Gli stregoni della fisica
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Gli stregoni della fisica

Le grandi menti e il miracolo al centro della scienza

Marcus Chown

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Gli stregoni della fisica

Le grandi menti e il miracolo al centro della scienza

Marcus Chown

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Perché la matematica è il linguaggio perfetto per rivelare i segreti della natura? E come ci si sente a essere i primi in assoluto a predire qualcosa di inatteso riguardo l'Universo? Questa è la storia degli scienziati che, proprio grazie a formule teoriche matematiche, hanno predetto l'esistenza di sconosciuti pianeti, buchi neri, invisibili campi di forze, oscillazioni nello spaziotempo, insospettate particelle subatomiche e persino l'antimateria. Quegli scienziati sono «gli stregoni», ovvero quelle menti visionarie che sanno estrarre miracolose descrizioni straordinariamente accurate da ciò che fino ad allora era solo oscurità. Un incredibile viaggio dalla predizione alla dimostrazione attraverso quasi due secoli di ricerca scientifica, dagli studi di Parigi e di Cambridge al fronte russo devastato dalla guerra, fino ai bunker accanto ai reattori nucleari, agli osservatori astronomici a Berlino e in California, agli enormi tunnel sotto il confine franco-svizzero

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820398033
1
Mappa del mondo invisibile
Le ipotesi che accettiamo dovrebbero spiegare i fenomeni che abbiamo osservato. Ma esse dovrebbero fare anche qualcosa di più. Dovrebbero predire fenomeni che non sono stati ancora osservati
William Whewell1
Da piccola credevo che mia sorella provenisse da Nettuno e che l’avessero mandata sulla Terra per uccidermi.
Zooey Deschanel
Berlino, 23 settembre 1846
Cercavano da quasi un’ora, si erano ormai adagiati negli automatismi. Johann Galle scrutava il terso cielo notturno con l’enorme telescopio rifrattore di ottone, regolava i controlli finché una stella appariva nel mirino e ne gridava le coordinate. Heinrich d’Arrest, il giovane assistente, era seduto a un tavolo di legno sul pavimento di pietra dalla parte opposta della cupola dell’osservatorio. Alla luce di una lampada a olio, ispezionava con il dito una carta astronomica e gridava in risposta: “Stella nota.” Di nuovo Galle girava leggermente le manopole d’ottone, puntando a un’altra stella. Poi a un’altra. Nella gelida aria notturna aveva già il torcicollo; cominciava a chiedersi se non fosse soltanto una perdita di tempo.
Senz’altro ne era stato convinto Johann Franz Encke, direttore dell’osservatorio di Berlino, quando nel pomeriggio Galle era comparso nel suo studio per una richiesta insolita. Ma siccome Encke aveva programmato di trascorrere quella sera a casa festeggiando il cinquantacinquesimo compleanno, invece di stare davanti al rifrattore da 22 centimetri, aveva consentito a Galle di usare lo strumento.
D’Arrest, uno studente di astronomia ospitato in una dépendance dell’osservatorio per fare un po’ di pratica, aveva origliato la conversazione tra Galle ed Encke; subito implorò Galle di accettare il suo aiuto. Così, nella notte limpidissima del 23 settembre 1846, i due si trovarono a scandagliare i cieli con il grande telescopio di Fraunhofer a orologeria, nel suo genere uno degli strumenti più all’avanguardia del mondo.
Avevano iniziato la ricerca allo spegnimento dei lampioni a gas cittadini, quando Berlino era piombata nell’oscurità; ormai era quasi mezzanotte. Galle diresse il mirino alla stella seguente e ne gridò le coordinate. Gli venne in mente il letto caldo che presto avrebbe condiviso con la moglie e si mise a pensare alla figura ridicola che avrebbe fatto al mattino con Encke raccontandogli il loro fallimento. Aspettò la risposta di d’Arrest. Aspettò ancora. Si chiese cosa diamine stesse facendo l’assistente.
Il fracasso della sedia scaraventata a terra scosse Galle e lo riportò alla realtà. Allontanatosi in un balzo dall’oculare, vide la sagoma dell’assistente delineata dalla lucerna: gli correva incontro agitando la carta astronomica come un uccello impazzito. Era troppo buio per distinguere l’espressione di d’Arrest, ma Galle ne avrebbe ricordato le parole per il resto della vita: “La stella non è sulla carta! Non c’è sulla carta!”
Parigi, 18 settembre 1846
