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#Addicted
Viaggio dentro le manipolazioni della tecnologia
Gea Scancarello
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Viaggio dentro le manipolazioni della tecnologia
Gea Scancarello
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A nostra insaputa, la tecnologia pensata per essere al servizio dell'uomo ha finito per renderci dipendenti da smartphone, social network, applicazioni e videogame. L'autrice affronta la relazione patologica che abbiamo con i nostri dispositivi e rovescia la prospettiva comune, denunciando la responsabilitĂ dell'industria piĂš potente e meno trasparente al mondo: i signori della Silicon Valley.Un libro per chi pensa al futuro e alle trasformazioni in corso. Per chi si pone domande di tipo pratico, ma anche etico sul perchĂŠ a un certo punto ci siamo ritrovati tutti addicted ai nostri dispositivi.
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Topic
Negocios y empresaSubtopic
Marketing digitalCAPITOLO 1
CACCIA ALLE SCARPE
SE NE STAVA AL BUIO, QUASI ACCASCIATO SUL TAVOLO giĂ apparecchiato per la colazione, la testa abbandonata sul braccio sinistro piegato a moâ di cuscino e lâaltro braccio allungato verso il computer. Lo schermo lo illuminava di una luce quasi caravaggesca.
Mancò poco che gli piombassi addosso, inciampando nel tragitto verso la cucina: stavo andando a cercare un poâ dâacqua, sforzandomi di non svegliarmi del tutto. Mi servĂŹ qualche istante per mettere a fuoco la scena, abbastanza intontita da chiedermi se stessi ancora sognando.
âChe ci fai qui?â, sussurrai infine accendendo la luce, un istante prima di rendermi conto che il portatile con cui mio nipote stava giocando era il mio.
âLe scarpe saranno in vendita tra due ore e mezza. Ricordati che hai promesso di comprarmele per il mio compleanno, se riesco a prenderle.â
âSolo se le becchi al prezzo normale. Non intendo fare alcuna asta nĂŠ inseguirleâ, mi ritrovai a rispondere. Come se non fossero le cinque del mattino, mio nipote dodicenne ancora per qualche giorno non mi stesse parlando con gli occhi a malapena aperti e non avessi appena usato il verbo âinseguireâ riferendomi a un paio di scarpe da ginnastica.
Quelle sneaker e il taglio di capelli di Neymar erano gli argomenti piĂš discussi nei corridoi della scuola che frequentava. Avrebbe compiuto 13 anni la settimana successiva e aveva da poco ottenuto il permesso di mascherare con un ciuffo biondissimo il suo viso ancora di bimbo. Ma le scarpe rientravano in una categoria di desideri piĂš difficili da realizzare: benchĂŠ dalla sua avesse voti eccellenti e un moderato ma strategico contributo in poche faccende domestiche â oltre a occhi verdi imploranti che sarebbero stati capaci di sciogliere un iceberg, figuriamoci le resistenze di una zia â non era possibile semplicemente entrare in un negozio e acquistarle. Andavano, appunto, inseguite. In giro per la Rete. Trenta minuti e un paio di caffè dopo, ormai rassegnata a fargli compagnia â chi lascerebbe un tredicenne solo prima dellâalba di fronte a un computer? â ero seduta accanto a lui nel salotto, condividendo la sua delusione: il sito dellâAdidas su cui avremmo dovuto comprare le scarpe non si stava caricando. E, mio nipote lo sapeva con la certezza dellâesperienza, il problema era che troppe persone stavano provando a connettersi nello stesso momento.
Per combattere contro lâesercito invisibile di concorrenti sparsi nel mondo avevamo schierato tutta la nostra artiglieria, generosamente e inconsapevolmente messa a disposizione dagli adulti che dormivano al piano superiore. Un iPad, il mio computer e quattro smartphone stavano tentando di collegarsi al sito su cui a momenti le sneaker sarebbero state disponibili. Per unâora o forse per due, magari per lâintera giornata oppure anche solo per dieci minuti: nessuno lo sapeva in anticipo. CosĂŹ come nessuno sapeva quante paia fossero realmente in vendita: dieci, cento, un milione, abbastanza per tutti o forse solo per una manciata di fortunatissimi. Non avere informazioni era âparte del giocoâ, mi spiegò mio nipote mentre, tra uno sbadiglio e il successivo, lo bersagliavo di domande per capire cosa stessimo facendo esattamente.
