Individui e società tra mutamento e persistenze
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Individui e società tra mutamento e persistenze

Frammenti di realtà nell'era digitale

Rosantonietta Scramaglia

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Individui e società tra mutamento e persistenze

Frammenti di realtà nell'era digitale

Rosantonietta Scramaglia

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Il volume, frutto della collaborazione di più autori, offre gli strumenti utili a comprendere i nostri comportamenti e i fenomeni più rilevanti della realtà di oggi. Vi sono descritti da un lato i cambiamenti avvenuti nell'era digitale, dall'altro ciò che invece persiste immutato nel tempo, riguardo sia a valori e comportamenti individuali, sia ai meccanismi e alle logiche sociali. Frammenti apparentemente eterogenei, ma che, insieme, contribuiscono a comporre il grande mosaico della società attuale e a far cogliere le sue prospettive future. Oltre al contrasto fra mutamento e persistenze, viene evidenziato anche il triplice livello - individuale, locale e globale - in cui viviamo e dove coesistono, talvolta in modo conflittuale, le unicità e le esigenze espresse a livello individuale, l'influenza dell'ambiente locale e l'appartenenza generalizzata a un mondo globale.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2018
ISBN
9788820386894
1
Sociologie e metodi
Il primo capitolo racconta la nascita della sociologia in epoca positivista, i suoi inizi come scienza e le sue peculiarità rispetto alle discipline che hanno anch’esse come oggetto l’essere umano. Successivamente sorge una nuova sociologia – la microsociologia – che non ha più come oggetto di indagine i “fatti sociali”, esterni agli individui, osservabili obiettivamente, ma l’azione e interazione umana dettate dai significati che i soggetti attribuiscono via via alla situazione, e dai contesti sociali nei quali avvengono.
Dalla sociologia si passa, quindi, al sociologo, ai caratteri necessari all’indagine sociale: curiosità, immaginazione, e attenzione per i piccoli gesti quotidiani come quello di bere un caffè, che non solo implicano una serie di relazioni, rituali, simboli sociali, ma che permettono di risalire fino ai grandi scenari del commercio mondiale.
Seguono i diversi modi in cui si può rappresentare una società – costellazioni, configurazioni di danza, piramidi o reti – e i metodi utilizzabili per analizzarla, che vanno dall’analisi dei documenti o dei dati, al contatto diretto con la realtà sociale da esplorare attraverso l’osservazione partecipante o l’esperimento, ma anche con le interviste o i questionari.
Si espongono poi alcuni fenomeni che si possono incontrare nel corso della ricerca sociale, come la serendipity, le profezie autocertificantesi o i circoli viziosi e, infine, si riflette sull’opportunità di essere cauti nello stabilire relazioni causali fra i fenomeni osservati.
1.1La sociologia (di F. Fortunato)
La nostra vita quotidiana è caratterizzata per la maggior parte da interazioni sociali basate su regole, convenzioni, abitudini che condividiamo con gli altri e a cui si legano e si intersecano aspettative, paure e desideri1.
Tutte le volte che ci relazioniamo con un’altra persona, sia essa un amico, un superiore al lavoro o uno sconosciuto, adottiamo particolari condotte, cerchiamo di entrare nei ruoli richiesti dalla circostanza e, per fare ciò, non abbiamo bisogno di ripartire ogni volta da zero, ma ci serviamo di “sistemi” comprovati che sentiamo familiari, che ci appartengono, che abbiamo appreso nel corso della nostra vita attraverso la socializzazione (vedi par. 4.4). In questo modo risparmiamo tempo ed energia perché non dobbiamo ridefinire ogni volta i termini della situazione. In generale, possiamo dire che la realtà sociale nella quale viviamo ci appare famigliare, ovvia e per questo motivo non ci poniamo troppe domande, ma altresì capiamo che questi modelli non sono universalmente validi. Al contrario, essi sono culturalmente definiti. Ogni qualvolta ci ritroviamo a contatto con realtà sociali diverse dalla nostra, sono le “differenze” che riscontriamo a farci comprendere come ciò che appare scontato agli occhi di individui appartenenti ad altre società o culture, a noi possa apparire, invece, singolare. E, procedendo nella riflessione, ci accorgiamo che il nostro è soltanto uno dei mondi possibili, culturalmente, simbolicamente e semioticamente determinati2. La riflessione sociologica parte dunque da alcune domande di base che concernono la propria e le altre società. Può sembrare anacronistico, ma per comprendere la società in cui viviamo è necessario rivolgersi al passato, capire perché i nostri codici morali hanno subito una determinata evoluzione e non un’altra; cercare l’origine dei nostri comportamenti e delle nostre convinzioni e soprattutto considerare che la nostra realtà sociale è il prodotto delle nostre azioni, ma anche delle azioni di chi è venuto prima di noi.