La ricerca di una stella assente da qualsiasi carta astronomica era stata proposta, in una lettera arrivata all’osservatorio di Berlino il 23 settembre, da Urbain Le Verrier. A questo astronomo dell’École Polytechnique di Parigi non interessava scrutare corpi celesti in osservatori pieni di spifferi, ma applicare a tavolino la legge newtoniana della gravitazione al calcolo delle orbite di quei corpi, confrontando il risultato con le osservazioni esistenti. Durante questo lavoro aveva preso a ossessionarlo un pianeta che sembrava violare tutte le leggi: Urano.
Urano era stato scoperto da un musicista tedesco di Hannover. Nel 1757 William Herschel, appena diciannovenne, si era trasferito con la sorella Carolina nell’Inghilterra occidentale, a Bath, graziosa cittadina termale fondata dai Romani attorno a sorgenti naturali. Herschel trovò lavoro come organista in una chiesa, ma la sua vera passione era l’astronomia; nel giardino di casa costruì uno dei migliori telescopi dell’epoca. Il 13 marzo 1781, mentre scrutava il cielo con quello strumento, una stella sfocata comparve nell’oculare. Sulle prime Herschel la scambiò per una cometa, benché non ne avesse la tipica coda evanescente. Per di più le notti seguenti, nel lento passaggio davanti alla costellazione dei Gemelli, la stella non seguiva l’orbita molto allungata delle comete ma una quasi circolare, come i pianeti.
Herschel aveva scoperto il primo nuovo pianeta nell’epoca del telescopio, il primo mondo del tutto ignoto agli astronomi dell’anti-chità. In tutto il corso della storia, il numero dei pianeti era rimasto fermo a sei. Ora incredibilmente ce n’erano sette. La scoperta di Herschel fece scalpore a livello internazionale e lo rese un divo della scienza.
Da immigrato, Herschel desiderava soprattutto farsi accettare nel paese di adozione; così battezzò il nuovo pianeta “George”, in onore di re Giorgio III (in realtà lo chiamò “stella di George”). Gli astronomi francesi, prevedibilmente contrari al nome di un re inglese, scelsero invece “Herschel”. Nel tentativo di conciliare le parti, l’astronomo Johann Bode propose di chiamare il pianeta Urano, come il padre del dio romano Saturno; il nome rimase in uso. (Se non fosse andata così oggi i pianeti, secondo la distanza dal Sole, sarebbero stati Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno e… George).
In realtà quasi un secolo prima, nel 1690, l’astronomo inglese John Flamsteed aveva già avvistato Urano, ma l’aveva creduto una stella e catalogato come 34 Tauri, la trentaquattresima stella nella costellazione del Toro. Si poterono così integrare le nuove osservazioni con i dati storici sulla posizione del pianeta; nel primo Ottocento la sua orbita era nota con precisione sufficiente da poterla confrontare con quanto previsto dalla legge gravitazionale di Newton. Ma il confronto rivelò un’anomalia.
Ogni volta che si calcolava un’orbita per Urano, nel corso dei mesi seguenti il pianeta smetteva di seguirla. Nessuno dubitava seriamente della legge gravitazionale di Newton: aveva ricevuto conferme tanto spettacolari e in ambiti così diversi che ormai era quasi assurta a testo sacro. Invece si iniziò a sospettare che Urano deviasse di continuo dall’orbita calcolata perché attratto gravitazionalmente da un altro mondo, ancora più lontano dal Sole. Era un’eventualità stimolante; Le Verrier non poté resistere alla tentazione di indagarla. Seduto nello studio nell’École Polytechnique di Parigi, si mise a dedurre il punto esatto del cielo notturno in cui doveva trovarsi il pianeta ipotetico, in base ai suoi effetti osservati su Urano.
Il Sole costituisce addirittura il 99,8 per cento della massa del Sistema solare; ritenere che i pianeti subiscano solo la sua influenza, quindi, è una buona approssimazione. Tuttavia la gravitazione di Newton è una legge “universale”, stabilisce l’esistenza di una forza attrattiva tra qualsiasi pezzo di materia e qualsiasi altro; ne segue che ciascun pianeta non subisce soltanto l’attrazione gravitazionale del Sole, ma anche quella di tutti gli altri pianeti. Per essere sicuro che Urano risentisse degli effetti di un pianeta ignoto nelle zone esterne del Sistema solare, Le Verrier doveva prima sottrarre l’azione dei pianeti noti, soprattutto i più massivi: Giove e Saturno.
