Il lavoro? Me lo invento
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Il lavoro? Me lo invento

Idee, strade, info pratiche per mettersi in proprio con successo

Lucia Ingrosso, Silvia Messa

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  1. 272 pages
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Il lavoro? Me lo invento

Idee, strade, info pratiche per mettersi in proprio con successo

Lucia Ingrosso, Silvia Messa

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C'è una nuova imprenditoria che sta sfondando in Italia. Un esercito di persone che non cerca un lavoro, se lo inventa. Una generazione con una marcia in più. Giovani ma anche meno giovani, ex dipendenti che fanno il grande salto: si mettono in proprio e si reinventano una vita. Perché fare impresa è bello. A tutti loro è dedicato questo manuale, che insegna a dare concretezza ai sogni. E aiuta, in modo puntuale, a trovare il settore giusto, mettere a fuoco l'idea, redigere il business plan, trovare i soldi, scegliere la forma societaria, promuoversi, fare business online. Il tutto grazie ai consigli degli esperti e alle storie di tanti piccoli e medi imprenditori illuminati, da Nord a Sud, nei settori più diversi (tecno, food, artigianato, servizi, turismo...). 'Gli imprenditori sono persone che prendono l'acqua gelata che viene buttata sulle loro idee, la scaldano con l'entusiasmo, ne fanno vapore e si spingono avanti'. Vi riconoscete in questa definizione? Allora andate avanti: leggete questo libro, nato dall'esperienza ventennale di Millionaire e mettete in pratica la vostra idea. Nessuna sfida è impossibile per chi è davvero motivato.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2017
ISBN
9788820381745
È LA MIA STRADA?
L’INFOGRAFICA
Anatomia di un imprenditore
FARE IL PUNTO PRIMA DI COMINCIARE
Mettersi in proprio: scelta o necessità?
Parola d’ordine: entrepreneur Come si cambia…
Siete bravi in quello che fate? Ora non basta più!
Siamo tutti venditori
Self marketing
Fare impresa: ci vuole un fisico bestiale!
Pro & contro
Test di autovalutazione
FARE IL PUNTO PRIMA DI COMINCIARE
Mettersi in proprio: scelta o necessità?
C’è una nuova imprenditoria che sta sfondando in Italia. Un esercito di giovani che non cerca un lavoro, se lo inventa. Una nuova generazione con una marcia in più. Sono gli EET, acronimo di Employed-Educated and Trained: giovani che sfruttano le competenze acquisite e si mettono in proprio. In tasca spesso hanno solo la voglia di farcela. Ogni giorno rischiano il proprio futuro. Si parla di 175 mila ragazzi tra i 15 e i 29 anni (studio elaborato da Censis e Confcooperative) e sono il contrario dei NEET (Not in Education, Employment, or Training), quelli che non studiano e non lavorano. I giovani imprenditori avviano un’impresa in diversi settori, da quelli più tecnologici a quelli tradizionali. Lo fanno in ogni parte d’Italia (40% al Nord, 40% al Sud, 20% al centro) e rappresentano la nostra grande bellezza: il nostro Paese è ai vertici dell’Unione Europea per il numero dei giovani imprenditori. Ogni giorno vengono create 325 imprese dagli under 40 (rapporto Censis 2016), e il sogno contagia tutti. “Mi dicevano che ero incasinato, volubile, discontinuo. Ma io un talento me lo devo riconoscere: sono un visionario. Penso che basta credere, e tutto è possibile. I sogni possono cambiare il mondo. E io voglio cambiare il mondo” ha raccontato in un talk TEDx Andrea Capaldi, 38 anni, napoletano, che ha portato a Milano l’unica cosa che a Milano non c’era: il mare. Sta creando Mare Culturale Urbano, un polo di animazione, studiato anche dalla SDA Bocconi.
Parola d’ordine: entrepreneur