Rispondeva mordendosi nervosamente il polso, in tono scocciato, gli occhi verdi cosĂŹ gonfi di stanchezza da farmi desiderare di potergli comprare tutte le scarpe del pianeta, pur di renderlo felice. Eppure la generositĂ non sembrava sufficiente: âNon capisco, questa volta non dovrebbe essere cosĂŹ difficile: dobbiamo solo riuscire a collegarci al sito. Sono sicuro che siamo in ritardo, è colpa nostra, avremmo dovuto essere qui a provare molto primaâ, continuava a dire.
Molto prima, cioè nel mezzo della notte.
OTTENERE LâACCESSO: FEDELTĂ, DEDIZIONE, COMPLICITĂ
Una volta, circa un anno prima, lâimpresa gli era riuscita. Le scarpe che si era aggiudicato, un paio di Yeezy Boost V2 disegnate da Kanye West, oggi valgono intorno agli 800 dollari. Non so nulla di sneaker, ma le ho riconosciute al volo quando, dopo il colpaccio, le ha messe la prima volta in mia presenza: eravamo a un pranzo di famiglia in campagna e mentre i suoi cugini giocavano a calcio nellâerba umida lui se ne stava in disparte per non sporcarle. Ricordo di averlo preso in giro, allora; adesso, nel pensarci, mi monta la rabbia.
Da allora, controllare il valore delle Yeezy su una app che funziona come borsino delle sneaker è routine. Quando sta per uscire un nuovo modello, le verifiche si fanno piÚ frequenti: in linea teorica, se il prezzo è abbastanza alto può rivenderle e provare ad acquistare il nuovo paio, sempre attraverso una delle decine di app affastellate sul suo telefono.
Provare, appunto. PerchĂŠ a essere precisi le scarpe non sono in vendita: sono parte di un âdropâ1. Letteralmente, vengono sganciate: sul mercato, ma molto prima sugli schermi. Lâacquisto non è piĂš (solo) una questione di soldi. I soldi contano, e parecchio, ma il problema si pone in un secondo momento. Prima câè altro. Prima bisogna dimostrare fedeltĂ , attaccamento, desiderio. Bisogna essere connessi a un mondo di app, siti, account Twitter, profili Instagram, notifiche, community online, celebritĂ , influencer. Bisogna essere disposti a seguire istruzioni digitali raccolte qui e lĂ . Bisogna farsi guidare e âottenere lâaccessoâ, come mi suggeriva in tono ammiccante la app dellâAdidas che mio nipote aveva voluto scaricassi alle sei di quella mattina agostana, per aumentare le nostre chance. Conquistarselo. Grazie a fedeltĂ , dedizione, complicitĂ .
âDrop il 18 agosto, alle 8:00 GMTâ era la soffiata che stavamo seguendo quella notte, proveniente da voci sul sito âSneaker Newsâ. Confermate dallâaccount social @theyeezymafia â mezzo milione di follower su Twitter â e da una serie di notifiche da parte di Bump, Goat e StockX, rivenditori che avevano creato un floridissimo mercato secondario per le sneaker e altri oggetti del desiderio, e che erano sempre in possesso delle informazioni aggiornate. NonchĂŠ delle scarpe stesse, curiosamente disponibili sui siti âsecondariâ appena pochi minuti dopo il drop ufficiale, nel caso in cui, dopo ore di tentativi e attese e privazione del sonno per ottenerle sui canali ordinari, un padre o una madre fossero disposti a spendere 400 euro per portarsele a casa, cosĂŹ da consentire alla famiglia di fingere un ritorno alla normalitĂ . Non era il mio caso.
âNon penso che funzioni. Ti comprerò qualcosâaltro per il tuo compleanno. Torniamocene a lettoâ, buttai lĂŹ.
