Ă LA MIA STRADA?
LâINFOGRAFICA
Anatomia di un imprenditore
FARE IL PUNTO PRIMA DI COMINCIARE
Mettersi in proprio: scelta o necessitĂ ?
Parola dâordine: entrepreneur Come si cambiaâŠ
Siete bravi in quello che fate? Ora non basta piĂč!
Siamo tutti venditori
Self marketing
Fare impresa: ci vuole un fisico bestiale!
Pro & contro
Test di autovalutazione
FARE IL PUNTO PRIMA DI COMINCIARE
Mettersi in proprio: scelta o necessitĂ ?
CâĂš una nuova imprenditoria che sta sfondando in Italia. Un esercito di giovani che non cerca un lavoro, se lo inventa. Una nuova generazione con una marcia in piĂč. Sono gli EET, acronimo di Employed-Educated and Trained: giovani che sfruttano le competenze acquisite e si mettono in proprio. In tasca spesso hanno solo la voglia di farcela. Ogni giorno rischiano il proprio futuro. Si parla di 175 mila ragazzi tra i 15 e i 29 anni (studio elaborato da Censis e Confcooperative) e sono il contrario dei NEET (Not in Education, Employment, or Training), quelli che non studiano e non lavorano. I giovani imprenditori avviano unâimpresa in diversi settori, da quelli piĂč tecnologici a quelli tradizionali. Lo fanno in ogni parte dâItalia (40% al Nord, 40% al Sud, 20% al centro) e rappresentano la nostra grande bellezza: il nostro Paese Ăš ai vertici dellâUnione Europea per il numero dei giovani imprenditori. Ogni giorno vengono create 325 imprese dagli under 40 (rapporto Censis 2016), e il sogno contagia tutti. âMi dicevano che ero incasinato, volubile, discontinuo. Ma io un talento me lo devo riconoscere: sono un visionario. Penso che basta credere, e tutto Ăš possibile. I sogni possono cambiare il mondo. E io voglio cambiare il mondoâ ha raccontato in un talk TEDx Andrea Capaldi, 38 anni, napoletano, che ha portato a Milano lâunica cosa che a Milano non câera: il mare. Sta creando Mare Culturale Urbano, un polo di animazione, studiato anche dalla SDA Bocconi.
Parola dâordine: entrepreneur
Lo spirito dâimpresa scorre forte nelle vene dei giovani italiani. E anche dei meno giovani, spiazzati nelle loro convinzioni di trovare un lavoro per tutta la vita. Esistono decine di lavori possibili, necessari e utili nella nostra societĂ . Centinaia di competenze declinabili in tanti settori e ambiti economici. Oggi conta ciĂČ che si sa fare ma, soprattutto, il beneficio tangibile che si puĂČ dare con il proprio apporto lavorativo. In unâepoca di continui cambiamenti, contano sempre meno le nozioni (non câĂš risposta che non si possa avere in dieci secondi su Google) e sempre piĂč la capacitĂ di imparare cose nuove e disimparare i paradigmi vecchi e non piĂč attuali. In tempi di prosperitĂ , câerano sacche di inefficienza che potevano sopravvivere proprio perchĂ© era imperante lâabbondanza. Oggi no. In molte realtĂ lavorative si tira a campare, in attesa di tempi migliori che, se non cambia la mentalitĂ (e la modalitĂ di gestione di tante aziende), non arriveranno mai.
Ma fra un estremo e lâaltro, fra le sacche di inefficienza e i ranghi ridotti allâosso, esiste una sana via di mezzo. Un modello ideale che, con un pizzico di ottimistico realismo, potremmo indicare come la via possibile da percorrere in un prossimo futuro. In questa ottica, nasce la figura dellâentrepreneur, cioĂš della persona che ha spirito imprenditoriale. A prescindere dal suo inquadramento contrattuale, dal suo stipendio e dalle sue garanzie, lui/lei si sente (e di fatto, a vario titolo, Ăš) coinvolto/a nellâandamento dellâazienda. Sa di avere un ruolo attivo se le cose vanno bene, sa di essere un costo passivo se le cose vanno male. Addio ai lavoratori alla Checco Zalone di Quo vado? che si limitano a mettere un timbro, avvitare un bullone, vidimare una pratica senza sapere tutto quello che Ăš stato prima e che verrĂ dopo il loro lavoro. Ignari se la loro singola azione abbia un valore etico, sociale ed economico. Indifferenti allâimpatto del loro apporto sul conto economico dellâimpresa di cui fanno parte. Oggi ognuno di noi sa di essere un costo per lâorganizzazione di cui fa parte (dallâimpresa di pulizie a gestione familiare alla multinazionale con 30 sedi nel mondo). E sa di dover produrre un utile (non necessariamente economico) pari almeno al costo assorbito. PerciĂČ siamo tutti imprenditori.
IMPRESA: LE DONNE CHE SI FANNO VALERE
CâĂš un altro record italiano. Ed Ăš quello dellâimprenditoria femminile. Sono oltre 1,7 milioni le donne che avviano unâattivitĂ indipendente. Una cifra che vede lâItalia superare tutti gli altri Paesi europei: nel Regno Unito sono un milione e mezzo. In Germania 1,3. Ă la fotografia scattata dallâOsservatorio sullâimprenditoria femminile di Confartigianato. A guidare la crescita sono le imprenditrici artigiane, aumentate dellâ1,9% negli ultimi 10 anni. Certo non Ăš facile.
