Leonardo scienziato
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Leonardo scienziato

Macchine, invenzioni e curiosità di un genio normale

Enrica Battifoglia

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Leonardo scienziato

Macchine, invenzioni e curiosità di un genio normale

Enrica Battifoglia

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Macchine per volare, gigantesche balestre impossibili da costruire, montagne animate che si aprono per dare spettacolo: le meravigliose invenzioni di Leonardo da Vinci nascono dall'osservazione, uno dei principali strumenti per conoscere il mondo. Leonardo osservava, disegnava e descriveva qualsiasi cosa lo interessasse. Le radici di molte sue invenzioni affondano profondamente nel suo tempo: al di là del ritratto costruito dal mito, tutte le sue opere raccontano oggi come esplorava il mondo grazie alla sua normale genialità. Questa visione d'insieme era il miglior ritratto del mondo che si potesse allora avere e forse ha qualcosa da dire alla scienza contemporanea, nella quale molte discipline cominciano a compenetrarsi. Leonardo scienziato ha lasciato un contributo in vari campi, tra cui la meccanica, l'idraulica, l'anatomia e la zoologia. Le sue invenzioni in ambito tecnico-scientifico hanno lo stesso appeal della Gioconda e meritano di essere ricordate. Con interventi di Luca Parmitano, Elena Cattaneo, Roberto Cingolani, Ilaria Capua, Guido Tonelli, Diana Bracco e Cristiano Dal Sasso.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820391171
1
L’omo sanza lettere
È la mattina del 21 giugno 2018 e a Roma, nella sede della Stampa Estera poco distante dal Palazzo del Quirinale, c’è un ospite insolito. In una teca di vetro dagli angoli in metallo verniciati di nero, sostenuta da una colonnina dello stesso colore, c’è una piastrella di terracotta dal lato di 20 centimetri sulla quale è dipinto il profilo di un giovane con i capelli che scendono verso la nuca in una nuvola di ricci, una leggera gobba sul naso, lo sguardo intenso. In piedi ai lati della teca stanno i due studiosi che per tre anni hanno esaminato quel dipinto cercando in oltre 6000 documenti indizi e corrispondenze, correlazioni e concordanze; facendo la spola fra gli archivi e i laboratori di fisica applicata hanno anche trovato una firma e una data nascoste nel chiaroscuro della mandibola, aggiungendo un altro pizzico di mistero a un’indagine tanto complessa quanto affascinante. Le cose non sarebbero potute andare diversamente, considerando che tutto ruota intorno a un uomo innamorato degli enigmi.
Quel piccolo dipinto è il più antico mai attribuito a Leonardo da Vinci. Intende rappresentare l’arcangelo Gabriele, ma molto probabilmente è l’autoritratto di un Leonardo giovanissimo. Risale infatti al 1471. Ernesto Solari, studioso di Leonardo, e la grafologa Ivana Rosa Bonfantino hanno scoperto la data nell’ombreggiatura della mandibola, accompagnata dalla firma: “da Vinci Lionardo”, e dalle lettere “LDV ib”, abbreviazione delle iniziali di Leonardo e del suo luogo di origine: “Lionardo da Vinci di Vinci”.
Fino ad allora l’unica firma nota di Leonardo era quella tracciata nel contratto per il dipinto della Vergine delle Rocce del 25 aprile 1483, scoperta nell’ottobre 2011 nell’Archivio di Stato di Milano. Nel dipinto sulla piastrella è nascosto anche un rebus composto da due numeri: il 52, che indica la data di nascita di Leonardo, e il 72, che Solari ha interpretato come i numeri che corrispondono alle lettere Gb di Gabriele e che rafforzerebbe l’ipotesi dell’autoritratto. Gli enigmi non sono finiti: sul retro della piastrella sei tasselli per sei suggeriscono il tema della quadratura del cerchio e, con esso, la ricerca della perfezione.
Donato nel 1499 da Giovanna d’Aragona agli attuali proprietari, la famiglia Fenicia di Ravello, il dipinto ha raccontato molte cose di sé nei laboratori di fisica nei quali è stato analizzato. Le analisi hanno permesso di stabilire che risale al XV secolo, dimostrando che durante la cottura si è persa parte della palpebra e che l’argilla, povera di quarzo, era originaria di Bacchereto-Montelupo, nelle vicinanze di Vinci. Leonardo aveva voluto rendere immortale quel piccolo dipinto con la tecnica dell’invetriatura: sulla terracotta dipinta aveva applicato una vernice a base di silice e piombo che con la cottura si era vetrificata, imprigionando il dipinto sotto una patina trasparente e lucida che dava un effetto simile al vetro.
