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Lâomo sanza lettere
Ă la mattina del 21 giugno 2018 e a Roma, nella sede della Stampa Estera poco distante dal Palazzo del Quirinale, câĂš un ospite insolito. In una teca di vetro dagli angoli in metallo verniciati di nero, sostenuta da una colonnina dello stesso colore, câĂš una piastrella di terracotta dal lato di 20 centimetri sulla quale Ăš dipinto il profilo di un giovane con i capelli che scendono verso la nuca in una nuvola di ricci, una leggera gobba sul naso, lo sguardo intenso. In piedi ai lati della teca stanno i due studiosi che per tre anni hanno esaminato quel dipinto cercando in oltre 6000 documenti indizi e corrispondenze, correlazioni e concordanze; facendo la spola fra gli archivi e i laboratori di fisica applicata hanno anche trovato una firma e una data nascoste nel chiaroscuro della mandibola, aggiungendo un altro pizzico di mistero a unâindagine tanto complessa quanto affascinante. Le cose non sarebbero potute andare diversamente, considerando che tutto ruota intorno a un uomo innamorato degli enigmi.
Quel piccolo dipinto Ăš il piĂč antico mai attribuito a Leonardo da Vinci. Intende rappresentare lâarcangelo Gabriele, ma molto probabilmente Ăš lâautoritratto di un Leonardo giovanissimo. Risale infatti al 1471. Ernesto Solari, studioso di Leonardo, e la grafologa Ivana Rosa Bonfantino hanno scoperto la data nellâombreggiatura della mandibola, accompagnata dalla firma: âda Vinci Lionardoâ, e dalle lettere âLDV ibâ, abbreviazione delle iniziali di Leonardo e del suo luogo di origine: âLionardo da Vinci di Vinciâ.
Fino ad allora lâunica firma nota di Leonardo era quella tracciata nel contratto per il dipinto della Vergine delle Rocce del 25 aprile 1483, scoperta nellâottobre 2011 nellâArchivio di Stato di Milano. Nel dipinto sulla piastrella Ăš nascosto anche un rebus composto da due numeri: il 52, che indica la data di nascita di Leonardo, e il 72, che Solari ha interpretato come i numeri che corrispondono alle lettere Gb di Gabriele e che rafforzerebbe lâipotesi dellâautoritratto. Gli enigmi non sono finiti: sul retro della piastrella sei tasselli per sei suggeriscono il tema della quadratura del cerchio e, con esso, la ricerca della perfezione.
Donato nel 1499 da Giovanna dâAragona agli attuali proprietari, la famiglia Fenicia di Ravello, il dipinto ha raccontato molte cose di sĂ© nei laboratori di fisica nei quali Ăš stato analizzato. Le analisi hanno permesso di stabilire che risale al XV secolo, dimostrando che durante la cottura si Ăš persa parte della palpebra e che lâargilla, povera di quarzo, era originaria di Bacchereto-Montelupo, nelle vicinanze di Vinci. Leonardo aveva voluto rendere immortale quel piccolo dipinto con la tecnica dellâinvetriatura: sulla terracotta dipinta aveva applicato una vernice a base di silice e piombo che con la cottura si era vetrificata, imprigionando il dipinto sotto una patina trasparente e lucida che dava un effetto simile al vetro.
Molti anni piĂč tardi, nel Trattato della Pittura, Leonardo definirĂ quella tecnica âpittura dâeterna verniceâ. Un nome che Solari ha voluto riprendere, intitolando il piĂč antico dipinto di Leonardo finora noto Lâarcangelo Gabriele, pittura dâEterna vernice. Quando Leonardo dipinse quella terracotta si era giĂ trasferito a Firenze. Due anni prima aveva lasciato il Borgo di Anchiano, a tre chilometri da Vinci, dove era nato il 23 aprile 1452. Poco distante da lĂŹ, a Bacchereto, câera la casa dei nonni paterni con i quali Leonardo era cresciuto e vicino alla quale si trovava la fornace per la terracotta utilizzata dal nonno Antonio, ceramista. Nel suo laboratorio Leonardo aveva probabilmente osservato e imparato molte cose e giĂ allora disegnava tutto quello che lo incuriosiva e lo affascinava. Una passione che suo padre, il notaio Ser Piero, non aveva potuto non notare e che decise di assecondare presentando il ragazzo al titolare di una bottega fiorentina che, come lui, lavorava per la famiglia deâ Medici.
