Storia del Cristianesimo Vol.3
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Storia del Cristianesimo Vol.3

Evo moderno

Ernesto Buonaiuti

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Storia del Cristianesimo Vol.3

Evo moderno

Ernesto Buonaiuti

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Il cristianesimo è una religione a carattere universalistico, originata dal giudaismo nel I secolo, fondata sulla rivelazione ovvero sulla venuta e predicazione, contenuta nei Vangeli, di Gesù di Nazareth, inteso come figlio del Dio d'Israele e quindi Dio egli stesso, incarnato, morto e risorto per la salvezza dell'umanità, ovvero il Messia promesso, il Cristo.
Classificata da alcuni come "religione abramitica", insieme a ebraismo (da cui essa nasce) e islam, è la religione più diffusa, con una stima di circa 2,3 miliardi di fedeli nel mondo al 2015. Ernesto Buonaiuti (Roma, 25 giugno 1881 – Roma, 20 aprile 1946) è stato un presbitero, storico, antifascista, teologo, accademico italiano, studioso di storia del cristianesimo e di filosofia religiosa, fra i principali esponenti del modernismo italiano. Scomunicato e dimesso dallo stato clericale dalla Chiesa cattolica per aver preso le difese del movimento modernista, fu prima esonerato dalle attività didattiche, in base ai Patti Lateranensi tra Chiesa e Regno d'Italia, e poi privato della cattedra universitaria per essersi rifiutato, con pochi altri docenti (appena dodici), di giurare fedeltà al regime.

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Information

Publisher
Passerino
Year
2020
ISBN
9788835854876

«SOLI DEO GLORIA»