Lo spirito d’impresa scorre forte nelle vene dei giovani italiani. E anche dei meno giovani, spiazzati nelle loro convinzioni di trovare un lavoro per tutta la vita. Esistono decine di lavori possibili, necessari e utili nella nostra società. Centinaia di competenze declinabili in tanti settori e ambiti economici. Oggi conta ciò che si sa fare ma, soprattutto, il beneficio tangibile che si può dare con il proprio apporto lavorativo. In un’epoca di continui cambiamenti, contano sempre meno le nozioni (non c’è risposta che non si possa avere in dieci secondi su Google) e sempre più la capacità di imparare cose nuove e disimparare i paradigmi vecchi e non più attuali. In tempi di prosperità, c’erano sacche di inefficienza che potevano sopravvivere proprio perché era imperante l’abbondanza. Oggi no. In molte realtà lavorative si tira a campare, in attesa di tempi migliori che, se non cambia la mentalità (e la modalità di gestione di tante aziende), non arriveranno mai.
Ma fra un estremo e l’altro, fra le sacche di inefficienza e i ranghi ridotti all’osso, esiste una sana via di mezzo. Un modello ideale che, con un pizzico di ottimistico realismo, potremmo indicare come la via possibile da percorrere in un prossimo futuro. In questa ottica, nasce la figura dell’entrepreneur, cioè della persona che ha spirito imprenditoriale. A prescindere dal suo inquadramento contrattuale, dal suo stipendio e dalle sue garanzie, lui/lei si sente (e di fatto, a vario titolo, è) coinvolto/a nell’andamento dell’azienda. Sa di avere un ruolo attivo se le cose vanno bene, sa di essere un costo passivo se le cose vanno male. Addio ai lavoratori alla Checco Zalone di Quo vado? che si limitano a mettere un timbro, avvitare un bullone, vidimare una pratica senza sapere tutto quello che è stato prima e che verrà dopo il loro lavoro. Ignari se la loro singola azione abbia un valore etico, sociale ed economico. Indifferenti all’impatto del loro apporto sul conto economico dell’impresa di cui fanno parte. Oggi ognuno di noi sa di essere un costo per l’organizzazione di cui fa parte (dall’impresa di pulizie a gestione familiare alla multinazionale con 30 sedi nel mondo). E sa di dover produrre un utile (non necessariamente economico) pari almeno al costo assorbito. Perciò siamo tutti imprenditori.
IMPRESA: LE DONNE CHE SI FANNO VALERE
C’è un altro record italiano. Ed è quello dell’imprenditoria femminile. Sono oltre 1,7 milioni le donne che avviano un’attività indipendente. Una cifra che vede l’Italia superare tutti gli altri Paesi europei: nel Regno Unito sono un milione e mezzo. In Germania 1,3. È la fotografia scattata dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile di Confartigianato. A guidare la crescita sono le imprenditrici artigiane, aumentate dell’1,9% negli ultimi 10 anni. Certo non è facile.
Marina Salamon, 57 anni, è una tra le imprenditrici di maggior successo in Italia. A 23 anni ha fondato Altana, tra le più importanti aziende europee di abbigliamento per bambini. A 33 ha acquisito Doxa, leader nelle ricerche di mercato, e in seguito Connexia. Intorno a queste è nato un gruppo di società che si occupano di marketing e comunicazione digitale. Ma la sua vita, quasi romanzesca, è costellata anche di problemi e sconfitte. Ha iniziato a “lavorare” a 13 anni (dando ripetizioni a una ragazza di 15). Ci ha sempre tenuto a mantenersi da sola. “Vorrei che la mia storia fosse per qualcuno uno strumento di speranza” ci ha raccontato in un’intervista per Millionaire.
Come si cambia…
