Teorie e ideologie nell'epoca delle grandi trasformazioni
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Teorie e ideologie nell'epoca delle grandi trasformazioni

Fulvio Papi

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Teorie e ideologie nell'epoca delle grandi trasformazioni

Fulvio Papi

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Questo gioiello della manualistica scolastica, che ha rappresentato una svolta radicale rispetto ai manuali in uso, viene ora riproposto in una nuova veste grafica per un pubblico più generale di lettori. Un libro che esce dalla nozione filosofica - una convenzione astratta - per portare il lettore all'interno di una situazione storica nella quale il lavoro filosofico acquista il valore di un orientamento o di uno scopo del vivere comune. Come scrive lo stesso autore nella Prefazione scritta appositamente per questa edizione, quest'opera «rimane un'occasione positiva di conoscenza anche per un pubblico diverso da quello della originaria destinazione. Specie in un tempo nel quale la filosofia è emigrata nello spettacolo culturale o si è chiusa in uno specialismo difettoso quanto a pensiero o, infine, ha assunto forme di una superficialità un poco sconcertante (con valorose eccezioni, s'intende)».

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820392079
1
Gli spazi teorici della rivoluzione industriale in Inghilterra: filosofia utilitarista, economia politica, ideologia socialista, estetica romantica
1.1 Linee generali
a) La metamorfosi dell’Inghilterra e le domande provenienti dal «sociale»
L’evento che trasformò radicalmente la vita sociale dell’Inghilterra tra la metà del ’700 e i primi decenni dell’800 fu la rivoluzione industriale unita alla formazione di una sempre più vasta proprietà fondiaria sulla base della distruzione dell’antico istituto delle terre comunali. Profitto industriale e rendita fondiaria saranno in competizione tra loro: ma anche questa competizione è uno degli elementi che costituiscono il quadro sociale dell’Inghilterra capitalista moderna, quel quadro sociale che anticiperà le condizioni generali che hanno caratterizzato la vita sociale del mondo contemporaneo. Nell’Inghilterra del decollo industriale noi possiamo leggere l’elemento decisivo della storia contemporanea.
La formazione di un esteso capitale industriale, la trasformazione tecnologica dei processi di produzione, i fenomeni di concentrazione territoriale delle industrie, l’inurbamento di grandi masse di lavoratori che nella campagna non erano in grado di trovare i mezzi di sussistenza e quindi erano attirati dal salario industriale, l’organizzazione del commercio nazionale e internazionale, furono fenomeni che in qualche decennio resero irriconoscibile l’Inghilterra ai suoi stessi abitanti più anziani, generarono situazioni sociali completamente differenti e sentimenti sociali sconosciuti.
L’orgoglio di un’Inghilterra dalle libere istituzioni, unito a quello per i privilegi connessi alle locali autonomie, che era un elemento che accomunava il ceto nobile, i piccoli proprietari e tutta la popolazione rurale, lasciò il posto per atteggiamenti radicalmente differenti. L’ago della bussola sociale passava dal paesaggio agricolo a quello industriale e in questo paesaggio, strutturato tutto come elemento complementare alla vita produttiva della fabbrica, erano scomparse tutte le condizioni che costituivano l’unità sociale e nazionale della «vecchia Inghilterra».
Profitto e salario erano le entità sociali che creavano una frattura che si riproduceva in tutta la vita sociale del paese: la città residenziale diventava il nucleo produttivo industriale con le abitazioni operaie; le residenze del ceto imprenditoriale, viceversa, si decentravano. La grande città nasceva come unità produttiva e divisione sociale.
A sua volta la campagna mutava volto: prima di tutto il diffondersi delle recinzioni, che riducevano le terre comunali e ampliavano le dimensioni della proprietà agraria, dove la produzione avveniva secondo criteri capitalistici, per cui l’agricoltore familiare nei confronti della rendita fondiaria veniva a trovarsi in una situazione analoga a quella del ceto operaio nei confronti del profitto industriale. Spariva la piccola proprietà contadina che univa al ricavo del lavoro della terra un piccolo reddito derivante dalla lavorazione casalinga soprattutto di prodotti tessili e aumentava così sia l’esercito di riserva per l’industria, sia la quantità di lavoranti a giornata e il numero dei veri e propri mendicanti che erano ormai a carico della pubblica assistenza.