Alle origini della spiritualità moderna si è verificato uno dei piú paradossali fatti che la storia del cristianesimo ricordi.
La vecchia unità medioevale, creata dallo spirito del Vangelo sopra la duplice categoria sociale della Chiesa e dell'Impero, si era venuta lentamente sfaldando. Quel magistero ecclesiastico, cui per secoli avevano soggiaciuto indiscriminatamente le genti europee, si era irrigidito nella sua disciplina universale, proprio nel momento in cui la Chiesa aveva perduto quel fascino ecumenico che traeva forza e giustificazione da una comune fede in un insieme di valori trascendenti, la cui realtà imponeva, automaticamente, alla vita collettiva, centri di inibizione imperiosi e limitazioni morali indiscusse e irrefragabili.
Il senso di disagio, di inquietudine e di insurrezione che si era venuto condensando per entro alla grande famiglia dei credenti, sotto l'azione del progressivo mondanizzarsi della gerarchia e del crescente proposito di autonomia dei poteri politici, come era sboccato in Germania nella riforma di Lutero, cosí doveva sboccare nei paesi di lingua francese in quella di Calvino, e nei paesi di lingua inglese in una contaminazione di cattolicismo e di calvinismo.
Ma quale abissale differenza fra i vari corifei della sollevazione antiromana del secolo decimosesto!
Se un fondamento comune è dato ai movimenti riformatori dal presupposto della giustificazione per fede, che non è altro in fondo che la posizione suggerita dal bisogno di infrangere l'amministrazione dei carismi, tenuta da Roma nelle sue mani, su questo fondamento comune vengono ad innalzarsi costruzioni religiose, ciascuna delle quali tradisce i caratteri peculiari del rispettivo architetto.
Lutero è il teutone iracondo, violento, accigliato, ignaro di qualsiasi freno e di qualsiasi autodominio nella esplosione della sua cupa e torbida insofferenza di disciplina e di moderazione.
Calvino è lo spirito misurato e riflessivo, che non indietreggia neppur lui, nelle ore capitali, dalle decisioni brusche e dalle funzioni intransigenti. Ma un afflato di umanistica duttilità accompagna tutte le formulazioni religiose del teologo ginevrino.
Le due riforme, quella di lingua tedesca e quella di lingua francese, tradiscono, inconfondibili, i connotati dei rispettivi paesi.
Analoga è la piattaforma su cui si muovono i due riformatori. È innegabile che la riforma del secolo decimosesto manifesta il doppio carattere di rivoluzione sociale e di rivoluzione religiosa.
Se in Germania la riforma viene ad innestarsi sull'immenso rivolgimento rurale, ché in Germania il ribelle è il contadino, sono i príncipi secessionisti dell'Impero che hanno fatto trionfare Lutero, in Francia sono gli operai tessitori e cardatori di Meaux e delle zone circonvicine che hanno dato il primo abbrivo alla insurrezione riformata. Se la riforma avesse poggiato le sue assise unicamente sulla classe colta, Lutero non avrebbe adoperato contro gli umanisti le frasi indignate di cui traboccano i suoi scritti, e in Francia si sarebbe continuato, come aveva cominciato a fare Lefèvre d'Ètaples, a pubblicare grossi trattati in lingua latina. Invece, quali sono qui i primi indizi della insurrezione riformatrice? Fin dal 1525 si rimprovera al vescovo di Meaux, Briçonnet, di aver fatto distribuire nella diocesi libri in francese volgare. Fra questi libri compare al primo posto la traduzione della Bibbia, la quale serve anzi per creare come designazione dei primi eretici un nomignolo d'occasione: «bibliani». È certo che mentre la Germania di Lutero è pervasa da quello spirito di sollevazione contadinesca che sfocerà nelle grandi repressioni, cui, con scarsa coerenza, il monaco ribelle non manca di prestare man forte, in Francia è la condizione della classe operaia che dà alla propaganda riformatrice fulminea possibilità di diffondersi. La scoperta delle miniere d'oro e d'argento, aumentando considerevolmente il contingente di metalli preziosi esistenti in Europa, aveva determinato un rialzo nei prezzi delle derrate di prima necessità. I salari dei lavoratori non si erano innalzati in una proporzione conveniente. D'altro canto il regime corporativo che era stato, in una certa misura, nel XIII secolo, una protezione efficace per i deboli, tendeva sempre piú a trasformarsi in una oligarchia opprimente. La direzione delle grandi industrie diventava il viatico di una casta ricca ed ereditaria. Per un semplice operaio sprovvisto di capitali, era letteralmente impossibile pervenire al possesso di una qualsiasi azienda. La lotta fra sindacati padronali e sindacati operai sfociava molto di frequente in scioperi, come quello che desolò l'industria tipografica lionese e parigina dal 1539 al 1542 e che si chiuse in pratica solamente nel 1571.