Figura 1.1Ritratto di Andrea del Verrocchio, di Timothy Cole (fonte: Wikipedia).
Si chiamava Andrea di Michele di Francesco deâ Cioni, ma per tutti era il Verrocchio, dal nome del suo primo maestro di bottega, lâorafo Giuliano Verrocchi. Leonardo, che allora aveva 17 anni, cominciava a vivere unâavventura straordinaria. Quel grande locale che si affacciava sulla strada, non lontano da via dellâAgnolo, era noto per essere una delle migliori botteghe di Firenze. Era una vera e propria fucina di attivitĂ : pittura e disegno erano di casa accanto allâarte orafa, alla scultura e alla ceramica. Si praticavano anche la metallurgia, lâingegneria e lâarchitettura. Gli apprendisti erano liberi di seguire i loro interessi, di sperimentare nuove tecniche, di assecondare le loro curiositĂ e di esplorare nuove strade. Si respirava a pieni polmoni quella predilezione per lâosservazione diretta e per il fare. Nello stesso tempo gli artisti si scambiavano idee e conoscenze e, tra colori, ceselli, tele e scalpelli, parlavano delle nuove teorie ispirate alla filosofia platonica che in quegli anni erano molto diffuse a Firenze. Il cuore pulsante di quel vento di rinnovamento culturale si trovava a Careggi, dove nel 1462 Marsilio Ficino aveva fondato la sua Accademia neoplatonica grazie allâincoraggiamento e al sostegno di Cosimo deâ Medici.
Qui Ficino traduceva in latino le opere di Platone insieme ai testi della filosofia ermetica, che si presentava agli artisti del Rinascimento come il collante fra le macchine, la matematica e lâarte. Le idee che da Careggi si diffondevano ovunque in cittĂ e fuori dalla Toscana, nella bottega del Verrocchio si materializzavano in un disegno, in una pennellata o in un colpo di scalpello. Ultimo arrivato in quella bottega fantastica, Leonardo era ancora un allievo apprendista: avrebbe dovuto fare molta strada prima di poter disegnare e poi dipingere.
Mentre macinava i colori, preparava le tele e metteva in ordine gli strumenti poteva ascoltare quanto dicevano gli apprendisti, anche loro giovanissimi. Li ascoltava discutere le nuove idee che arrivavano dallâAccademia neoplatonica e della nuova idea di conoscenza: lâunica degna di questo nome, quella capace di risalire a Dio, non era la conoscenza razionale sostenuta dalla logica aristotelica, ma quella basata sullâintuizione e sulla ricerca delle analogie tra le cose. Sulla scia di quei discorsi, i pennelli scivolavano sulla tela delineando simboli capaci di rivelare la realtĂ e allegorie, le matite tracciavano enigmi e misteriosi segni cifrati.
Leonardo respirava a pieni polmoni quel vento di rinnovamento e le nuove idee probabilmente cominciavano giĂ a plasmare la sua arte quando dipingeva il suo Arcangelo Gabriele sulla piastrella, nella quale i ricci dei capelli si curvavano in spirali simili ai vortici che aveva osservato tante volte nellâacqua, affascinato, quando dalla casa dei nonni andava giĂč al fiume. Anche molti anni piĂč tardi Leonardo sarebbe tornato a osservare quellâanalogia fra i vortici dâacqua e i capelli mossi dal vento, cosĂŹ come sarebbe andato in cerca di tante altre similitudini, tutte ugualmente capaci di guidare la conoscenza. Fin dai suoi primi giorni nella bottega del Verrocchio non aveva perso occasione per ascoltare e osservare. Vedere gli apprendisti al lavoro era avvincente: poteva ammirare la luce dei quadri di Pietro Perugino, la precisione di Domenico Ghirlandaio, la mano decisa di Lorenzo di Credi, destinato a diventare lâerede del Verrocchio, e il senso del movimento che sapeva rappresentare solo il tratto di Sandro Botticelli, che divenne presto suo grande amico.