I calcoli erano complessi e richiedevano molto tempo. Bisognava controllarli tutti più volte, perché un solo piccolo errore avrebbe potuto propagarsi e far crollare l’intero edificio matematico. Ma non era l’unico problema per Le Verrier: quanto all’attrazione gravitazionale esercitata, un pianeta leggero ma vicino a Urano sarebbe stato indistinguibile da un pianeta massivo ma più distante. Per riuscire a determinare l’orbita del pianeta ipotetico, quindi, Le Verrier doveva indovinarne la massa e la distanza dal Sole.* Era un’impresa titanica che impegnò tutte le sue giornate lavorative e anche qualche nottata. Ma alla fine ci riuscì. Dedusse non soltanto un’orbita per l’ipotetico pianeta ma, soprattutto, il punto del cielo notturno verso cui orientare il telescopio per cercarlo: tra le costellazioni del Capricorno e dell’Acquario.
Le Verrier era una persona sicura di sé, ma mentre teneva la piuma a mezz’aria sulle dense formule che ricoprivano le pagine sparpagliate sul tavolo, fu preso dall’ansia oltre che dall’entusiasmo. Sapere qualcosa che nessun altro al mondo sapeva o capiva gli dava un’eccitante sensazione di potenza, ma forse si sbagliava? Era un dio, o soltanto uno sciocco? E come era possibile che le equazioni davanti a lui descrivessero la realtà? Si riebbe prima che i dubbi lo travolgessero. Aveva una sola possibilità: informare gli astronomi che si occupavano di osservazioni.
Le Verrier comunicò la posizione del nuovo pianeta al direttore dell’osservatorio di Parigi, François Arago, il quale chiarì che non riteneva prioritario cercarlo. Aveva buoni motivi. In primo luogo, gli osservatori nazionali come quello parigino servivano soprattutto a redigere carte dei pianeti e delle stelle, da utilizzare nella navigazione. Allo scopo molte persone dovevano svolgere osservazioni lunghe e minuziose; è comprensibile che Arago non volesse consumare il loro tempo prezioso nella ricerca azzardata di un pianeta la cui esistenza gli sembrava tutt’altro che sicura. Probabilmente non furono di aiuto il brutto carattere e la nota arroganza di Le Verrier.
Nell’emisfero settentrionale il Capricorno e l’Acquario non sarebbero rimasti visibili molto oltre novembre, quindi era necessario iniziare al più presto la ricerca del nuovo pianeta. Le Verrier pazientò per qualche tempo, ma Arago non si decideva a comunicargli una data d’inizio. Frustrato, Le Verrier stava già cercando alternative; aveva inviato un articolo con le previsioni a Heinrich Schumacher, direttore della rivista tedesca “Astronomische Nachrichten”. Nella lettera di accompagnamento lamentava di non riuscire a convincere gli astronomi francesi a cercare il suo pianeta. Nella risposta, Schumacher fu comprensivo e consigliò a Le Verrier di contattare altri astronomi dotati di telescopi potenti. I due che gli vennero subito in mente erano Friedrich von Struve in Germania e Lord Rosse a Birr in Irlanda, il cui “Leviathan”, con uno specchio da 72 pollici, era il più grande telescopio al mondo. Probabilmente Le Verrier avrebbe scritto a entrambi se il consiglio di Schumacher non gli avesse ricordato una lettera ricevuta l’anno prima, scritta da un giovane astronomo dell’osservatorio di Berlino.
Johann Galle aveva il vantaggio di essere un umile assistente astronomo. Le Verrier prevedeva che Johann Encke, direttore dell’osservatorio berlinese, sarebbe stato riluttante a cercare un nuovo pianeta, proprio come il suo omologo parigino, ma la prospettiva della fama avrebbe tentato Galle. Le Verrier pensò che avrebbe avuto maggiori possibilità aggirando Encke e contattando direttamente l’astronomo più giovane. Galle l’avrebbe preso sul serio, oppure Le Verrier avrebbe subito un’altra delusione? C’era un solo modo di scoprirlo.
L’unico problema era che l’anno prima l’astronomo francese aveva ignorato una lettera di Galle, completa di tesi. Era imbarazzante, ora che doveva chiedergli un favore. Ma un po’ di adulazione avrebbe risolto il problema: prima di spingere Galle alla ricerca del pianeta, Le Verrier compose un apprezzamento ben chiaro e tardivo, lodando la “perfetta chiarezza” e l’“assoluto rigore” della tesi. Poi, il 18 settembre 1846, inviò a Berlino la lettera con una stima approssimata della posizione del nuovo pianeta.
Berlino, 24 settembre 1846
Mentre l’orologio ticchettava verso l’alba, tre uomini erano riuniti attorno al telescopio di Fraunhofer nella cupola dell’osservatorio di Berlino. D’Arrest era corso fino a casa di Encke ed erano tornati; il direttore era un po’ brillo dopo i festeggiamenti per il suo compleanno. Dominandosi a fatica, i tre guardarono a turno nell’oculare fino a escludere ogni dubbio. Decisamente l’oggetto visto da Galle e d’Arrest non si trovava sulla carta astronomica. E il motivo era chiarissimo: non era una stella. Per via della distanza dalla Terra, le stelle appaiono come puntini luminosi a prescindere dall’ingrandimento del telescopio. Ma quell’oggetto non era un puntino privo di dimensioni: era un minuscolo dischetto brillante. L’avevano trovato! Avevano trovato il pianeta di Le Verrier!
