Don Chisciotte della Mancia
eBook - ePub

Don Chisciotte della Mancia

Integrale

Miguel de Cervantes

Share book
  1. Italian
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Don Chisciotte della Mancia

Integrale

Miguel de Cervantes

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Don Chisciotte della Mancia è il famosissimo romanzo dello spagnolo Miguel de Cervantes Saavedra, pubblicato in due volumi nel 1605 e 1615. È considerato un capolavoro della letteratura mondiale e i due protagonisti, Don Chisciotte e Sancio Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi. Con oltre 500 milioni di copie è il romanzo più venduto della storia. In questa edizione le complessive 661 (310+351) note sono state posizionate rispettivamente alla fine della Prima Parte e della Seconda Parte per agevolare la lettura del testo.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Don Chisciotte della Mancia an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Don Chisciotte della Mancia by Miguel de Cervantes in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Media & Performing Arts & Storytelling. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Year
2020
ISBN
9788835851943

PARTE SECONDA

CAPITOLO I

DELLA CONVERSAZIONE CHE IL BARBIERE E IL CURATO EBBERO CON DON CHISCIOTTE RIGUARDO ALLA SUA MALATTIA
Nella seconda parte di questa storia e terza uscita di don Chisciotte racconta Cide Hamete Benengeli che il curato e il barbiere stettero quasi un mese senza vederlo per non rinnovargli e richiamargli il ricordo delle cose passate. Non per questo però tralasciarono di andare a trovare la nipote e la governante, esortandole a badare di custodirlo bene con dargli a mangiare cose nutrienti e adatte per il cuore e per il cerebro, da dove, come s’inferiva chiaramente, dipendeva tutto il suo malanno. Esse dissero che questo appunto facevano e avrebbero fatto con ogni affettuosa cura possibile, perché notavano che il loro Signore, di tanto in tanto, cominciava a dar segni di essere pienamente in cervello. Della qual cosa molto si rallegrarono il curato e il barbiere, sembrando loro di aver fatto proprio bene a riportarlo incantato sul carro da buoi come si è raccontato nella prima parte di questa grande e altrettanto esatta storia, nell’ultimo capitolo 12. Determinarono quindi di andarlo a visitare e di constatare il suo miglioramento, quantunque ritenessero quasi impossibile che questo ci fosse davvero, rimanendo d’accordo però di non toccarlo sopra nessun punto circa la cavalleria errante, per non mettersi al rischio di avere a scucire quelli della ferita che erano stati dati così di fresco.
Andarono, infine, a fargli una visita e lo trovarono seduto sul letto, con indosso un camiciotto di baietta verde e in capo un berretto toledano di lana rossa, tanto magro e risecchito che pareva null’altro che un corpo mummificato. Li ricevette egli molto cordialmente e, richiesto della sua salute, parlò di sé e di come si sentiva, molto assennatamente e con eleganza di espressione. Nel corso della conversazione poi vennero a trattare di quel che si dice ragione di Stato e modi di governare, correggendo quest’abuso e riprovando quell’altro, riformando un costume e dando il bando ad un altro, divenendo ciascuno di loro tre un nuovo legislatore, un moderno Licurgo, un Solone nuovo di zecca. Essi riformarono lo Stato per modo da parer proprio che l’avessero messo in una fucina e ne avessero tratto uno ben diverso da quello che vi avevano posto. Or don Chisciotte parlò con tanta saggezza su tutti gli argomenti toccati che i due suoi esaminatori credettero di sicuro che fosse del tutto guarito e pienamente in cervello.
Si trovarono presenti alla conversazione la nipote e la governante che non si stancavano di ringraziare Dio al vedere il loro signore così assolutamente in sé. Il curato tuttavia, rimutandosi dal primo proposito che era di non toccarlo in cose cavalleresche, volle provare a fondo se la guarigione di don Chisciotte fosse apparente o reale: così, d’uno in altro argomento, venne a dire di certe notizie giunte dalla capitale; fra le quali, ritenersi per certo che il Turco calava con una potente flotta, che non si sapeva quale fosse il suo disegno né dove volesse scaricarsi sì gran nembo 13. Con questo timore, che quasi ogni anno ci chiama alle armi, tutta la cristianità stava sull’attenti, e Sua Maestà aveva fatto munire le coste di Napoli, della Sicilia e dell’isola di Malta. A ciò rispose don Chisciotte: — Sua Maestà ha operato da prudentissimo guerriero col munire i suoi Stati in tempo, perché non alla sprovvista abbia a coglierlo il nemico; ma se si accettasse un mio consiglio, io gli consiglierei di usare un provvedimento al quale, ora come ora, Sua Maestà dev’essere molto lontano dal pensare.
Come il curato udì ciò, disse fra sé: «Che Dio ti tenga per le sue sante mani, povero don Chisciotte, perché mi pare che dall’alta cima della tua pazzia tu precipiti nel profondo abisso della tua scempiaggine! Ma il barbiere, che già aveva avuto lo stesso pensiero del curato, domandò a don Chisciotte qual era il suo consiglio circa il provvedimento che diceva sarebbe bene accettare; perché poteva anche darsi che fosse tale da doversi aggiungere nell’elenco di tanti inopportuni suggerimenti che si sogliono dare ai principi.