La morfologia della società inglese mutava radicalmente e mutavano gli stessi oggetti che la riflessione teorica faceva propri. Era naturale che, in un momento in cui la vita sociale era sottoposta a così decisiva metamorfosi, fossero domande provenienti dal «sociale» a investire la sfera teorica. Vediamo quale e come.
È agli inizi dell’800 che viene scoperta la dimensione politica come elemento della emancipazione sociale: esprimere la propria volontà politica con un suffragio generalizzato appare come la creazione di una forma nuova di potere politico, che sarebbe stato legittimato a intervenire sul meccanismo economico promuovendo quelle riforme che potevano rendere meno tragica la condizione dei lavoratori. Il problema del voto politico, il tema dello stato rappresentativo, della libertà di stampa, della riforma della legislazione furono tutte questioni che in quegli anni si imposero contemporaneamente alle rivendicazioni che nascevano dalle primissime associazioni sindacali del movimento operaio.
Il modo violento con cui il potere politico conservatore reagiva nei confronti del movimento operaio – l’associazione sindacale, per esempio, era considerata alla stregua di un’associazione per delinquere – e contemporaneamente la mancanza di un quadro giuridico adeguato che fosse in grado di riflettere il mondo delle trasformazioni economiche e sociali, generavano sulla riflessione teorica un compito nuovo. Occorreva concepire una riforma della legislazione. Il potere pubblico dello stato, che nella riflessione economica di Smith non ha un ruolo sociale nei confronti del processo economico ritenuto già nel suo equilibrio spontaneo quanto di meglio è possibile realizzare, acquista una dimensione differente. È lo spazio politico che occupa il radicalismo inglese ed è questa condizione a dare uno spessore storico specifico alla filosofia politica e sociale inglese da Bentham a Mill: cioè a fornire l’oggetto e l’ambito della riflessione.
L’utilitarismo di Bentham è un atteggiamento filosofico che è comprensibile se strettamente congiunto almeno con un altro presupposto ideologico: la possibilità di una guida politica e intellettuale della società che, attraverso le leggi, ottenga un grado superiore di felicità per tutti.
Nel suo presupposto ideologico l’utilitarismo si connette con l’idea illuministica di potere politico, ma in quanto parla di utilità e non di giustizia o di diritto naturale riserva alla guida politica un compito che sia tutto misurabile in una situazione concreta.
b) Il giudizio della cultura inglese sulla Rivoluzione francese Il fatto che in Inghilterra i problemi di una radicale democrazia politica (Parlamento rappresentativo, voto generalizzato, libertà di associazione e di stampa ecc.) nel momento del loro decollo all’inizio del secolo prendessero forma solo contemporaneamente allo sviluppo del movimento operaio, derivava da una situazione storica specifica, che risalta molto bene dal giudizio che la cultura inglese aveva dato della Rivoluzione francese e risaliva al confronto politico e militare in cui l’Inghilterra fu poi impegnata con la Francia nel periodo napoleonico. Il giudizio più noto da parte inglese sulla Rivoluzione francese fu quello di Burke, ma fu un giudizio che nel ceto dirigente inglese in senso lato fu largamente diffuso.
La Rivoluzione francese era ritenuta un atto di atroce violenza che voleva instaurare forme politiche nuove sulla base di princìpi astratti rifiutando ciò che l’esperienza politica insegna, e cioè che le istituzioni possono essere solo modificate lentamente, dato che l’intelligenza politica non consiste nell’opporre idee filosofiche astratte alla situazione esistente, ma nel trovare parzialmente le soluzioni che sono realmente manipolabili nelle condizioni concrete.
