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Scusi, cameriere!
L’evoluzione del cameriere
Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno la più intelligente.
Sopravvive quella che si adatta meglio al cambiamento.
– C. DARWIN –
Opportunità non colte per mancanza di competenze, determinazione o insicurezza. Voglia di crescere ma non sapere come ottenere risultati e, soprattutto, non avere nessuno che ti insegni a farlo.
Avrai vissuto una o più di queste situazioni, o magari conosci qualcuno che le sta vivendo, intrappolato in un mestiere che ha perso la sua identità.
Fare il cameriere oggi è considerato, in generale, un lavoro di serie b. Pensa a quando incontri persone nuove e ti viene chiesto di cosa ti occupi. Come ti senti?
Non è forse vero che ti si blocca un po’ in gola la parola cameriere? O che quando rinnovi la carta d’identità preferisci far scrivere dipendente o persino operaio, ma quella parola proprio no?
È diventato, per diverse ragioni socioculturali, il “lavoretto di emergenza”: per chi deve pagare gli studi universitari, per chi si trasferisce in un Paese straniero senza conoscere bene la lingua, per chi è in cerca di una prima occupazione “stabile” o ancora per chi ha perso il posto di lavoro. Queste circostanze hanno portato a un netto impoverimento della professionalità nel settore. Molti praticano questo mestiere senza un minimo di conoscenze basilari. È come se ci trovassimo a guidare in autostrada e solo la metà dei conducenti avesse la patente. Ti sentiresti sicuro? Non credo proprio. Se aggiungiamo che, nell’immaginario comune, l’Istituto alberghiero è visto come una scuola per “chi ha poca voglia di studiare”, il quadro è completo. Metà senza, e l’altra metà con una patente “insufficiente”.
Giovani disincantati, senza chiare ambizioni. Adulti rassegnati a un percorso non corrispondente a ciò che si erano prefissati. Tutto questo, e non solo, sta impoverendo e sminuendo un settore che, di contro, è stato sempre caratterizzato da profonda passione e anelito alla libertà, all’avventura e alla poesia.
Di conseguenza ne risente tutto il settore, perdendo di attrattiva, considerazione e valore. I primi a rimetterci sono proprio coloro che svolgono questo mestiere con passione, che aspirano a ricoprire posizioni manageriali o a realizzare il sogno di avviare una propria attività. Magari proprio quel barettino sulla spiaggia!
I dati odierni descrivono una situazione paradossale: all’aumento delle opportunità di lavoro e di crescita professionale corrisponde una diminuzione delle competenze. Non solo per quanto riguarda gli hard skills (cosa sai fare) ma anche i soft skills (caratteristiche trasversali): abilità fondamentali da sviluppare per chi intende proseguire un percorso verso ruoli di responsabilità.
Ho conosciuto persone davvero preparate, con un’ottima attitudine verso i clienti e tanta voglia di crescere. Ma c’era sempre qualcosa che bloccava il loro percorso.
La paura di lasciare un posto di lavoro per intraprendere una nuova esperienza altrove, o la difficoltà di uscire dalla propria comfort zone evitando di applicare quelle strategie che avrebbero permesso loro di fare il salto di qualità.
A volte le piccole difficoltà di tipo pratico o logistico, se non sono affrontate con la giusta attitudine, si trasformano in barriere insormontabili.
Pensa a Thomas Edison, l’inventore della lampadina. Non si è arreso davanti alle difficoltà, incredibilmente smisurate a quei tempi, perseguendo il suo obiettivo con determinazione, fede e costanza (Google non esisteva ancora, e neanche la luce!).
Dovremmo farci ispirare ogni giorno dal suo esempio e dalle sue parole, quando, rispondendo alla domanda su come si sentisse ad aver fallito duemila volte, lui rispose:
Non ho fallito duemila volte, ma ho solo scoperto millenovecentonovantanove modi diversi su come non fare una lampadina.
Una volta il “sapere” era meno diffuso, ma forte era la “volontà” individuale. Se i nostri predecessori non sapevano fare qualcosa, trovavano comunque un modo per realizzarla, spinti da una forte motivazione. Oggi è il contrario, abbiamo accesso a qualsiasi tipo di formazione e informazione eppure siamo disorientati, pigri e confusi.
È vero. A volte può essere difficile, complicato o dispendioso compiere delle scelte radicali, ma il vero rischio è restare fermi.
Se sai dove cercare trovi.
Se sai come fare ottieni.
1.1 Ai bei tempi
Il mondo della ristorazione è cambiato profondamente dalla fine del secolo scorso ai giorni nostri e tuttora è in continua evoluzione. I mutamenti si susseguono con estrema rapidità e ciò potrebbe costituire una difficoltà per chi non riesce a coglierne caratteristiche e significati. Questo discorso vale sia per chi nella ristorazione investe idee e capitali, sia per chi impiega il proprio tempo e le proprie risorse: come te!