Non erano trascorsi nemmeno tre anni dal suo ingresso nella bottega, che Leonardo giĂ collaborava con il suo maestro alla realizzazione di opere importanti, come Il battesimo di Cristo, nel quale dipingeva lâangelo e parte dello sfondo. Dello stesso periodo era LâAnnunciazione, inizialmente attribuita al Ghirlandaio e riconosciuta come unâopera di Leonardo soltanto nel 1867. In un periodo brevissimo Leonardo non soltanto aveva conquistato la piena fiducia del suo maestro, ma era giĂ considerato uno dei suoi migliori allievi. Era ormai un artista pubblicamente riconosciuto come tale, al punto da essere menzionato nella Compagnia di San Luca, lâassociazione che riuniva i pittori attivi a Firenze.
Un periodo felice, quello trascorso dal Verrocchio e con i suoi compagni, ma con qualche ombra. Risale a quegli anni, per esempio, una denuncia per sodomia, in seguito archiviata. Di certo gli otto anni trascorsi da Leonardo nella piĂč celebre e attiva bottega di Firenze avrebbero esercitato unâinfluenza fondamentale sullâidea dellâarte e della conoscenza che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Lasciata la bottega del Verrocchio, nel 1477, il raggio dei suoi interessi si estese e si ampliĂČ ulteriormente, fino alle prime osservazioni di anatomia e alla curiositĂ per le meravigliose macchine che aveva visto progettare da tanti ingegneri del Rinascimento. Câera poi un universo intero da scoprire nelle lunghe conversazioni con Paolo dal Pozzo Toscanelli, matematico, astronomo e geografo nonchĂ©, come era normale in quellâepoca, celebre astrologo.
Nella Firenze tormentata dalle tensioni che nel 1479 avevano portato alla congiura dei Pazzi, nella quale era stato pugnalato Giuliano deâ Medici, Leonardo trovava dal suo anziano amico nuovi stimoli e idee affascinanti, potendo viaggiare virtualmente nelle mappe celesti attraversate dalle orbite delle comete, o in quelle geografiche immaginando mondi lontani. Toscanelli aveva studiato nellâuniversitĂ di Padova, autentica culla della filosofia aristotelica e lĂŹ aveva imparato ad apprezzare il sapere scientifico attraverso la lettura delle opere piĂč importanti, come quelle di Tolomeo e Strabone, Galeno e Archimede, naturalmente nella lingua originale, ossia il greco. Fra i suoi compagni di studi uno dei piĂč cari era NiccolĂČ Cusano, al quale Toscanelli sarebbe rimasto legato per tutta la vita. A unire i due era piĂč di ogni altra cosa lâinteresse per la matematica, con le lunghe discussioni su temi affascinanti e suggestivi, come la quadratura del cerchio, che proseguirono fino alla morte di Cusano, avvenuta nel 1464.
Un altro grande amico di Toscanelli era stato Leon Battista Alberti, architetto e scrittore, crittografo, linguista, musicista, archeologo e matematico profondamente convinto delle applicazioni del calcolo nellâarchitettura come nella pittura e nella tecnica che era alla base del suo disco cifrante, lâapparecchiatura per la crittografia che aveva progettato nel 1467. Qualche anno piĂč tardi il suo trattato De pictura, scritto inizialmente in volgare e poi in latino, sarebbe diventato uno dei libri piĂč importanti nella biblioteca di Leonardo e una delle principali fonti di una concezione scientifica dellâarte, nella quale la matematica, attraverso la teoria delle proporzioni e la prospettiva, diventava il collante capace di legare lâopera del pittore al conoscere.
Frequentando Toscanelli, Leonardo imparava come la matematica si potesse applicare anche allâosservazione del cielo. Per molti anni, infatti, lâastronomo aveva osservato le comete e utilizzato i calcoli delle loro traiettorie per ottenere oroscopi utili affinchĂ© mietiture e vendemmie potessero rendere al meglio. Aveva registrato i passaggi di comete avvenuti nel 1433, fra il dicembre 1449 e il gennaio 1450, quello della celebre cometa di Halley del 1456, ben due nel 1457 e quello del 1472, avvenuto in un inverno troppo rigido perchĂ© Toscanelli, con i suoi 75 anni, potesse permettersi di trascorrere una notte al freddo e disegnare il corso apparente della cometa fra le stelle, come aveva sempre fatto in passato. Il 1472 era stato anche lâanno della morte di Leon Battista Alberti. Nella casa di Toscanelli, probabilmente in piazza Pitti, Leonardo forse aveva avuto occasione di incontrare molti dei personaggi di cui amava essere circondato il suo amico: ingegneri e architetti, letterati e artigiani, viaggiatori che affascinavano con i racconti delle terre lontane che avevano visitato.