In questo tipo di giudizio e nella forma della sua «saggezza» vi era una radicale incomprensione delle ragioni che avevano condotto alla rivoluzione politica in Francia, incomprensione che era dovuta soprattutto ad un’indebita proiezione sulla Francia di quello che era stata l’evoluzione politica inglese dopo la Rivoluzione del Parlamento che aveva condotto allo smembramento dello stato assoluto e alla formazione delle autonomie politiche locali.
Ne derivò un sistema di potere da tempo estremamente consolidato che costituiva il dominio di un ceto che spesso univa in se stesso gli antichi privilegi della nobiltà con i nuovi vantaggi di un’attività imprenditoriale agricola e commerciale. È del resto in quest’area sociale che è collocabile in gran parte l’illuminismo inglese e la sua forma di civiltà intellettuale. Concetti come quello di «comune senso morale» richiedono per essere sostenuti una forte omogeneità sociale e quindi un ambiente privo di opposizioni irriducibili.
Questo era dunque il modello politico che un’ottica conservatrice assolutizzava nella sua interpretazione della Rivoluzione francese: esso diveniva ancora più plausibile in quanto la Rivoluzione francese veniva veduta da questi interpreti conservatori in una dimensione mitica come delirio della violenza.
Si è detto giustamente che gli Inglesi del blocco conservatore ricordavano ancora nei loro salotti i sorrisi di alcune di quelle teste nobili francesi che il rigore rivoluzionario aveva tagliato. Ma a parte queste considerazioni emotive (che però non bisogna trascurare per capire lo stile di una cultura) c’era un altro fatto importante. Il blocco conservatore guardava ai fenomeni del processo di industrializzazione del paese, al proletariato industriale e alle sue rivendicazioni con lo stesso sguardo con cui giudicava la Rivoluzione francese.
Nelle guerre contro Napoleone il blocco conservatore riuscì a coagulare intorno alla propria bandiera i valori del patriottismo, della lotta alla Rivoluzione francese e della repressione contro i primi conati del movimento operaio. Questa situazione spiega, all’opposto, come i temi della democrazia politica e le prime rivendicazioni del movimento operaio si trovassero all’inizio del secolo dalla medesima parte.
c) La teoria dell’utile come strumento operativo per un nuovo equilibrio sociale
Quello che abbiamo rievocato è nelle sue linee essenziali il panorama sociale in Inghilterra. Ciò che colpisce è la profondità della frattura sociale che attraversa il paese e l’inadeguatezza delle istituzioni giuridiche e politiche a regolare le nuove forme di socialità. I poteri locali e il Parlamento stesso riflettono un’immagine sociale dell’Inghilterra che è scomparsa.
Ciò che nel passato era certamente gerarchia sociale ma anche principio d’ordine ora, in una situazione sociale differente, con classi sociali nuove, con i rapporti economici di scambio che divengono un elemento di mobilità sociale mai conosciuta, è solamente un fattore di repressione e di violenza. A livello filosofico una risposta molto articolata dei nuovi ceti borghesi, che cercò proprio di adoperare i concetti teorici come strumenti di un’azione sociale equilibratrice, fu la filosofia utilitaristica della scuola di Geremia Bentham. I concetti centrali con cui pensare le tensioni sociali e i problemi emergenti furono questi. La società è un insieme in trasformazione. Per comprendere secondo un criterio ampio e funzionale i problemi della trasformazione occorre fare ricorso al criterio dell’utilità per il maggior numero di persone. L’utilità va considerata non secondo i parametri di un calcolo individuale, ma nella forma o nel progetto di un’azione che possa conseguire in un tempo ragionevole risultati che rapportati alla situazione esistente siano il massimo possibile di felicità.
La filosofia diviene così la teoria della progettazione sociale, mentre il suo strumento è la riforma delle istituzioni politiche, affinché esse siano in grado di dirigere la società. Nascevano in questo tempo quelli che saranno alcuni concetti dominanti della filosofia politica inglese: evoluzione sociale, utilità, democrazia, riformismo.