Marina Salamon, 57 anni, Ăš una tra le imprenditrici di maggior successo in Italia. A 23 anni ha fondato Altana, tra le piĂč importanti aziende europee di abbigliamento per bambini. A 33 ha acquisito Doxa, leader nelle ricerche di mercato, e in seguito Connexia. Intorno a queste Ăš nato un gruppo di societĂ che si occupano di marketing e comunicazione digitale. Ma la sua vita, quasi romanzesca, Ăš costellata anche di problemi e sconfitte. Ha iniziato a âlavorareâ a 13 anni (dando ripetizioni a una ragazza di 15). Ci ha sempre tenuto a mantenersi da sola. âVorrei che la mia storia fosse per qualcuno uno strumento di speranzaâ ci ha raccontato in unâintervista per Millionaire.
Come si cambiaâŠ
A scombinare le carte sono arrivati due fattori. Da una parte la crisi, di cui sappiamo tutto e anche troppo, perciĂČ la diamo un poâ per scontata (del resto, Ăš pure arrivato il momento che passi). Dallâaltro, la tecnologia. Oggi, per la maggior parte delle categorie di lavoratori intellettuali Ăš possibile lavorare, in tutto o in parte, da remoto. WordPress, la piattaforma di blogging che tutti conosciamo, ha appena chiuso gli uffici a San Francisco perchĂ© nessuno li usava: ci andavano solo 5 persone in uno spazio di 1.400 metri quadrati, perchĂ© ai suoi 550 dipendenti lâazienda concedeva di lavorare da remoto. Le imprese sono sempre piĂč liquide. E anche lâItalia si sta adeguando. Secondo lâOsservatorio del Politecnico di Milano sono 250 mila i dipendenti smart che lavorano da casa. Alla Vodafone 3.500 dipendenti possono scegliere di lavorare da remoto un giorno alla settimana. Ferrero ha annunciato il progetto âsmart workingâ per 100 dipendenti dello stabilimento di Alba. Dopo un progetto pilota su 500 dipendenti, Enel ha deciso di estendere lo smart working a 7 mila lavoratori. La Barilla entro il 2020 permetterĂ a molti dei suoi dipendenti di lavorare da remoto.
Aspetti positivi? A bizzeffe! A livello sociale: meno auto in giro per le strade, meno traffico, inquinamento, meno persone che affollano i mezzi pubblici. Per le aziende: sedi piĂč piccole e meno costose. Per i singoli: meno spese, piĂč tempo libero, migliore qualitĂ della vita. Aspetti negativi? Ce ne sono, ma con esperienza e buon senso diventeranno facilmente gestibili. Se in passato chi lavorava da casa si sentiva un lavoratore di serie B, faticava a trovare la motivazione e finiva per vegetare in pigiama davanti al frigo aperto e alla TV accesa, oggi Ăš sempre meno cosĂŹ. Resta il fatto che, nel bene e nel male, dovremo imparare a gestire una vita in cui gli aspetti personali e quelli lavorativi sono sempre piĂč destinati a intrecciarsi.
Siete bravi in quello che fate? Ora non basta piĂč!
Una volta allâagente immobiliare era richiesto solo di scrivere gli annunci, accompagnare i clienti negli appartamenti, redigere un compromesso. Oggi deve essere in grado di gestire il sito dellâagenzia, girare i video degli appartamenti, conoscere il linguaggio del corpo per capire se il cliente dice no anche quando in realtĂ vorrebbe dire sĂŹ, captare le sue necessitĂ e trovare le giuste soluzioni, con un servizio che va oltre la semplice compravendita.
Una volta, al grafico bastavano le capacitĂ tecniche e un poâ di buon gusto. Oggi deve essere empatico con il cliente, capire quali sono le sue reali esigenze (anche se non Ăš in grado di verbalizzarle), conoscere le tecniche dello storytelling, declinare il messaggio per le varie piattaforme e i diversi target.
PiĂč in generale, essere bravi nel proprio mestiere oggi non Ăš piĂč sufficiente. Un panettiere deve saper fare bene il pane. Uno scrittore deve saper scrivere bei libri. Un pubblicitario deve saper ideare campagne originali. Ma a un panettiere non basta che il suo pane sia buono, per sostenere i costi della panetteria. A uno scrittore non basta che il suo libro sia bello, perchĂ© diventi un bestseller. A un pubblicitario non basta che la sua campagna sia originale per vincere una gara e aggiudicarsi lâincarico. Tutti, nessuno escluso, devono essere bravissimi nel fare ciĂČ che fanno. Ma devono diventare altrettanto bravi nel trovare (o creare, se necessario) un mercato.
Siamo tutti venditori
âLa vendita? Per caritĂ : non fa proprio per me.â Anche se la maggior parte dei formatori giura il contrario, venditori si nasce. O, quanto meno, assi della vendita si nasce. Buoni venditori, perĂČ, si puĂČ anche diventare. Anzi, si deve. Ormai nessuna categoria professionale puĂČ piĂč disinteressarsi dellâaspetto commerciale. Fate i presentatori televisivi? Potete preparare la vostra trasmissione al meglio e condurla in modo impeccabile, ma se non avete uno share sufficiente a soddisfare gli investitori pubblicitari, la vostra trasmissione (anche se bellissima) chiude. E voi andate a casa. Questo vale, a maggior ragione, per ogni figura allâinterno di unâazienda. Chiaro che a vendere prodotti e servizi Ăš principalmente la forza commerciale. E tuttavia il tema deve essere chiaro (e caro) a tutti quelli che lavorano nellâorganizzazione, dallâamministratore delegato...