Noi vediamo già qui come, se il substrato economico esiste ugualmente per il movimento riformatore cosí in Germania come in Francia, questo elemento economico assume caratteri peculiari nell'un paese e nell'altro.
In Germania la propaganda di Lutero trova ripercussioni piú vaste nel ceto agricolo: in Francia ne trova piuttosto nel ceto operaio e industriale. Possiamo dire che di rimbalzo l'atteggiamento dei due riformatori di fronte alla cultura, che è, nella loro temperie storica, cultura umanistica, è profondamente diverso.
Già in linea generale si può dire che l'umanesimo germanico non aveva potuto essere equiparato ai movimenti affini degli altri paesi colti d'Europa. Infatti, non era stata tanto una improvvisa esplosione di fervore artistico, capace di travolgere e di rinnovare tutte le forme tradizionali del pensiero e dell'attività estetica, quanto una volontà prepotente di superare i metodi antiquati della istruzione pubblica e di portare nei confini della vita morale il soffio nuovo di una vera e propria palingenesi.
Una delle figure piú eminenti dell'umanesimo alemanno era stato Giovanni Reuchlin. Nato nel 1455 a Pforzheim, il Reuchlin aveva avuto agio di formarsi una delle piú vaste culture filologiche e letterarie del tempo, avvicinando e utilizzando i piú progrediti centri universitari, da Parigi a Tubinga. Nel 1482, venuto per la prima volta a Roma, posto dinanzi a un testo di Tucidide e invitato a volgerlo prontamente in latino in casa di Giovanni Argiropulo, aveva assolto cosí brillantemente il còmpito, che la sua perizia riempiva di stupore l'ospite, il quale esclamava: Ecce, Graecia. nostro exilio transvolavit Alpes!
Ma Reuchlin è anche un valente ebraicista: la sua perizia, anzi, nella lingua dei libri sacri del Vecchio Testamento fu la causa delle sue disavventure. Una conoscenza cosí personale di una letteratura religiosa tanto poco nota al gran pubblico, aveva sospinto inconsapevolmente il Reuchlin ad una visione mistico-teosofica della tradizione rivelata, che egli espose in una serie di dialoghi (interlocutori Sidonio, Baruch e, sotto il nome di Capnione, Reuchlin stesso), cui diede il titolo De Verbo mirifico. L'idea centrale di questo libro erudito e paradossale era nel motto: «Dio è amore e l'uomo è speranza. Il vincolo fra l'amore e la speranza è la fede. Dio e l'uomo possono cosí intimamente stringersi in un vincolo di ineffabile unione, che il Dio umano e l'uomo divino siano considerati come un solo essere». Ma probabilmente le idee ardue e raffinate di Reuchlin non avrebbero raggiunto una larga pubblicità, se una velenosa polemica non avesse richiamato su di esse una diffusa e ostile attenzione.
Un israelita convertito, Giovanni Pfefferkorn, probabilmente stimolato dai domenicani di Colonia, animato dal fervore proselitistico della sua anima di neofita, concepiva, nel primo decennio del secolo decimosesto, il programma della conversione in massa dei suoi vecchi correligionari, mediante la confisca dei loro libri sacri, a prescindere, s'intende, dal Vecchio Testamento. Fra il 1507 e il 1509 egli stendeva quattro scritti polemici ( Ju denspiegerl, Judenbeichte, Osternbuch, Judenfeid) sostenendo che agli israeliti dovesse essere vietato l'esercizio dell'usura, dovesse essere imposta l'assistenza alle prediche cattoliche, dovessero infine, appunto, essere tolti i libri ufficiali della loro specifica tradizione religiosa. Un ambiguo mandato imperiale sembrò autorizzato a tradurre in pratica quest'ultimo punto del suo complicato piano. Giovanni Reuchlin fu anche egli richiesto di un parere: «Non sarebbe stato profittevole alla religione cattolica distruggere i libri che sono usati dagli israeliti, eccezione fatta per il libro di Mosè, per i Profeti, e per il Salterio?».
Reuchlin terminava la sua risposta nel novembre del 1510. Era chiaroveggente e temperata. I libri ebraici venivano in essa ripartiti in molteplici categorie e su ciascuna l'interpellato formulava il suo parere. Della distruzione dei libri del Vecchio Testamento non era naturalmente il caso di parlare. Il Talmud, osservava il Reuchlin, è una raccolta di delucidazioni e commenti alle legge di Mosè, compilata in varie epoche e in varie circostanze. Nessuno si poteva attentare di giudicarla in blocco, prima di averla coscienziosamente esplorata in tutte le sue parti. Il Reuchlin confessava di averne potuto consultare solamente alcune parti, nelle quali, se non mancavano dichiarazioni ed asserzioni in conflitto col patrimonio dogmatico del cristianesimo, figuravano pure istruzioni morali di una spiccata elevatezza, che sarebbe stato quanto mai imprudente