Galle non riusciva a credere agli avvenimenti delle ultime dodici ore. Con il tagliacarte aveva aperto una lettera dalla Francia che sembrava del tutto ordinaria; non immaginava affatto che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Riconobbe subito il nome di Le Verrier, che lo aveva snobbato; avrebbe potuto vendicarsi facilmente seppellendo la lettera tra le scartoffie del suo tavolo. Ma il favore chiesto da Le Verrier lo incuriosì.
La lettera prevedeva l’esistenza e la posizione di un nuovo pianeta. Galle sapeva che era un’ipotesi ridicola, eppure qualcosa gli impedì di liquidarla a prima vista. Le Verrier scriveva: “Vorrei chiedere a un osservatore instancabile la cortesia di dedicare qualche istante a esaminare una regione del cielo in cui rimane forse un pianeta da scoprire.” Galle accettò di essere quell’osservatore instancabile.
In realtà Galle non si era mai aspettato di trovare alcunché. Non sembrava concepibile. Come avrebbe mai potuto “vedere” l’universo tramite la matematica un uomo seduto a un tavolo di Parigi? Era davvero improbabile, quanto un astronomo bendato che scoprisse una cometa con il telescopio di Fraunhofer. Ma, miracolo dei miracoli, eccolo lì, il pianeta di Le Verrier: faceva capolino dalle profondità buie dello spazio esattamente nel punto previsto dall’astronomo francese.
Il nuovo mondo girava attorno al Sole, nell’oscurità gelida oltre l’orbita di Urano, fin dalla nascita del Sistema solare. E fino a un’ora prima nessun essere umano ne era al corrente. Per il momento l’avevano visto tre sole persone sulla Terra, e non aveva nome. Presto, però, sarebbe stato noto a tutti come Nettuno.
Parigi, 29 settembre 1846
Pochi giorni dopo, a Parigi, Le Verrier aprì una lettera da Berlino datata 24 settembre 1846. Lesse: “Signore, il pianeta di cui avete indicato la posizione esiste davvero.”
Galle aveva trovato il suo pianeta! Stordito, Le Verrier si sentiva euforico, ma anche sollevato. Aveva creduto nel nuovo pianeta, certo, e al contempo non ci aveva creduto. Dopotutto era un essere umano. Aveva scommesso la propria reputazione su calcoli matematici oscuri, che il Creatore poteva aver deciso di seguire o meno. Nel formulare la previsione sembrava sicuro di sé, ma soltanto lui sapeva quanta spavalderia c’era dietro.
Il primo ottobre Le Verrier rispose a Galle. Lo ringraziò a profusione perché era stato l’unico a prendere sul serio la sua richiesta: “Grazie a voi, siamo saldamente in possesso di un nuovo mondo.”
La scoperta di Urano aveva fatto scalpore: distando dal Sole il doppio di Saturno, in un batter d’occhio aveva raddoppiato le dimensioni del Sistema solare. Ma la scoperta di Nettuno fu clamorosa per motivi ben diversi. Mentre Herschel era incappato in Urano per caso, l’esistenza di Nettuno, la sua posizione e persino il suo aspetto erano stati previsti da Le Verrier, armato soltanto di carta e penna.
“Senza uscire dal suo studio, senza guardare il cielo”, scrisse l’astronomo francese Camille Flammarion, “Le Verrier aveva trovato il pianeta sconosciuto con la sola forza della matematica; in un certo senso, l’aveva toccato con la punta della piuma!”2
Come osservava Flammarion, era davvero una novità assoluta che un fenomeno del mondo reale fosse scoperto a tavolino. “Probabilmente in tutti gli annali dell’Osservazione non si trova nessun altro esempio di conferma tanto straordinaria di una congettura teorica arrischiata dallo spirito umano!”, scrisse l’astronomo scozzese John Pringle Nichol.3
Ma la scoperta di Nettuno era un trionfo non soltanto per Le Verrier; lo era anche per Isaac Newton e la sua teoria della gravitazione universale, formulata quasi due secoli prima. La legge di Newton non si limitava a spiegare le cose visibili: prevedeva quelle invisibili.
Le Verrier aveva dato una dimostrazione spettacolare della magia al cuore della scienza, la sua sorprendente capacità di prevedere cose insospettate che risultano esistere nel mondo reale. Sembrava incredibile che equazioni matematiche appuntate su un foglio di carta potessero rispecchiare la realtà con tanta perf...

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