Più avanti, dopo il 1820, quando l’esperienza propria della classe operaia inglese produsse i suoi primi effetti a livello della riflessione teorica, ideologia socialista e utilitarismo filosofico assunsero ruoli diversi. Gli ideologi socialisti inglesi non mostrarono sempre la stessa fiducia negli interventi legislativi e nelle riforme politiche degli utilitaristi. Il movimento operaio avrebbe potuto superare la sua condizione di sfruttamento più che con il ricorso a strumenti politici, cioè alla funzione dello stato e all’opera legislativa, con l’intervento diretto sul processo di produzione.
L’associazionismo operaio a livello produttivo doveva essere la misura immediata che doveva sottrarre il lavoro – unico produttore di valore economico – alla remunerazione parziale qual è quella del salario. Questi temi derivavano dalla teoria economica di Ricardo. La stessa cui aderiva Bentham: tuttavia per i benthamiani – ideologi della borghesia imprenditoriale – la rivendicazione socialista per il diritto dei lavoratori a tutto il prodotto del lavoro era ragione di scandalo.
A livello della produzione teorica va aggiunto che se l’ideologia utilitaristica fu un modo per recepire la prima stabilizzazione della rivoluzione industriale e dei suoi effetti sociali, vi furono importanti conseguenze filosofiche in almeno due altri modi. L’uno a livello di una scienza il cui decollo era molto recente, l’economia politica; l’altro a livello dell’estetica, che nei primi decenni dell’Ottocento nella sua violenta polemica antiindustriale trasformò sensibilmente i temi dell’estetica del gusto della filosofia sentimentalistica del secolo precedente.
d) L’analisi economica diviene analisi della società
Il primo sviluppo industriale, quando non era ancora visibile l’assieme degli effetti sociali che esso provocava, era stato interpretato secondo l’alone ideologico dell’economia politica di Adamo Smith, che vedeva nello sviluppo delle forze produttive un elemento di progresso sociale.
L’organizzazione capitalistica e industriale della produzione veniva così veduta su una linea ideologica omogenea a quei temi lockiani che indicavano nella formazione della proprietà terriera a coltura intensiva un elemento destinato ad accrescere la ricchezza sociale in generale. Questo modo di acquisire culturalmente la rivoluzione industriale fu possibile fino a quando non si manifestarono l’insieme degli effetti sociali che vi erano connessi.
Era stata la sociologia dell’illuminismo scozzese (Millar, Ferguson) ad analizzare come elemento tipico del nuovo modo di produzione la progressiva divisione sociale del lavoro come effetto sociale e psicologico: un tipo d’uomo condizionato da una forma statica di lavoro. E sempre questa sociologia aveva proiettato nell’interpretazione del processo storico l’importanza del modo di produzione, cioè dell’economia come elemento fondamentale per comprendere sia l’organizzazione sociale sia le forme del potere politico delle varie società. Era il contributo decisivo che la nuova esperienza dell’industrialismo portava nel tipo di analisi storico-sociologiche che erano state inaugurate da Montesquieu. Quando però lo scontro di classe ai primi dell’Ottocento apparve come l’elemento dominante dal punto di vista sociale dello sviluppo industriale, sia il quadro ideologico che quello conoscitivo mutarono considerevolmente.
Dal punto di vista della teoria, cioè dell’analisi economica, gli elementi conflittuali dell’industrialismo contribuiscono persino a mutare l’oggetto teorico della ricerca: non più il meccanismo attraverso cui aumenta la ricchezza della nazione (come in Smith), ma il modo in cui le varie classi che compongono la società si appropriano del prodotto dell’attività economica. E nella ricerca teorica di Ricardo, tesa ad identificare un elemento che costituisca il criterio per la formazione del valore di scambio delle merci, fu proprio il lavoro a divenire la categoria più importante per la definizione del valore economico.
La quantità di valore presente in una merce appariva riconducibile alla quantità di tempo lavorativo «incorporato», cioè che era stato impiegato per costruirla. L’economia politica metteva così in primo piano l’elemento sociale traente – il lavoro del proletariato – della stessa rivoluzione industriale.
Nello stesso tempo l’economista che per un ce...

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