Molti anni più tardi, nel Trattato della Pittura, Leonardo definirà quella tecnica “pittura d’eterna vernice”. Un nome che Solari ha voluto riprendere, intitolando il più antico dipinto di Leonardo finora noto L’arcangelo Gabriele, pittura d’Eterna vernice. Quando Leonardo dipinse quella terracotta si era già trasferito a Firenze. Due anni prima aveva lasciato il Borgo di Anchiano, a tre chilometri da Vinci, dove era nato il 23 aprile 1452. Poco distante da lì, a Bacchereto, c’era la casa dei nonni paterni con i quali Leonardo era cresciuto e vicino alla quale si trovava la fornace per la terracotta utilizzata dal nonno Antonio, ceramista. Nel suo laboratorio Leonardo aveva probabilmente osservato e imparato molte cose e già allora disegnava tutto quello che lo incuriosiva e lo affascinava. Una passione che suo padre, il notaio Ser Piero, non aveva potuto non notare e che decise di assecondare presentando il ragazzo al titolare di una bottega fiorentina che, come lui, lavorava per la famiglia de’ Medici.
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Figura 1.1Ritratto di Andrea del Verrocchio, di Timothy Cole (fonte: Wikipedia).
Si chiamava Andrea di Michele di Francesco de’ Cioni, ma per tutti era il Verrocchio, dal nome del suo primo maestro di bottega, l’orafo Giuliano Verrocchi. Leonardo, che allora aveva 17 anni, cominciava a vivere un’avventura straordinaria. Quel grande locale che si affacciava sulla strada, non lontano da via dell’Agnolo, era noto per essere una delle migliori botteghe di Firenze. Era una vera e propria fucina di attività: pittura e disegno erano di casa accanto all’arte orafa, alla scultura e alla ceramica. Si praticavano anche la metallurgia, l’ingegneria e l’architettura. Gli apprendisti erano liberi di seguire i loro interessi, di sperimentare nuove tecniche, di assecondare le loro curiosità e di esplorare nuove strade. Si respirava a pieni polmoni quella predilezione per l’osservazione diretta e per il fare. Nello stesso tempo gli artisti si scambiavano idee e conoscenze e, tra colori, ceselli, tele e scalpelli, parlavano delle nuove teorie ispirate alla filosofia platonica che in quegli anni erano molto diffuse a Firenze. Il cuore pulsante di quel vento di rinnovamento culturale si trovava a Careggi, dove nel 1462 Marsilio Ficino aveva fondato la sua Accademia neoplatonica grazie all’incoraggiamento e al sostegno di Cosimo de’ Medici.
Qui Ficino traduceva in latino le opere di Platone insieme ai testi della filosofia ermetica, che si presentava agli artisti del Rinascimento come il collante fra le macchine, la matematica e l’arte. Le idee che da Careggi si diffondevano ovunque in città e fuori dalla Toscana, nella bottega del Verrocchio si materializzavano in un disegno, in una pennellata o in un colpo di scalpello. Ultimo arrivato in quella bottega fantastica, Leonardo era ancora un allievo apprendista: avrebbe dovuto fare molta strada prima di poter disegnare e poi dipingere.
Mentre macinava i colori, preparava le tele e metteva in ordine gli strumenti poteva ascoltare quanto dicevano gli apprendisti, anche loro giovanissimi. Li ascoltava discutere le nuove idee che arrivavano dall’Accademia neoplatonica e della nuova idea di conoscenza: l’unica degna di questo nome, quella capace di risalire a Dio, non era la conoscenza razionale sostenuta dalla logica aristotelica, ma quella basata sull’intuizione e sulla ricerca delle analogie tra le cose. Sulla scia di quei discorsi, i pennelli scivolavano sulla tela delineando simboli capaci di rivelare la realtà e allegorie, le matite tracciavano enigmi e misteriosi segni cifrati.
Leonardo respirava a pieni polmoni quel vento di rinnovamento e le nuove idee probabilmente cominciavano già a plasmare la sua arte quando dipingeva il suo Arcangelo Gabriele sulla piastrella, nella quale i ricci dei capelli si curvavano in spirali simili ai vortici che aveva osservato tante volte nell’acqua, affascinato, quando dalla casa dei nonni andava giù al fiume. Anche molti anni più tardi Leonardo sarebbe tornato a osservare quell’analogia fra i vortici d’acqua e i capelli mossi dal vento, così come sarebbe andato in cerca di tante altre similitudini, tutte ugualmente capaci di guidare la conoscenza. Fin dai suoi primi giorni nella bottega del Verrocchio non aveva perso occasione per ascoltare e osservare. Vedere gli apprendisti al lavoro era avvincente: poteva ammirare la luce dei quadri di Pietro Perugino, la precisione di Domenico Ghirlandaio, la mano decisa di Lorenzo di Credi, destinato a diventare l’erede del Verrocchio, e il senso del movimento che sapeva rappresentare solo il tratto di Sandro Botticelli, che divenne presto suo grande amico.