e crudele distruggere. La C abbala meritava anch'essa di essere gelosamente conservata. I commenti biblici e tutta la produzione liturgica degli ebrei dovevano essere conservati, sia per l'utilità che offrivano agli studiosi cristiani, sia in virtú dei privilegi che ne avevano sempre tutelato la preservazione. I libri scientifici potevano essere impunemente, dovevano anzi essere distrutti, nelle parti in cui sembravano autorizzare arti proibite, come la magìa. Infine, opere di poesia e polemica, piú apertamente eversive del nome cristiano, dovevano essere sagacemente valutate, prima di essere dannate alla distruzione. A mo' di riepilogo, il Reuchlin prospettava la maggiore proficuità di una vasta opera di chiarificazione e di educazione, che illustrasse i punti di dissenso fra la vecchia economia religiosa e la nuova.
Il parere isolato del dotto umanista suscitò cosí fiera reazione; il suo misurato giudizio parve al furore teologico dei suoi avversari cosí scandalosamente eterodosso, che Reuchlin credette opportuno, a usbergo della sua competenza e della sua buona fede, pubblicare una raccolta di quarantatré lettere di uomini eminenti nella conoscenza delle discipline sacre, i quali tutti, a cominciare da Erasmo, «il piú dotto uomo dell'epoca», si erano pronunciati in favore delle sue idee e della sua linea di condotta.
La pubblicazione offrí lo spunto ad una raccolta parallela, nella quale certi « obscuri viri» personificanti l'ignoranza petulante e la saccenteria vuota della Curia e dei suoi difensori, venivano esponendo le loro insipide idee in una congerie di sciocchi problemi di casistica claustrale, parodiando la scienza teologale e scolastica del tempo. La paternità di queste lettere famose e famigerate non può essere con sicurezza assegnata. Probabilmente la raccolta uscí dalla cooperazione di parecchi umanisti. Il circolo di Erfurt, ad ogni modo, ebbe, nel prepararla, la parte preponderante, sotto lo stimolo e con la partecipazione di Ulrico von Hutten, che è stato designato come il preannuncio dell'uragano riformatore.
Nato da una di quelle vecchie famiglie della turbolenta, altera e indomita nobiltà franconica, che occupa un posto cosí appariscente nella storia pubblica della Germania al cadere del Medioevo, Ulrico era stato dedicato, nelle intenzioni paterne, alla vita ecclesiastica, a causa delle sue gracili e cagionevoli condizioni di salute. Educato nel convento di Fulda, ma ribelle alla ostinata volontà paterna, Ulrico, abbandonato a se stesso, ramingò di Università in Università, attraverso peripezie rocambolesche, che dànno alla esistenza randagia dell'eterno studente l'andatura del piú movimentato romanzo. Provvisoriamente riconciliato con la famiglia, il von Hutten poteva intraprendere un lungo viaggio di istruzione in Italia, le cui impressioni dovevano fermentare a lungo nella sua anima inquieta. Umanista e poeta, Ulrico von Hutten è anche probabilmente soprattutto uomo di parte e polemista politico. Nazionalista fervido e intransigente, ritiene che il Papato costituisca un ostacolo e un impaccio insormontabile alla libera espansione della vitalità della sua Germania diletta. Libellista infaticato e aspro, rivolge ininterrottamente i suoi strali contro il Papato, in vista di una instaurazione imperiale germanica, di cui non riesce mai però a disegnare nettamente i contorni e a tracciare il programma. Dalla Epistola ad Maximilianum Caesarem, al Valiscus, agli Inspicientes, gli scritti di Ulrico von Hutten tradiscono tutti una predominante passione politica, che lo spinge alla battaglia quotidiana contro ciò che al suo vecchio sangue di nobile cresciuto all'ombra dell'edificio imperiale dà la sensazione vaga di impedire la piena risurrezione della grandezza alemanna. Apparirà alleato di Lutero quando la ribellione di questi assumerà atteggiamenti nazionali carichi di risonanze nell'ambito della vita culturale e politica della Germania di Carlo V. Ma la sua anima rimarrà inesorabilmente chiusa al miraggio religioso del riformatore, di cui non riescirà mai a comprendere le preoccupazioni mistiche e l'ardore teologico.
In realtà tutta la grande corrente dell'umanesimo teutonico, pur costituendo l'atmosfera culturale nella quale è vissuta e si è mossa la giovinezza accademica di Lutero, non ha esercitato un'azione profonda e realmente formatrice sull'anima sua.