La sociologia come scienza
La sociologia letteralmente è la “scienza che studia la società”. Ma che cosa significa “studiare la società”? In che modo è possibile “studiare la società”? Da dove partire?
Il termine fu coniato da Auguste Comte (1798-1857) nel 1824, neologismo creato dall’unione del verbo latino sociare, che significa unire, mettere insieme, condividere, e dal suffisso di origine greca logos, che indica il pensiero, la ragione, la scienza. La duplice natura del termine è di per sé indice delle radici socio-culturali della nuova disciplina. Il contesto storico in cui nasce la sociologia, cioè la prima metà dell’Ottocento, è infatti teatro di fenomeni storicamente determinanti: da un lato la rivoluzione industriale, che porta a uno stravolgimento dei modi di vita, dei ruoli, degli status, dei valori fino ad allora condivisi, e segna un momento di crisi, di messa in discussione degli equilibri consolidati; dall’altro, la smisurata fiducia nel metodo scientifico. Ricordiamo che Comte è il padre del Positivismo, che aveva portato a un costante aumento della qualità della vita, attraverso scoperte e invenzioni come il telegrafo o la locomotiva e che, continuando la filosofia illuministica, alla Provvidenza cristiana aveva sostituito il Dio progresso. È in questo clima che si impone l’esigenza di comprendere il progresso dello spirito umano e della società in modo scientifico, scopo inadeguato per le scienze umane, ma adatto alle scienze sociali. Infatti, la sociologia, secondo Comte, è una scienza sintetica, esattamente come la matematica o la fisica, fondata sulle categorie scientifico-positive di sviluppo e di progresso e, in quanto tale, svincolata da qualsiasi valutazione morale3.
Se fino ai tempi della Rivoluzione francese coloro che si erano occupati di studiare la società (Platone, Aristotele, Hobbes, Rousseau ecc.) ponevano come oggetto della loro ricerca ciò che le società sarebbero dovute essere per divenire il più possibile perfette, lo scopo dell’indagine sociologica scardina queste visioni utopiche studiando le società per conoscerle e comprenderle quali sono o sono state.
Il paradigma dello scienziato sociale della fine del XIX secolo è ben rappresentato da Sherlock Holmes, l’investigatore creato da Arthur Conan Doyle nello stesso periodo. «Holmes è, tra le altre cose, esperto di chimica, botanica e geologia, e passa molto tempo in laboratorio in mezzo a provette e alambicchi. Nel rendere conto dei suoi modi di procedere, Holmes si serve abitualmente di termini ”scientifici”, come ”inferenza”, ”ipotesi”, ”deduzione”, ”verifica”, ”teoria”, ”osservazione”. […] La visione sottesa a questo modo di indagare non traccia una distinzione netta fra scienze fisiche e scienze umane; si basa sulla convinzione che il metodo applicato in un settore di studio sia valido anche per altri». Essendo lo studio dell’uomo una scienza, in quanto tale presenta gli stessi caratteri.
«Nonostante la sua superbia, Holmes ci tiene a sottolineare che le sue abilità sono potenzialmente alla portata di chiunque. […] Non si può mai, per esempio, prevedere che cosa farà un particolare uomo, ma si può affermare con precisione che cosa farà un numero medio di essi. Gli individui variano, ma le percentuali rimangono costanti. […] Holmes rimane sempre ben distinto dal mondo su cui indaga: esiste un confine netto fra l’investigatore e l’indagato»4.
Il fatto sociale
Secondo Emile Durkheim (1858-1917), formatosi alla scuola positivista di Comte, l’atteggiamento che deve tenere il sociologo di fronte alle azioni umane non è molto diverso da quello di Sherlock Holmes, riportato sopra.
Il compito del sociologo è infatti quello di analizzare la società esattamente come fanno il fisico, il chimico o il biologo per i fenomeni fisici, chimici e biologici, ossia determinare correttamente i fatti che vuole studiare e scoprire le leggi in base a cui si producono5.