Non erano trascorsi nemmeno tre anni dal suo ingresso nella bottega, che Leonardo già collaborava con il suo maestro alla realizzazione di opere importanti, come Il battesimo di Cristo, nel quale dipingeva l’angelo e parte dello sfondo. Dello stesso periodo era L’Annunciazione, inizialmente attribuita al Ghirlandaio e riconosciuta come un’opera di Leonardo soltanto nel 1867. In un periodo brevissimo Leonardo non soltanto aveva conquistato la piena fiducia del suo maestro, ma era già considerato uno dei suoi migliori allievi. Era ormai un artista pubblicamente riconosciuto come tale, al punto da essere menzionato nella Compagnia di San Luca, l’associazione che riuniva i pittori attivi a Firenze.
Un periodo felice, quello trascorso dal Verrocchio e con i suoi compagni, ma con qualche ombra. Risale a quegli anni, per esempio, una denuncia per sodomia, in seguito archiviata. Di certo gli otto anni trascorsi da Leonardo nella più celebre e attiva bottega di Firenze avrebbero esercitato un’influenza fondamentale sull’idea dell’arte e della conoscenza che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Lasciata la bottega del Verrocchio, nel 1477, il raggio dei suoi interessi si estese e si ampliò ulteriormente, fino alle prime osservazioni di anatomia e alla curiosità per le meravigliose macchine che aveva visto progettare da tanti ingegneri del Rinascimento. C’era poi un universo intero da scoprire nelle lunghe conversazioni con Paolo dal Pozzo Toscanelli, matematico, astronomo e geografo nonché, come era normale in quell’epoca, celebre astrologo.
Nella Firenze tormentata dalle tensioni che nel 1479 avevano portato alla congiura dei Pazzi, nella quale era stato pugnalato Giuliano de’ Medici, Leonardo trovava dal suo anziano amico nuovi stimoli e idee affascinanti, potendo viaggiare virtualmente nelle mappe celesti attraversate dalle orbite delle comete, o in quelle geografiche immaginando mondi lontani. Toscanelli aveva studiato nell’università di Padova, autentica culla della filosofia aristotelica e lì aveva imparato ad apprezzare il sapere scientifico attraverso la lettura delle opere più importanti, come quelle di Tolomeo e Strabone, Galeno e Archimede, naturalmente nella lingua originale, ossia il greco. Fra i suoi compagni di studi uno dei più cari era Niccolò Cusano, al quale Toscanelli sarebbe rimasto legato per tutta la vita. A unire i due era più di ogni altra cosa l’interesse per la matematica, con le lunghe discussioni su temi affascinanti e suggestivi, come la quadratura del cerchio, che proseguirono fino alla morte di Cusano, avvenuta nel 1464.
Un altro grande amico di Toscanelli era stato Leon Battista Alberti, architetto e scrittore, crittografo, linguista, musicista, archeologo e matematico profondamente convinto delle applicazioni del calcolo nell’architettura come nella pittura e nella tecnica che era alla base del suo disco cifrante, l’apparecchiatura per la crittografia che aveva progettato nel 1467. Qualche anno più tardi il suo trattato De pictura, scritto inizialmente in volgare e poi in latino, sarebbe diventato uno dei libri più importanti nella biblioteca di Leonardo e una delle principali fonti di una concezione scientifica dell’arte, nella quale la matematica, attraverso la teoria delle proporzioni e la prospettiva, diventava il collante capace di legare l’opera del pittore al conoscere.
Frequentando Toscanelli, Leonardo imparava come la matematica si potesse applicare anche all’osservazione del cielo. Per molti anni, infatti, l’astronomo aveva osservato le comete e utilizzato i calcoli delle loro traiettorie per ottenere oroscopi utili affinché mietiture e vendemmie potessero rendere al meglio. Aveva registrato i passaggi di comete avvenuti nel 1433, fra il dicembre 1449 e il gennaio 1450, quello della celebre cometa di Halley del 1456, ben due nel 1457 e quello del 1472, avvenuto in un inverno troppo rigido perché Toscanelli, con i suoi 75 anni, potesse permettersi di trascorrere una notte al freddo e disegnare il corso apparente della cometa fra le stelle, come aveva sempre fatto in passato. Il 1472 era stato anche l’anno della morte di Leon Battista Alberti. Nella casa di Toscanelli, probabilmente in piazza Pitti, Leonardo forse aveva avuto occasione di incontrare molti dei personaggi di cui amava essere circondato il suo amico: ingegneri e architetti, letterati e artigiani, viaggiatori che affascinavano con i racconti delle terre lontane che avevano visitato.