Ben diversa la situazione nei paesi di lingua francese, nei paesi fiamminghi, nella stessa Svizzera di lingua tedesca. Non è cosa priva di significato, ad esempio, che a Ginevra la medesima assemblea, quella del 21 maggio 1536, che decide l'adesione della città alla riforma, decida anche la riorganizzazione completa del regime scolastico A Strasburgo, non appena il nuovo partito, il riformatore, prende possesso della città, immediatamente inaugura corsi di lingua greca e di lingua ebraica, di matematica e di grammatica, e in pari tempo corsi di esegesi e di teologia. Quando Francesco I designa i primi rettori e professori regali, sceglie con cura, sulle indicazioni dell'umanista Budé, i capi stessi dell'umanesimo francese, che sono tutti, si direbbe, quasi d'istinto, tratti piú o meno apertamente verso le idee della riforma e tutti, il Vatable come il Toussaint e il Danés, assistono a quelle prediche del Louvre, in cui Gérard Roussel, sotto la protezione di Margherita di Navarra, insegnava, senza eufemismi, la dottrina della salvezza in virtú della fede.
Se nell'anno 1533 tali lettori sono deferiti al Parlamento dall'Università, sotto l'imputazione di correggere la versione biblica corrente attraverso varianti venute d'oltre Reno e quindi straordinariamente sospette di essere o di ispirazione ebraica o di ispirazione luterana, il patrocinatore dei lettori risponde non senza malizia con un dilemma tagliente: «O i teologi sanno il greco e l'ebraico o ignorano queste lingue. Se le conoscono, via, vadano ad assistere senz'altro ai corsi, come fanno tutti gli altri; e se poi qualche eresia sfugge dalle labbra del professore, che ne stendano denuncia e facciano sottoporre il colpevole a giudizio. Ma se ignorano queste lingue, di che cosa mai si lamentano?».
Sebbene l'ufficialità universitaria si mostrasse cosí straordinariamente sensibile al sentore delle nuove idee, in realtà sono proprio le Facoltà universitarie che tradiscono infiltrazioni innovatrici. A Parigi è precisamente la Facoltà delle Arti, di cui faceva parte Lefèvre d'Étaples, la meno refrattaria allo spirito novello. Consultata nel 1530 dal Parlamento, chiede a gran voce una riforma dell'insegnamento, specialmente dell'insegnamento piú vicino, quello della teologia. È in uno dei collegi di questa Facoltà delle Arti che insegnava Mathurin Cordier, il modesto ma sagace ed agile riformatore degli studi di grammatica. Nel 1530 egli pubblicava il suo libro sulla Cor rection du langage, e cinque anni dopo noi lo troviamo in una lista di sospetti per causa d'eresia, quando già si presenta il giorno in cui egli andrà ad accumulare la duplice funzione di umanista e di evangelista a Bordeaux prima, a Ginevra poi, infine a Neuchâtel.
Le Università di provincia sono ancora piú aperte al soffio delle nuove idee. Orléans ha professori che nel medesimo tempo insegnano la lingua ebraica e spiegano Lutero. Tali quel Melchiorre Wolmar, che conta fra i suoi allievi Olivetano, Calvino, Du Chemin, Daniel, Beza. A Bourges noi siamo nei domini di Margherita di Navarra il cui Miroir de l'âme pécheresse è effettivamente il simbolo preciso di questa età fuggevole di transizione, nella quale gli uomini nuovi, piovuti da tutti gli angoli dell'orizzonte, si sentono piú fortemente uniti in quel che li affratella, anziché sentirsi colpiti da quel che li divide. Colà c'è tutto un piccolo mondo di letterati e di seguaci di una nuova temperie religiosa, di cui essa, Margherita, difende la incolumità contro le insidie di malevoli e di ignoranti. L'umanesimo fa la sua comparsa a Bourges negli studi giuridici con Alciato, fra i cui allievi possiamo annoverare Giacomo Canaye e Bartolomeo Aneau.
Una prova tipica degli stretti legami che affratellano su tutto il territorio francese umanesimo e riforma, noi la possiamo trovare pure nella straordinaria popolarità delle idee nuove, nel mondo delle professioni collegate con la stampa. Né Margherita di Navarra né il vescovo di Meaux, Briçonnet, avrebbero potuto disseminare intorno a sé i germi delle nuove dottrine, senza la sagace devozione di Simone Dubois, di Enrico I Estienne, di Simone di Colines.
Nella capitale dell'arte tipografica francese, Lione, quasi tutti gli stampatori sono piú o meno favorevoli all'eresia e in pari tempo alla rinascita delle lettere. Pietro de Vingle è espulso di là nel 1531 per avere stampato un Nuovo Testamento francese. Sebastiano Gryphe ha per correttori ed amici Dolet, Rabelais, Aneau. Giovanni di Tournes è un partigiano dichiarato della fede nuova. A Parigi gli stampatori e i librai sono continuamente disturbati dalla Sorbona e dal Parlamento, per aver pubblicato e venduto opere proscritte. Sicché noi possiamo ben dire che già parecchio tempo prima della comparsa della Institutio Christiana di Calvino, tutta l'atmosfera culturale francese è, fra il 1520 e il 1525, pervasa e percorsa da uno spirito che è ugualmente rinnovatore nel mondo della cultura profana come in quello della cultura religiosa.