Mio nipote ascoltava a malapena, la testa tra le mani, impegnato ad affinare i pensieri e a valutare soluzioni alternative mentre il tempo per riuscire a connettersi stava per finire. âForse non è il fuso orario GMT, magari mi sono confuso. Proviamo ad andare sul mercato americano. E magari câè unâestrazione a sorte. SĂŹ, proviamo subito unâestrazione su SNS.â
âChe cosâè SNS?â
âUn posto bellissimo.â
Disse proprio cosÏ: un posto bellissimo. Intendeva ovviamente un sito web, Snearkersnstuff. Un portale pieno di news, di scarpe e di estrazioni a sorte, che sono uno dei metodi per aggiudicarsele: lotterie online alla quali ci si collega, si stacca il proprio ticket virtuale per poi restare davanti allo schermo in attesa di conoscere se si è tra i vincitori. Ammesso di riuscire a connettersi, certo.
Freneticamente, prese a controllare su tutti i canali che conosceva se fosse in corso una lotteria di cui non era venuto a sapere, passando da un dispositivo allâaltro: almeno due dovevano sempre continuamente cercare di raggiungere la pagina dellâAdidas. Le probabilitĂ che non fosse sufficientemente informato erano irrisorie, visto che aveva trascorso la settimana ad assorbire informazioni sul drop imminente. Ma le vacanze e la piĂš grande di tutte le disgrazie â esaurire i giga a disposizione in una casa con connessione Internet limitata â davano qualche consistenza alle sue speranze. Il giro di consultazioni, però, si vanificò rapidamente: non era prevista alcuna estrazione.
âChi stabilisce in quali casi câè la lotteria e in quali no? E comunque voi ragazzini non dovreste avere almeno 18 anni per partecipare?â, gli chiesi, versandomi un altro caffè. Il sole, a quel punto, era sorto. E il suo umore stava peggiorando con il diminuire delle possibilitĂ e lâaumentare delle mie domande. Mi diede unâocchiata carica di quella miscela di noia e fastidio che gli adolescenti riservano agli adulti quando sentono che questi li stanno sabotando. Il che, in quel caso specifico, era abbastanza vero.
Dâaltronde, anche se avesse voluto realmente rispondermi, non avrebbe saputo cosa dire. Per via dei suoi 12 anni, naturalmente. E perchĂŠ il sistema non prevede che lo sappia: se vuole le scarpe â e certo che le vuole: nella sua cerchia tutti ne parlano, le taggano sui social, le fotografano; probabilmente le vorrebbe anche se non gli piacessero, per via delle pressione sociale â se le vuole, tutto ciò che gli viene richiesto è attenersi alle regole del gioco.
Non mollare, continuare a provare. Seguire profili, account online, rumor. Controllare orari, rivenditori, link. Assicurarsi di essere sveglio abbastanza presto, o sufficientemente tardi. Avere sempre il telefono carico, connesso, con le notifiche attivate e il volume in funzione. Commentare, scaricare, condividere. Con pazienza, lasciando che il desiderio cresca. Per ogni tentativo fallito, la fame di riuscirci diventerĂ piĂš grande. AlimenterĂ il circolo. E la gioia sarĂ maggiore quando infine lâacquisto riuscirĂ . Lo si può considerare un gioco, o una battaglia estenuante. Ma quella mattina, mentre gli altri adulti stavano per alzarsi e io accarezzavo con dolcezza i suoi capelli biondi per mitigare il senso di sconfitta, unâaltra sensazione iniziò a pizzicarmi la coscienza: mi sembrò una specie di sequestro.
Dei suoi pensieri, del suo tempo, dei suoi desideri.
OSTAGGI DI UNA STRATEGIA DIGITALE
Mia cognata fece capolino dalle scale, ancora in pigiama. Erano appena passate le 8, e mi sembrava di aver trascorso la notte in bianco: gli occhi mi facevano male per essere stata troppo tempo davanti allo schermo senza gli occhiali. Però chi cavolo avrebbe pensato di aver bisogno delle lenti per comprare un paio di scarpe?
Si mise a cercare il cellulare, che avevamo collocato in una posizione strategica per massimizzare la ricezione, cercando di fargli fare un ultimo tentativo di collegarsi alla pagina dellâAdidas. Desolato, mio nipote glielo passò: era pronto ad ammettere che il gioco era finito. Magari qualcuno si era svegliato alle 3 ed era riuscito ad accaparrarsi tutte le scarpe disponibili, per poi rivenderle. Magari la nostra connessione Internet non era abbastanza buona. O magari le scarpe non erano in vendita quella mattina e stavamo seguendo le indicazioni sbagliate.
