1 Eugène Viollet-le-Duc
Il costruire è una scienza, ed è anche un’arte, in altre parole colui che costruisce necessita del sapere, dell’esperienza e dell’intuito.
Costruttori si nasce, ma la scienza che si acquisisce non può che sviluppare i germi deposti nella mente degli uomini destinati a dare un impiego utile, una forma durevole alla materia bruta.
voce “Construction”, Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XIème au XVIème siècle
1.1La Francia salvaguarda le sue memorie
Non esiste, probabilmente, una dichiarazione altrettanto provocatoria, vagamente beffarda ed essenziale che definisca cosa sia un restauro di quella di Eugène Viollet-Le-Duc: “restaurare un edificio non significa ripararlo o rifarlo ma ristabilirlo, riconducendolo a uno stato di completezza che potrebbe non essere mai esistito in un momento dato”1. Chi l’ha espressa è forse il personaggio più singolare e interessante del XIX secolo, un formidabile tecnico ma anche un intellettuale audace, poliedrico, visionario (fig. 1.1). Dietro parole apparentemente semplici si celano princìpi e pratiche tutt’altro che definibili sinteticamente, e anche per questo sono state spesso forzate ai più diversi significati, anche proditoriamente, e interpretate in modi anche contraddittori. La loro apparente immediatezza espressiva è ingannevole, perché in realtà sottende tesi molto articolate che si cercheranno, in seguito, di spiegare.
La Francia, alla metà dell’Ottocento, avvia un’organizzazione piuttosto avanzata di tutela monumentale, forte della sua eccellente struttura amministrativa. I moti rivoluzionari hanno provocato estese distruzioni e molti edifici monumentali versano in condizioni di abbandono e di avanzato degrado.
Figura 1.1Viollet-le-Duc intorno ai ventisei anni.
Le poche voci che si levano per lamentare questo stato di cose, tra cui quella autorevole di Victor Hugo (vedi: “Destino”) e di qualche altro sensibile intellettuale restano a lungo inascoltate e già nel 1806 l’architetto Louis-François Petit-Radel (1739-1818) mette a punto un sistema per “atterrare una chiesa gotica in dieci minuti”, progetto che presenta nel 1806 a una esposizione dopo che qualche anno prima il sistema era già stato applicato alla chiesa parigina di Saint-Jean-en-Grève.
Tuttavia intorno al 1830 viene istituito nell’ambito del Ministero dell’Interno un organismo con funzioni di controllo sul patrimonio artistico nazionale ma anche con compiti di tipo tecnico-operativo, dunque destinato a intervenire direttamente con azioni concrete.
Il commediografo Ludovic Vitet (1802-1873) è il primo Inspecteur général des monuments historiques (ispettore generale dei monumenti storici)2, ma sarà il suo successore, lo scrittore Prosper Mérimée (1803-1870) a dare vero impulso a questa istituzione anche avviando un primo censimento dei monumenti della nazione (fig. 1.2).
È lo stesso Viollet che ne narra nel suo Dictionnaire:
Figura 1.2Prosper Mérimée in età matura.
Non deve sorprendere che siano sostanzialmente dei letterati a guidare un’istituzione dedicata alla tutela e al restauro dei monumenti, piuttosto che ingegneri e architetti, poiché costoro4, laureati in filosofia o in diritto, erano soliti arricchire la propria cultura con altre discipline: la musica, l’archeologia, la letteratura e la storia. La formazione di questi borghesi eruditi era completata con viaggi in Europa e, naturalmente, in Italia, per affinare la propria sensibilità nelle arti figurative e nell’architettura.
Nei circoli culturali e nei salotti letterari la discussione politica era intensa e vivace ma anche su temi comunque legati al futuro della nazione francese e dunque anche su quello che oggi chiameremmo il “patrimonio culturale”. Il restauro dei monumenti rappresenta una sorta di programma governativo ed è anche per questo che diventa argomento d’interesse da parte dell’intellighenzia, soprattutto parigina, dato che è la capitale a ospitare gli esponenti più rilevanti della cultura del momento.
Molti tra coloro che animavano questi consessi discendevano da famiglie di letterati e artisti, come Mérimée, il cui padre era stato allievo del celebre pittore e ritrattista neoclassico Jacques-Louis David (1748-1825), e lo stesso Viollet-le-Duc, figlio del conservatore delle residenze reali parigine delle Tuileries e nipote del pittore e critico d’arte Étienne Delécluze (1781-1863).
In ambito istituzionale, ovvero negli organismi per la tutela, le figure più rappresentative erano generalmente di cultura umanistica, piuttosto che tecnica, cosicché gli aspetti storico-critici erano privilegiati rispetto a quelli operativi e progettuali e gli interventi venivano condotti con criteri molto variabili, condizionati dalle competenze dell’architetto restauratore piuttosto che da princìpi definiti da norme.