Non è il caso di cercar qui un corpo di dottrine teologali che possa far pensare senz'altro alla teologia del monaco insorto di Wittenberg o alla esegesi neotestamentaria del riformatore ginevrino. Le idee che noi troviamo serpeggiare nella Francia di Margherita di Navarra e di Francesco I sono elementari e semplicistiche. «Se qualcuno» dicono ad esempio le Lettere e Vangeli ad uso della dioc esi di Meaux, colpiti da censura dalla Facoltà parigina il 6 novembre 1525, «vi predica e annuncia altra cosa che la parola di Dio e di Gesù Cristo, costui non è un fedele dispensatore, distributore, annunciatore dei segreti di Dio, ma è un infedele e un ingannatore. Per cui non dovete ascoltarlo, non gli dovete credere, non dovete prestar fede alle sue parole, poiché si tratta di un vero seduttore. Di cotali individui il mondo è stato ed è tuttora pieno, e lo sarà fino a che i segreti di Dio, vale a dire Gesù Cristo e la sua parola, non siano totalmente predicati, ricevuti dal mondo, ospitati nel cuore di tutti i fedeli». Il che implica il riconoscimento del Vangelo, sola regola di dottrina e di vita; ripudio di tutti i dogmi che la Chiesa ha sovrapposto alla pura parola di Dio, ripudio di tutti i precetti di cui la Scrittura non ha strettamente imposto l'osservanza. E la pura parola di Dio, il solo precetto del Vangelo, secondo tale nuova predicazione, precetto che abolisce tutta la legge e tutte le regole, è unicamente questo: non si è salvati che per la fede nel Cristo e la fede non ci può venire che dalla grazia. Siamo in piena temperie riformata.
Si comprende come in un ambiente di questo genere la formazione di Calvino non offra il destro di cogliere un momento preciso nel quale collocare quella che si dovrebbe chiamare ed è chiamata la sua conversione. È una formazione lenta la sua che risente adagio adagio dell'ambiente circostante e della maturazione si direbbe quasi automatica del mondo culturale e religioso di cui egli avverte istintivamente gli influssi. Saranno le circostanze storiche che permetteranno anche a Calvino, come avevano permesso a Lutero, di trovare la sua strada, lontano dalla sua città natale, a Ginevra. Nato a Noyon che, proprio agli inizi del secolo decimosesto, si meritava l'appellativo di santa, il 10 luglio del 1509, da Gerardo Cauvin, notaio apostolico e procuratore fiscale, notaio del vescovo e del Capitolo, e uomo di fiducia di tutto il clero, Giovanni iniziava i suoi studi nel collegio delle Capettes. Adolescente ancora, riceveva i primi benefizi ecclesiastici, senza altro obbligo che quello di ricevere la tonsura e versare un contributo sufficiente a che un prete incaricato potesse celebrare mensilmente il numero di messe necessario. Evidentemente la sua vocazione doveva essere quella sacerdotale. Nel 1523 si trasferiva a Parigi, al collegio de la Marche e di Montaigu.
Era l'anno stesso in cui Lefèvre d'Étaples pubblicava il Vangelo e i Salmi in lingua francese e in cui la Facoltà teologica parigina condannava venticinque proposizioni del suo Commentario a San Paolo.
Proprio nel giugno di quell'anno il d'Étaples, rivolgendosi «a tutti i cristiani e a tutte le cristiane», raccomandava «di abbandonare qualsiasi altra folle fiducia nelle creature, qualsiasi altra tradizione umana, tutte incapaci di salvare, per seguire soltanto la parola di Dio, che è spirito e vita».
L'anno successivo, premuto dal Farel, il d'Étaples non esitava ad approvare pubblicamente alcune tesi sulla grazia, patrocinate a Breslavia dall'Hesse.
Dopo la battaglia di Pavia e nel periodo della prigionia di Francesco I in Spagna, il Parlamento parigino decideva l'abbruciamento delle opere del d'Étaples, il quale se ne fuggiva a Strasburgo.
Di tutto ciò gli echi dovevano arrivare al giovane Calvino, il quale da Parigi si trasferiva frattanto ad Orléans, dove, piú che mai, le influenze riformatrici si facevano sentire su di lui. Ad Orléans dovette rapidamente acquistare rinomanza e ascendente sui compagni di studio. Un documento del febbraio 1532 lo dichiarava licenziato in legge. Nel medesimo torno di tempo egli dava l'ultima mano a quel commento al De clementia di Seneca di cui nulla si potrebbe desiderare di piú significativo per la individuazione delle interferenze fra la formazione umanistico-classica del futuro riformatore e il tipo particolare di esperienza religiosa riformata che egli cercherà di inculcare e di codificare, quando avrà a sua disposizione quel magnifico terreno di esperimento religioso collettivo che fu la libera città di Ginevra.
Qualcosa di simile, per ciò che riguarda la formazione spirituale umanistica e riformata, era accaduto al terzo grande riformato...

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