A scombinare le carte sono arrivati due fattori. Da una parte la crisi, di cui sappiamo tutto e anche troppo, perciò la diamo un po’ per scontata (del resto, è pure arrivato il momento che passi). Dall’altro, la tecnologia. Oggi, per la maggior parte delle categorie di lavoratori intellettuali è possibile lavorare, in tutto o in parte, da remoto. WordPress, la piattaforma di blogging che tutti conosciamo, ha appena chiuso gli uffici a San Francisco perché nessuno li usava: ci andavano solo 5 persone in uno spazio di 1.400 metri quadrati, perché ai suoi 550 dipendenti l’azienda concedeva di lavorare da remoto. Le imprese sono sempre più liquide. E anche l’Italia si sta adeguando. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano sono 250 mila i dipendenti smart che lavorano da casa. Alla Vodafone 3.500 dipendenti possono scegliere di lavorare da remoto un giorno alla settimana. Ferrero ha annunciato il progetto “smart working” per 100 dipendenti dello stabilimento di Alba. Dopo un progetto pilota su 500 dipendenti, Enel ha deciso di estendere lo smart working a 7 mila lavoratori. La Barilla entro il 2020 permetterà a molti dei suoi dipendenti di lavorare da remoto.
Aspetti positivi? A bizzeffe! A livello sociale: meno auto in giro per le strade, meno traffico, inquinamento, meno persone che affollano i mezzi pubblici. Per le aziende: sedi più piccole e meno costose. Per i singoli: meno spese, più tempo libero, migliore qualità della vita. Aspetti negativi? Ce ne sono, ma con esperienza e buon senso diventeranno facilmente gestibili. Se in passato chi lavorava da casa si sentiva un lavoratore di serie B, faticava a trovare la motivazione e finiva per vegetare in pigiama davanti al frigo aperto e alla TV accesa, oggi è sempre meno così. Resta il fatto che, nel bene e nel male, dovremo imparare a gestire una vita in cui gli aspetti personali e quelli lavorativi sono sempre più destinati a intrecciarsi.
Siete bravi in quello che fate? Ora non basta più!
Una volta all’agente immobiliare era richiesto solo di scrivere gli annunci, accompagnare i clienti negli appartamenti, redigere un compromesso. Oggi deve essere in grado di gestire il sito dell’agenzia, girare i video degli appartamenti, conoscere il linguaggio del corpo per capire se il cliente dice no anche quando in realtà vorrebbe dire sì, captare le sue necessità e trovare le giuste soluzioni, con un servizio che va oltre la semplice compravendita.
Una volta, al grafico bastavano le capacità tecniche e un po’ di buon gusto. Oggi deve essere empatico con il cliente, capire quali sono le sue reali esigenze (anche se non è in grado di verbalizzarle), conoscere le tecniche dello storytelling, declinare il messaggio per le varie piattaforme e i diversi target.
Più in generale, essere bravi nel proprio mestiere oggi non è più sufficiente. Un panettiere deve saper fare bene il pane. Uno scrittore deve saper scrivere bei libri. Un pubblicitario deve saper ideare campagne originali. Ma a un panettiere non basta che il suo pane sia buono, per sostenere i costi della panetteria. A uno scrittore non basta che il suo libro sia bello, perché diventi un bestseller. A un pubblicitario non basta che la sua campagna sia originale per vincere una gara e aggiudicarsi l’incarico. Tutti, nessuno escluso, devono essere bravissimi nel fare ciò che fanno. Ma devono diventare altrettanto bravi nel trovare (o creare, se necessario) un mercato.
Siamo tutti venditori
“La vendita? Per carità: non fa proprio per me.” Anche se la maggior parte dei formatori giura il contrario, venditori si nasce. O, quanto meno, assi della vendita si nasce. Buoni venditori, però, si può anche diventare. Anzi, si deve. Ormai nessuna categoria professionale può più disinteressarsi dell’aspetto commerciale. Fate i presentatori televisivi? Potete preparare la vostra trasmissione al meglio e condurla in modo impeccabile, ma se non avete uno share sufficiente a soddisfare gli investitori pubblicitari, la vostra trasmissione (anche se bellissima) chiude. E voi andate a casa. Questo vale, a maggior ragione, per ogni figura all’interno di un’azienda. Chiaro che a vendere prodotti e servizi è principalmente la forza commerciale. E tuttavia il tema deve essere chiaro (e caro) a tutti quelli che lavorano nell’organizzazione, dall’amministratore delegato...

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