La tempesta
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La tempesta

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La tempesta ( The Tempest ) è una delle più celebri opere teatrali di William Shakespeare, che la scrisse in cinque atti tra il 1610 e il 1611. Il dramma, ambientato su un'isola imprecisata del Mediterraneo, racconta la vicenda dell'esiliato Prospero, il vero duca di Milano, che trama per riportare sua figlia Miranda al posto che le spetta, utilizzando illusioni e manipolazioni magiche. Mentre suo fratello Antonio e il suo complice, il Re di Napoli Alonso, stanno navigando sul mare di ritorno da Cartagine, Prospero invoca una tempesta che rovescia gli incolumi passeggeri sull'isola. Grazie alla magia e all'aiuto del suo servo, lo spiritello Ariel, Prospero riesce a riscattare il Re e a sposare sua figlia con il principe di Napoli, Ferdinando. La tempesta è ritenuta la penultima opera di Shakespeare - ultima interamente sua – e segna il suo l'addio alle scene. In questa edizione il testo è stato controllato e prudentemente normalizzato.

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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Un’altra parte dell’isola. Entrano Alonzo, Sebastiano, Antonio, Gonzalo, Francesco, Adriano, Ariel.

Gonzalo.
Ve ne prego, o signor, siate contento: per voi come per noi c’è ben ragione d’essere lieti: poi che di gran lunga la salvezza ogni perdita sorpassa. È comune il dolore nostro: ogni giorno la moglie di un marino, l’armatore di un mercantile ed il mercante stesso hanno un egual dolore. In quanto al nostro miracolo - che tale è l’esser salvi, - fra milioni d’uomini ben pochi possono parlare come noi. Ponete dunque sulla bilancia, o mio buon sire, la tristezza e il piacere.

Alonzo.
In grazia: basta!

Sebastiano.
Riceve le consolazioni come una minestra fredda.

Antonio.
Il consolatore non lo lascerà per così poco.

Sebastiano.
Guardatelo: sta caricando l’orologio della sua intelligenza. Fra poco, suonerà.

Gonzalo.
Sire...

Sebastiano.
E una: parla.

Gonzalo.
Quando ogni afflizione che si presenta in tale maniera, al suo ospite apporta...

Sebastiano.
Un dollaro.

Gonzalo.
Un dolore: è giusto. Avete parlato meglio di quel che non credevate.

Sebastiano.
E voi lo avete interpretato meglio di quello che non mi fossi proposto.

Gonzalo.
Ed è perciò, signore mio...

Sebastiano.
Uff! Come è prodigo della sua lingua!

Alonzo.
Ti prego, risparmiami.

Gonzalo.
Ho finito. Ma pertanto...

Sebastiano.
Continuerà a parlare.

Antonio.
Scommettiamo: chi gracchierà prima, lui o Adriano?

Sebastiano.
Sarà il vecchio gallo.

Antonio.
Sarà il galletto.

Sebastiano.
Accettato. E la posta?

Antonio.
Una risata.

Sebastiano.
Tengo.

Adriano.
Sebbene quest’isola sembri deserta...

Sebastiano.
Ah! ah! ah! ah! Eccovi pagato.

Adriano.
... inabitabile e quasi inaccessibile...

Sebastiano.
Pure...

Adriano.
... pure...

Antonio.
Non poteva tralasciarlo.

Adriano.
... pure sembra che debba essere di clima leggero, sottile e di delicata temperanza.

Antonio.
Temperanza era infatti una delicata donzella.

Sebastiano.
Già: e sottile anche, come l’ha saggiamente annunciato.

Adriano.
L’aria alita sopra di noi molto dolcemente.

Sebastiano.
Come se avesse polmoni e - per di più - marci.

Antonio.
O come se fosse profumata da una palude.

Gonzalo.
Qui c’è ogni cosa giovevole alla vita.

Antonio.
Giusto: salvo però la maniera di vivere.

Sebastiano.
Di questa ce n’è poco o punto.

Gonzalo.
Come l’erba apparisce folta e rigogliosa! E come è verde!

Antonio.
Il suolo però è gialliccio.

Sebastiano.
Con una punta di verde.

Antonio.
Non si è sbagliato di molto.

Sebastiano.
No: non fa che sbagliare interamente la verità.

Gonzalo.
Ma la rarità di tutto ciò, che è quasi oltre ogni credere...

Sebastiano.
Come tante altre notorie rarità...

Gonzalo.
... è che le nostre vesti, bagnate dal mare come furono, hanno nonostante conservato la loro freschezza e il loro splendore e sono più tosto rinnovate che macchiate dall’acqua salata.

Antonio.
Ma se una delle sue tasche potesse parlare, non direbbe forse che mente?

Sebastiano.
Già: o per lo meno s’intascherebbe molto falsamente la sua affermazione.

Gonzalo.
Mi sembra che le nostre vesti siano così fresche come il giorno che le indossammo per la prima volta, in Africa, al matrimonio della figlia del Re, la gentile Claribella, col Re di Tunisi.

Sebastiano.
Fu un bel matrimonio, che ci ha profittato molto nel ritorno!

Adriano.
Tunisi non era mai stata onorata, prima di adesso, con un modello di perfezione simile alla sua Regina.

Gonzalo.
No: dal tempo della vedova Didone.

Antonio.
Vedova? La peste a lei! Come c’entra questa vedova? La vedova Didone!

Sebastiano.
E così? Se egli avesse anche detto il “Vedovo Enea”, Signore Iddio, come ve la prendete, per questo!

Adriano.
Vedova Didone, avete detto? Ora mi ci fate pensare: ella era di Cartagine, non di Tunisi.

Gonzalo.
Questa Tunisi, o signore, era un tempo Cartagine.

Adriano.
Cartagine!

Gonzalo.
Ve lo assicuro: Cartagine.

Antonio.
La sua parola vale più di un’arpa miracolosa.

Sebastiano.
Egli ha innalzato le muraglie e le case tutte insieme.

Antonio.
Che cosa impossibile sta ora per rendere facile?

Sebastiano.
Suppongo che si porterà via quest’isola in tasca e che la darà a suo figlio come una mela.

Antonio.
E che ne butterà i semi in mare per fare nascere altre isole!

Alonzo.
Che c’è?

Antonio.
Arriva in buon punto.

Gonzalo.
Sire, dicevamo che le nostre vesti sono fresche come quando eravamo a Tunisi, per il matrimonio di vostra figlia, ora regina.

Antonio.
E la più rara che sia mai veduta là.

Sebastiano.
Eccettuata, vi prego, la vedova Didone.

Antonio.
O la vedova Didone! Già: vedova Didone!

Gonzalo.
Non è forse, sire, il mio giustacuore fresco come ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. LA TEMPESTA
  3. Indice
  4. Intro
  5. NOTA BIBLIOGRAFICA
  6. LA TEMPESTA
  7. ATTO PRIMO
  8. ATTO SECONDO
  9. ATTO TERZO
  10. ATTO QUARTO
  11. ATTO QUINTO
  12. Ringraziamenti