La prima domanda che sorge allora spontanea è relativa a quali sono i fatti specificamente sociali che è possibile studiare. Citando le parole di Durkheim: «Correntemente un fatto sociale comprende un po’ tutti i processi che attraversano la società purché presentino, con una certa generalità, qualche interesse sociale. A questo riguardo si può però ben dire che non esiste alcun avvenimento umano che non possa essere chiamato sociale. Ogni individuo beve, mangia, ragiona e la società ha tutto l’interesse a far sì che queste funzioni si svolgano con regolarità. Se tutti questi fatti fossero sociali, la sociologia mancherebbe di un proprio oggetto specifico. Il suo ambito si confonderebbe con quello della biologia e della psicologia. Ma, in realtà, entro qualsiasi società si rintracciano fenomeni particolari che si differenziano grazie a dei caratteri specifici da quelli che vengono studiati dalle altre scienze della natura. Quando assolvo il mio compito di fratello, di sposo o di cittadino, quando do seguito agli impegni che ho contrattato, io adempio doveri che sono definiti, al di fuori di me e dei miei atti, sulla base del diritto e dei costumi. Questi doveri non cessano di essere oggettivi per il fatto che essi siano conformi ai miei sentimenti e io ne avverta interiormente la realtà. Ciò perché non sono io ad averli creati ma li ho ereditati con l’educazione»6. Questi tipi di condotta o di pensiero, definiti come fatti sociali, oltre che essere esteriori all’individuo, sono provvisti di una potenza imperativa e coercitiva che si impongono al soggetto indipendentemente dalla sua volontà. Naturalmente, questa forma di coercizione non si manifesta quando volontariamente ci si attiene a un obbligo, nonostante permanga latente la forza coercitiva, mentre, se si viola una norma o il senso comune e non ci si sottomette alle convenzioni del mondo, saranno le pene del diritto o la riprovazione sociale a produrre l’effetto di ristabilire la normalità. Ciò implica che, se la potenza della coercizione esterna si afferma nettamente nei casi di resistenza, essa esiste in modo inconsapevole anche nei casi contrari. «È sufficiente osservare il modo in cui vengono cresciuti i bambini. Quando si guardano i fatti quali sono e quali sono sempre stati, salta agli occhi che l’educazione consiste nello sforzo continuo di imporre al bambino modi di vivere, di sentire e di agire ai quali non sarebbe mai pervenuto spontaneamente. Sin dai primi tempi della sua vita, lo costringiamo a mangiare, bere, dormire a ore regolari. Lo obblighiamo al decoro, alla calma, all’obbedienza. Più tardi lo induciamo ad apprendere e a tenere in considerazione gli altri, a rispettare gli usi, le convenienze. Lo spingiamo al lavoro ecc. Se col tempo questa costrizione cessa di essere sentita, è perché essa si trasforma lentamente in abitudine»7.
A costituire i fenomeni sociali sono le credenze, le tendenze, le pratiche del gruppo preso collettivamente. L’abitudine collettiva si esprime in una formula che si ripete di bocca in bocca, che si trasmette con l’educazione, che si fissa per iscritto. Queste sono l’origine e la natura delle regole giuridiche, morali, degli aforismi e dei proverbi, degli atti di fede religiosa o politica ecc. Secondo Durkheim, in sintesi: «È fatto sociale qualsiasi maniera di fare, fissata o meno, suscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esteriore; o anche che è generale nella estensione di una data società pur possedendo una esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali»8. In questo senso, secondo Durkheim, il fatto sociale è tutto ciò che nella società si presenta come esterno all’individuo, come per esempio la famiglia, l’istruzione, la lingua, il costume, la moda, il diritto, le organizzazioni religiose, le istituzioni e via dicendo, e che può, quindi, essere analizzato oggettivamente.
1.1AIL FATTO SOCIALE
Tutto ciò che nella società non è riconducibile a fenomeni psicologici, biologici o fisici ma che si costituisce come una realtà autonoma e distinta da essi e si presenta all’osservatore come un dato esterno agli individui e non modificabile da essi. Ovvero, insieme di modi di agire, di pensare e di sentire esterni e preesistenti all’individuo (cioè al di fuori dalle coscienze individuali), con i quali l’individuo deve confrontarsi come se fossero cose che gli si impongono con o senza il suo consenso, e che modellano le sue azioni.
I fatti sociali hanno una dimensione collettiva e sono per esempio la famiglia, il costume, l’opinione pubblica, l’istruzione, la moda, il diritto, la coscienza collettiva, i dogmi e l’organizzazione religiosa ecc. (E. Durkheim, 1895).
1.2Le discipline affini (di F. Fortunato)
L’ambito delle scienze sociali è vasto e la sociologia presenta un forte rapporto con altre discipline, perché spesso se ne serve nel suo lavoro di ricerca. È quindi necessario evidenziare che cosa la dif...

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