Anche in Francia, non molto diversamente da quanto accadde in Italia, i restauri miravano a riportare l’opera architettonica degradata a uno stato di unità formale, con l’obiettivo di riproporne i valori testimoniali e simbolici, ritenuti fondamentali proprio in ragione di quel programma governativo cui si accennava.
Lo sviluppo del sistema della tutela coincide con la fase politica che porta al Secondo Impero e al dominio di Napoleone III, tra il 1850 e il 1870. I monumenti e le chiese gotiche rappresentano il simbolo della grandezza della nazione, la testimonianza materiale di quei valori. In Italia pressappoco nello stesso momento emergono analoghe istanze, ma la mancanza di un’unità nazionale fino al 1861 ostacola e ritarda l’avviarsi di un’organizzazione altrettanto forte quanto quella d’oltralpe.
È proprio l’ispettore generale Mérimée, buon amico dell’artista Etienne Delécluze, zio di Viollet-le-Duc, a offrire al giovane il primo incarico per un restauro: quello dell’Abbazia di Santa Maria Maddalena a Vézelay. Viollet-le-Duc non ha ancora ventisei anni.
La chiesa gotica era stata visitata nell’agosto 1834 dallo stesso Mérimée che ne aveva così descritte le condizioni semi ruderali: “appena entrato nella chiesa ho avvertito di continuo staccarsi e cadere di piccole pietre intorno a me […] se ritardiamo ancora un’azione di soccorso tra non molto si dovrà decidere di abbattere la chiesa”5.
Anche Henry Labrouste (1801-1875), celebrato architetto del momento, tra l’altro uno tra i primi, in assoluto, a progettare con strutture metalliche a vista, aveva categoricamente escluso la possibilità di un qualsiasi recupero dell’abbazia, esprimendosi in forza del suo ruolo di Architecte des monuments historiques (architetto dei monumenti storici).
Quando gli viene proposto di occuparsi della chiesa, Viollet-le-Duc è da poco rientrato da un viaggio in Italia durato un intero anno; un personalissimo Grand Tour durante il quale fissa in oltre quattrocento disegni soprattutto l’architettura ma anche suggestivi paesaggi montani, per la sua inesauribile passione per la montagna e l’alpinismo6. Per questo viaggio viene in parte finanziato nientemeno che dal re Luigi Filippo I, impressionato dalle sue straordinarie abilità di disegnatore, tanto da commissionargli di rappresentare dal vero una serata mondana alle Tuileries. Viollet-le-Duc, appena ventenne, assolve egregiamente l’incarico con una serie di illustrazioni acquarellate di notevole qualità pittorica7.
Il disegno è ancora il solo mezzo per fermare un momento, una situazione e, nel contempo, per interpretarla. Soltanto nel 1839 Louis Daguerre (1787-1851) presenta ai parigini il “disegno fotogenico” ovvero “fatto con la luce”, insomma la protofotografia, invenzione dovuta soprattutto agli studi fondamentali di Nicéphore Niépce (1765-1833).
Nella sua attività matura Viollet-le-Duc utilizzerà largamente il mezzo fotografico nonostante il costo piuttosto rilevante e la scarsa praticità, specie per le riprese in esterno; ma la fotografia nelle sue mani diventa uno strumento interessante perché arricchito dalle doti d’osservatore proprie di un disegnatore di grande talento.
Trascorre molto tempo viaggiando con lo zio Delécluze, fratello della madre, la figura che più di ogni altra lo influenzerà nella sua crescita intellettuale e umana anche se ha comunque la fortuna di crescere in una famiglia dai molti interessi culturali (fig. 1.3). Lo zio è un vero mentore per il giovane dal carattere dolce, riflessivo e un poco malinconico8, è lui a introdurlo allo studio del disegno intuendone le eccellenti doti naturali e a ostacolarne, in un certo modo, la frequenza all’Ecole des beaux-arts, tappa pressoché “obbligata” per un giovane francese che voglia intraprendere la professione di architetto. Così facendo lo allontana dai clichés classicisti imperanti proposti da quell’istituzione, favorendo una formazione in buona misura empirica ma molto stimolante e contribuendo, così, a farne una figura assolutamente originale.
Figura 1.3Una delle numerosissime lettere illustrate che Viollet-le-Duc invia a familiari e amici durante i suoi viaggi.
Durante questi lunghi viaggi Viollet-le-Duc riporta forti impressioni dall’architettura gotica, in Provenza come in Linguadoca, sui Pirenei come a Mont-Saint-Michel e affina sempre di più la sua attenzione verso quelle testimonianze, quasi “interiorizzandole” con l...