L’era del maître che indossava il frac, del cameriere con i guanti bianchi, degli ospiti che indugiavano alla porta aspettando che qualcuno li accompagnasse al tavolo è quasi estinta, e le ragioni sono molteplici, a partire proprio dalla nuova tipologia di clienti.
Fino al secolo scorso ad affollare ristoranti e hotel erano le persone agiate e il ruolo del cameriere era più simile a quello di un maggiordomo. Si richiedevano doti straordinarie. Doveva avere una bella presenza, essere preparato su tutto il menu (non esisteva il “vado a chiedere allo chef”) e saper intrattenere gli ospiti di un certo rango sociale.
Questo richiedeva una rigida educazione e conoscenze tra le più disparate. Pensa che quando in Italia il termine “inglese” era utilizzato solo come aggettivo per definire chi era nato in Inghilterra, i camerieri padroneggiavano già questa e altre lingue straniere con disinvoltura. Grazie alle numerose esperienze all’estero, a contatto con personaggi facoltosi e ben informati, i “nostri antenati” erano preparati e aggiornati su tutto. Forse non si esprimevano con l’accento di Oxford, ma erano delle persone molto rispettate e considerate dei veri “professionisti”.
Oltre ai clienti, è cambiato anche il modo di approcciarsi alla ristorazione. Se una volta si usciva raramente e solo per festeggiare ricorrenze e occasioni importanti, oggi si mangia fuori sempre più spesso e non necessariamente per celebrare qualcosa in particolare.
Considera che in Spagna e Inghilterra quasi il 50% dei pasti (considerando colazione, pranzo e cena) viene consumato fuori dalle mura domestiche, mentre in Italia, in media, una persona mangia fuori casa tra le cinque e le sette volte a settimana.2
Questo ci aiuta a capire come il cliente non sia più alla ricerca di un posto dove mangiare e bere bene, ma anche di un locale accogliente, di un ambiente stimolante e di un rapporto qualità-prezzo accettabile.
“Rapidità” e “comodità” sono le due leve che fanno girare il mondo moderno e la ristorazione ne ha subito le conseguenze, soprattutto in termini di “servizio”.
Mentre fino a qualche anno fa in Italia si mangiava al ristorante, in trattoria o in pizzeria, oggi il panorama enogastronomico è “globalizzato”. Fast food, hamburgeserie, ristoranti cinesi, giapponesi, fusion, vegetariani, vegani, tavole calde e fredde, polpetterie e tramezzinerie. Per assurdo, oggi, aprire un “ristorante tradizionale” significa essere degli innovatori!
Persino la tecnologia è sempre più presente nel mondo del servizio ristorativo.
Si è passati dalla penna e dal blocco comande ai tablet, e ora sempre più locali offrono la possibilità di ordinare tramite schermi integrati direttamente sui tavoli: take away, delivery, corner h24, consegne con i droni, ristoranti completamente automatizzati come la californiana Eatsa, e i camerieri robot in Giappone e in Cina.
Anche il modo di cercare lavoro è cambiato, lo si fa tramite i social network come LinkedIn o i portali di ricerca come InfoJobs.
Diverse sono le app per scegliere l’abbinamento cibo-vino più congeniale, TripAdvisor e Facebook stanno diventando per gli esercizi ristorativi uno strumento indispensabile per promuoversi e farsi notare.
I mass media hanno influito notevolmente sugli usi e costumi di questo mondo, aprendo le “porte” delle cucine e trasformando il cuoco da vero e proprio “pasticcione” in una star. Ciò porta a relegare sullo sfondo chi da sempre ha contribuito a dare vita alle creazioni culinarie, donando un’anima a ogni singolo piatto, facendo sognare clienti estasiati...
1.2 Ma dov’è finito il cameriere?
La parola “cameriere” deriva da “camera”. Era la persona di fiducia, che aveva accesso alla zona più intima e personale della casa. Anche nelle altre lingue richiama nobili valori quali pazienza e umiltà. E oggi?
Seppur svolga un compito fondamentale, nessuno sembra riconoscerne il valore e l’importanza.
In questo scenario è facile perdere la direzione, soprattutto quando vengono a mancare quei punti di riferimento illuminanti e autorevoli. Di Davide Selva, Maître con la “M” maiuscola, ne sono rimasti davvero pochi. Un professionista, una persona cui guardare con ammirazione e rispetto. Perché per un giovane cameriere avere un mentore al quale ispirarsi è fondamentale per crescere professionalmente, conseguire le giuste competenze e, soprattutto, acquisire uno ...