l’ambiente abbinato alle innovazioni tecnologiche a nostra disposizione, ci fornirà nuovi modi di “produrre” e di “essere”, e lo sfruttamento unidirezionale e incondizionato delle risorse diventerà qualcosa del passato.
L’interazione uomo-ambiente: dalla nascita dell’agricoltura all’ecologia
Se osserviamo la natura, innumerevoli sono gli esempi di interrelazioni tra microrganismi e piante, piante e insetti, insetti e mammiferi, tutti legati da un’affascinante rete di relazioni, regolate spesso da un reciproco scambio di aiuto e di adattamento. La ricerca scientifica si sta progressivamente interessando a questi fenomeni evolutivi di interconnessione tra le diverse forme viventi. Le scoperte scientifiche nel campo della fisica, della biologia, della matematica e il costante aumento di dati e osservazioni rielaborati e tradotti in possibili modelli di sviluppo ci consegnano una maggiore conoscenza dell’ambiente in cui viviamo. Come viene riportato da Fritjof Capra nel suo interessante libro Vita e Natura, l’organismo vivente è caratterizzato da una sua autonomia biologica, ma per la sua sopravvivenza è al tempo stesso strettamente dipendente dall’ambiente esterno.
L’uomo primitivo era del tutto integrato nella natura poi, con l’evoluzione, ha incominciato a cambiare il suo rapporto con il mondo vegetale e animale che lo circonda. La nascita dell’agricoltura ha comportato una vera e propria rivoluzione economico-sociale che ha reso possibile il passaggio dall’organizzazione sociale dell’uomo cacciatore-raccoglitore alla costruzione di civiltà stanziali, con connotazioni e specificità diverse nelle varie parti del mondo.
Lo sviluppo dell’era agropastorale ha portato l’uomo a intervenire sull’ambiente modificando il paesaggio naturale; infatti l’aumento della popolazione conseguente alla maggiore disponibilità di cibo ha portato alla necessità di rendere coltivabili maggiori superfici. Pertanto l’uomo ha cominciato a creare aree coltivabili sempre più ampie, come pascoli e campi e poi terrazzamenti sulle sponde di colline e montagne. Inoltre è intervenuto sul suolo per permettere la coltivazione dei primi campi di cereali diffusi dall’Asia all’Europa, dall’India fino all’Africa, con la coltivazione della tapioca e poi del miglio e del sorgo o del mais in America Latina. Gli interventi sull’ambiente hanno sempre segnato il corso della nostra storia. Nella stessa Europa, per esempio, nel periodo tra il 1000 e il 1400 vi fu un’intensa attività di disboscamento e la superficie dei boschi scese dal 90% del territorio al 20%, molte paludi furono rese coltivabili e, per il continuo aumento della popolazione e la necessità di cibo, superfici sempre più estese furono recuperate soprattutto nelle pianure centro-settentrionali del continente. Nelle Fiandre (odierni Belgio, Olanda e Francia nord-orientale) furono messi a coltura migliaia di ettari di terra fertile mediante la costruzione di dighe contro gli allagamenti. La Francia del Nord, fitta di foreste naturali, fu in gran parte disboscata e messa a coltura.
Si svilupparono anche le prime aziende agricole e questo portò già all’epoca alla specializzazione nello sfruttare e valorizzare i terreni rendendoli agricoli con bonifiche e lavorazioni, come testimonia l’opera dei frati cistercensi in Europa.
Nel corso della storia si sono dunque sempre verificati mutamenti dell’ambiente, ai quali hanno concorso anche le variazioni climatiche che ciclicamente hanno fatto registrare significativi cambiamenti delle aree coltivate e dei cicli dei raccolti. Pensiamo all’abbassamento della vegetazione arborea avvenuto attorno al XVI secolo o alla riduzione delle produzioni di erba dei pascoli o ai periodi di carestia, spesso legati a cambiamenti climatici che hanno avuto anche ripercussioni sull’ambiente.
Nel periodo tra il 1600 e il 1700 le produzioni agricole e le condizioni economiche della popolazione erano ancora tali che l’aspettativa di vita in Europa era intorno ai 30 anni (Burger, 2012). Il lavoro agricolo era poco produttivo e questo determinava malnutrizione e suscettibilità alle malattie. Solo verso la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con lo sviluppo della chimica e l’introduzione della concimazione minerale, seguita da sistemi di lavorazione del terreno innovativi e dall’uso di piante selezionate più adatte ai diversi ambienti, si arrivò all’intensificazione delle produzioni. La meccanizzazione e l’uso di concimi chimici, in alternativa a quelli naturali organici, permise la coltivazione di superfici sempre più estese con minori tempi di lavoro e con maggiori rese.
L’aumentata disponibilità di cibo e le relativamente migliori condizioni igieniche continuarono a favorire le condizioni di vita e l’incremento demografico, che si tradusse in maggior forza lavoro, in una fase in cui le scoperte scientifiche e lo sviluppo della tecnologia vedevano il consolidarsi dell’industria. Questo nuovo modello produttivo portò a un cambiamento epocale e dalla società agricola si passò alla società industriale, determinando una maggior richiesta di energia con un incremento dei consumi di carbone.
Con l’industrializzazione aumentarono anche gli scambi internazionali che portarono alla costruzione di ferrovie, strade e nuove vie d’acqua. Nel frattempo, si stava diffondendo l’uso del petrolio e della sua raffinazione in benzina, che raggiunse estrema popolarità con l’invenzione dei motori a scoppio e dell’automobile. L’impiego del petrolio superò quello del carbone verso gli anni Cinquanta del Novecento e la sua popolarità continuò grazie anche allo sviluppo del settore petrolchimico, che portò alla produzione di materiali sintetici sempre più utilizzati anche nella vita quotidiana.
Da questo momento iniziò il progredire dell’attuale società dei consumi. L’utilizzo di energia nei paesi industrializzati subì un balzo in avanti a partire dagli anni Sessanta, con l’aumento dei consumi di beni in modo diffuso nella società.
Nel contempo, l’aumento demografico stava portando anche a un incremento della cementificazione con...

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