Leonardo osservava e ascoltava. Nello stesso periodo aveva cominciato a interessarsi allâanatomia, alla fisica e alla meccanica. La pittura, perĂČ, continuava a essere il suo pane quotidiano, anche se a volte non riusciva a consegnare in tempo i lavori che gli venivano commissionati, come era accaduto nel 1481 per lâAdorazione dei Magi, pala dellâaltare maggiore di San Donato a Scopeto: secondo gli accordi, Leonardo avrebbe dovuto completarla in 30 mesi, ma non ci riuscĂŹ e lâopera venne in seguito affidata a Filippino Lippi. Difficile dire se questo sia accaduto perchĂ© Leonardo fosse preso dai suoi molteplici altri interessi o per una sorta di generale stanchezza per lâambiente di Firenze. In ogni caso non sarebbe potuta arrivare in un momento migliore la richiesta, da parte di Lorenzo il Magnifico, di andare a Milano per portare a Ludovico il Moro un omaggio che testimoniasse il grande prestigio artistico e culturale di Firenze: una lira dâargento dalla forma di una testa di cavallo. Leonardo da Vinci si metteva in viaggio, accompagnato da Atalante Migliorotti, un promettente musicista allora sedicenne. Era il maggio 1482 e in quello stesso mese moriva Paolo Toscanelli. La lira in argento era opera dello stesso Leonardo che, come ha osservato Giorgio Vasari nelle Vite dei piĂč eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino aâ tempi nostri, sapeva suonare molto bene tanto gli strumenti a corda quanto organi e tamburi, sebbene non sapesse leggere un pentagramma.
Entrare a far parte del circolo di artisti e ingegneri della corte degli Sforza non era comunque facile e, nel suo primo periodo a Milano, Leonardo aveva accettato lâospitalitĂ dei fratelli Evangelista e Giovanni Ambrogio de Predis, entrambi pittori, che lo avevano accolto nella loro casa nella zona di Porta Ticinese. A Ludovico il Moro, tutore del duca di Milano Gian Galeazzo, Leonardo si era presentato con una âlettera dâimpiegoâ, oggi conservata nel Codice Atlantico presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, nella quale presentava le sue competenze innanzitutto in materia di arte militare, poi di ingegneria e architettura, idraulica e, solo infine, nella pittura e nella scultura. Nella corte degli Sforza poeti e filosofi erano di casa e gli architetti, come il Bramante e Francesco di Giorgio Martini, rivestivano un ruolo di primo piano, ma per Leonardo essere accettato e bene inserito nellâambiente di corte avrebbe richiesto un poâ di tempo e pazienza.
Il primo lavoro gli veniva infatti commissionato quasi un anno dopo il suo arrivo a Milano, grazie ai suoi amici Ambrogio ed Evangelista de Predis: si trattava della pala dâaltare per la cappella della Confraternita della Concezione Immacolata, nella chiesa di San Francesco Grande. Il titolo originale di quellâopera era Vergine delle rocce e otto angeli musicanti, ma Ăš rimasta celebre come la Vergine delle Rocce. In quello stesso periodo Leonardo cominciava a lavorare al progetto di una grande statua equestre dedicata agli Sforza e destinata a svettare allâingresso del portone centrale del castello e a diventare il simbolo della potenza e della grandezza militare del ducato. Avrebbe dovuto essere un monumento colossale, il piĂč alto mai costruito, e avrebbe richiesto nuove tecnologie per la fusione del metallo.
Il progetto piaceva a Ludovico il Moro e probabilmente ha contribuito a far sĂŹ che Leonardo acquisisse il ruolo prestigioso che da allora in poi continuerĂ ad avere sia a corte sia nella societĂ milanese. Nel 1490 la sua bottega era bene avviata. Si trovava nella Corte Vecchia, vicino al Duomo e a quello che allora era stato il Palazzo Ducale, oggi Palazzo Reale. Come la bottega del Verrocchio, quella di Leonardo era piena di giovani apprendisti, compreso un ragazzo di dieci anni arrivato il 22 luglio 1490. Si chiamava Giovanni Giacomo Caprotti deâ Tignosi e a un anno dal suo arrivo, a causa del suo carattere difficile e irrequieto, Leonardo gli aveva assegnato il nomignolo âSalaĂŹâ, probabilme...