Oppure eravamo stati ostaggi. Ostaggi, sĂŹ: di un piano di marketing digitale, capace di manipolare il nostro tempo e la nostra attenzione. Di tenerci attaccati allo schermo, di rubarci il sonno, di farci concentrare ossessivamente su quelle scarpe e su come averle. Un piano mascherato da gioco, da intrattenimento. Perfetto per coinvolgere teenager, per persuaderli di poterci riuscire, per creare aspettative e aumentare il desiderio. Per convincerli a riprovarci alla successiva occasione utile e a non pensare ad altro nel frattempo.
Mia cognata guardò distrattamente lo schermo, pronta a cercare un altro argomento di conversazione per iniziare la giornata: câera giĂ passata, sapeva di non dover girare il coltello nella piaga. Ma sul monitor dellâiPhone che le stavamo porgendo comparve di colpo la scritta: ACQUISTA ORA.
Iniziammo a gridare scompostamente, mio nipote e io, in preda a unâeccitazione poco consona allâorario. E allâetĂ , nel mio caso. Non riuscivo a credere che davvero stesse succedendo, proprio nel momento in cui stavamo per rinunciare: ce lâavevamo fatta! La prima mattina era diventata inaspettatamente briosa, tutto un ridere, abbracciarsi, dichiararsi eterni affetto e gratitudine: cinque minuti di gioia pura tra mamma e figlio, mentre io correvo a cercare la carta di credito. Inserii i dati in fretta e furia e il pagamento andò a buon fine: avevamo davvero le scarpe. Sarebbero arrivate a casa presto: un regalo di compleanno da favola per un tredicenne. Un regalo esclusivo, che avrebbe mostrato con fierezza agli amici, ancora piĂš inorgoglito quando loro avessero raccontato quante volte avevano provato a connettersi senza riuscirci.
Avevamo le scarpe, sĂŹ. Ma, esaurita lâadrenalina della sorpresa, di fronte allâennesimo caffè, io avevo anche un certo numero di domande che mi ballavano in testa. Ce lâavevamo fatta per caso o câera una strategia? Era tutto studiato per andare cosĂŹ, per farci desiderare, illudere, restare collegati, disperare, e infine ricompensarci? Ma se di una strategia si trattava, chi lâaveva pensata? Chi penserebbe a qualcosa di cosĂŹ crudele sulla pelle di ragazzini? Chi giocherebbe sulla loro felicitĂ , aumentando la loro frustrazione, agitando desideri inarrivabili? Non riuscivo a smettere di pensarci, immaginando quante altre volte questa scena si fosse ripetuta, in quante altre case, quanti altri ragazzi avessero trascorso lâalba di fronte a un computer o a un telefono, probabilmente senza dirlo ai genitori. Possibile che per aumentare la desiderabilitĂ dei propri prodotti unâazienda sfruttasse le debolezze di un teenager, i suoi desideri e le sue aspirazioni? Che ne manovrasse i pensieri e le abitudini, mantenendolo attaccato a uno schermo?
Non ci avevo mai riflettuto abbastanza, ma i post su Instagram, le aste e le notifiche avevano la capacitĂ di manipolare. E di farlo nel nome di quello che consideriamo genericamente progresso, un cambiamento spinto e impersonato da esperti, guru, futurologi. Persone di cui ammiriamo e celebriamo la vita e il talento, ma che, iniziavo a sospettare, sono probabilmente diverse dai geni che crediamo siano.
CosĂŹ diverse che decisi di andare a verificare. Di mettermi in viaggio per cercare queste persone, conoscerle, parlare con loro. Per provare a capire il mondo dietro alle notifiche che avevamo inseguito quella notte, e tutti i comportamenti distorti che avevo appena iniziato a focalizzare.
__________________
1. âTo dropâ in inglese significa far cadere, calare.
CAPITOLO 2
AGLI ORDINI, SOFTWARE
QUALCHE SETTIMANA DOPO QUELLA STRANIANTE caccia alle scarpe arrivai a Bournemouth, in Inghilterra. Se il nome non vi dice molto, siete in buona compagnia: prima di mettermi in viaggio, non avrei saputo collocarlo sulla cartina geografica. Con meno di duecentomila abitanti e nessun monumento che valga la pena visitare, dâaltronde, è uno di quei posti sulla cos...