Leonardo osservava e ascoltava. Nello stesso periodo aveva cominciato a interessarsi all’anatomia, alla fisica e alla meccanica. La pittura, però, continuava a essere il suo pane quotidiano, anche se a volte non riusciva a consegnare in tempo i lavori che gli venivano commissionati, come era accaduto nel 1481 per l’Adorazione dei Magi, pala dell’altare maggiore di San Donato a Scopeto: secondo gli accordi, Leonardo avrebbe dovuto completarla in 30 mesi, ma non ci riuscì e l’opera venne in seguito affidata a Filippino Lippi. Difficile dire se questo sia accaduto perché Leonardo fosse preso dai suoi molteplici altri interessi o per una sorta di generale stanchezza per l’ambiente di Firenze. In ogni caso non sarebbe potuta arrivare in un momento migliore la richiesta, da parte di Lorenzo il Magnifico, di andare a Milano per portare a Ludovico il Moro un omaggio che testimoniasse il grande prestigio artistico e culturale di Firenze: una lira d’argento dalla forma di una testa di cavallo. Leonardo da Vinci si metteva in viaggio, accompagnato da Atalante Migliorotti, un promettente musicista allora sedicenne. Era il maggio 1482 e in quello stesso mese moriva Paolo Toscanelli. La lira in argento era opera dello stesso Leonardo che, come ha osservato Giorgio Vasari nelle Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, sapeva suonare molto bene tanto gli strumenti a corda quanto organi e tamburi, sebbene non sapesse leggere un pentagramma.
Entrare a far parte del circolo di artisti e ingegneri della corte degli Sforza non era comunque facile e, nel suo primo periodo a Milano, Leonardo aveva accettato l’ospitalità dei fratelli Evangelista e Giovanni Ambrogio de Predis, entrambi pittori, che lo avevano accolto nella loro casa nella zona di Porta Ticinese. A Ludovico il Moro, tutore del duca di Milano Gian Galeazzo, Leonardo si era presentato con una “lettera d’impiego”, oggi conservata nel Codice Atlantico presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, nella quale presentava le sue competenze innanzitutto in materia di arte militare, poi di ingegneria e architettura, idraulica e, solo infine, nella pittura e nella scultura. Nella corte degli Sforza poeti e filosofi erano di casa e gli architetti, come il Bramante e Francesco di Giorgio Martini, rivestivano un ruolo di primo piano, ma per Leonardo essere accettato e bene inserito nell’ambiente di corte avrebbe richiesto un po’ di tempo e pazienza.
Il primo lavoro gli veniva infatti commissionato quasi un anno dopo il suo arrivo a Milano, grazie ai suoi amici Ambrogio ed Evangelista de Predis: si trattava della pala d’altare per la cappella della Confraternita della Concezione Immacolata, nella chiesa di San Francesco Grande. Il titolo originale di quell’opera era Vergine delle rocce e otto angeli musicanti, ma è rimasta celebre come la Vergine delle Rocce. In quello stesso periodo Leonardo cominciava a lavorare al progetto di una grande statua equestre dedicata agli Sforza e destinata a svettare all’ingresso del portone centrale del castello e a diventare il simbolo della potenza e della grandezza militare del ducato. Avrebbe dovuto essere un monumento colossale, il più alto mai costruito, e avrebbe richiesto nuove tecnologie per la fusione del metallo.
Il progetto piaceva a Ludovico il Moro e probabilmente ha contribuito a far sì che Leonardo acquisisse il ruolo prestigioso che da allora in poi continuerà ad avere sia a corte sia nella società milanese. Nel 1490 la sua bottega era bene avviata. Si trovava nella Corte Vecchia, vicino al Duomo e a quello che allora era stato il Palazzo Ducale, oggi Palazzo Reale. Come la bottega del Verrocchio, quella di Leonardo era piena di giovani apprendisti, compreso un ragazzo di dieci anni arrivato il 22 luglio 1490. Si chiamava Giovanni Giacomo Caprotti de’ Tignosi e a un anno dal suo arrivo, a causa del suo carattere difficile e irrequieto, Leonardo gli aveva assegnato il nomignolo “Salaì”, probabilme...

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