— Il mio, mastro Tosa, — disse don Chisciotte — non è già inopportuno, ma opportunissimo.
— Non dico per questo — soggiunse il barbiere, — ma perché l’esperienza ha dimostrato che tutti o la più parte dei progetti che vengono dati a Sua Maestà o sono inattuabili, o stravaganti, o dannosi al re od al regno 14.
— Il mio pertanto — rispose don Chisciotte — né è inattuabile né stravagante, bensì il più facile, il più giudizioso, il più sagace e spicciativo che possa mai venire in mente a progettista alcuno.
— Troppo indugia vossignoria, signor don Chisciotte — disse il curato.
— Io non vorrei — osservò don Chisciotte — che a dirlo ora io qui, domattina fosse arrivato agli orecchi dei signori del Consiglio e un altro prendesse per sé i ringraziamenti e il premio della fatica mia.
— Per me — disse il barbiere — do la mia parola e qui e davanti a Dio di non dire a chicchessia 15 a nessuno al mondo, quel che vossignoria abbia mai a dire: giuramento questo, che ho imparato dalla storia del prete che, cantando il Prefazio, fece sapere al re chi era il ladro che gli aveva rubato le cento doppie e la mula vagabonda 16.
— Non m’intendo di storielle io — disse don Chisciotte; — ma so che questo giuramento vale, perché so che il signor barbiere è uomo dabbene.
— E se anche non fosse — disse il curato — io gli fo credito e mi rendo mallevadore per lui, che, cioè, in questa faccenda egli non parlerà più che non parli un muto, sotto pena di pagare quanto sarà giudicato e sentenziato.
— E per vossignoria chi garantisce signor curato? — disse don Chisciotte.
— La mia professione, che è di esser segreto — rispose il curato.
— Perdinci! — disse allora don Chisciotte. — Che altro è a fare se non che Sua Maestà ordini per pubblico banditore che si raccolgano nella capitale, un giorno stabilito tutti i cavalieri erranti che vagano per la Spagna? Anche non ne venisse che mezza dozzina, non potrebbe fra loro intervenire uno il quale, da solo, bastasse a distruggere tutta la potenza del Turco? Mi stiano attente le signorie vostre e mi seguano. Forse che è cosa nuova che un solo cavaliere errante disfaccia un esercito di duecentomila uomini come se tutti avessero una gola sola o tutti fossero di pasta frolla? Mi dicano un po’: quante storie son piene di siffatte meraviglie? Avrebbe dovuto (maledetto me, ché non voglio dir altri!), avrebbe dovuto vivere, oggi, il famoso don Belianigi, o qualcuno di quelli dell’infinita stirpe di Amadigi di Gaula! Se oggi vivesse qualcuno di essi e si affrontasse col Turco, in fede mia che a questo non assicurerei di vincerla! Ma Dio soccorrerà il popolo suo e procurerà qualcuno, se non così prode come i cavalieri erranti del tempo passato, che almeno non sia da meno di loro nel coraggio. Dio mi capisce e non dico altro.
— Ahi! — disse a questo punto la nipote. — Possa io morire ammazzata se il mio signore non vuol tornare a fare il cavaliere errante!
Al che disse don Chisciotte: — Cavaliere errante ho io da morire e scenda o salga pure il Turco quando gli piaccia e con quante più forze potrà. Torno a dire: Iddio m’intende.
Disse allora il barbiere: — Prego caldamente le signorie vostre di permettermi di raccontare un fatterello accaduto a Siviglia, che ho proprio voglia di narrarlo, poiché qui cade bene a proposito.
Assentì don Chisciotte, prestarono attenzione il curato e gli altri, ed egli incominciò così: — Nel manicomio di Siviglia c’era un tale che i parenti vi avevano rinchiuso perché privo di senno. S’era laureato in Leggi Canoniche a Ossuna, ma, secondo l’opinione di molti, anche se si fosse laureato a Salamanca, sarebbe stato sempre un matto. Or questo dottore, dopo alcuni anni di reclusione nel manicomio, si mise in capo di essere savio e pienamente in sé. Così immaginandosi quindi, scrisse all’Arcivescovo supplicandolo vivamente e con espressioni molto bene acconce che lo facesse liberare da quella calamità in cui viveva, poiché ormai, per misericordia di Dio, aveva recuperato il senno perduto; che però i suoi parenti, per godere la parte del suo patrimonio lo lasciavano in quel luogo, e contro il vero, chiedevano che fosse ivi lasciato sino alla morte. L’arcivescovo, persuaso dai molti messaggi bene scritti e ben ragionati, ordinò a un suo cappellano d’informarsi dal direttore del manicomio se era vero ciò che quel dottore gli scriveva, che in pari tempo parlasse col matto e che, se gli sembrava rinsavito, lo cavasse di là e lo liberasse. Così fece il cappellano, ma il direttore gli disse che quel tale era ancora matto; che, sebbene molte volte discorresse come persona di grande intendimento, alla fine dava la stura a tante scimunitaggini che, nel numero e nella qualità, uguagliavano le cose dette sensatamente prima, come poteva farsene l’esperienza, parlandogli. Il cappellano volle farla. Messo in cospetto del matto, parlò con lui per più d’un’ora, né in tutto quel tempo il matto disse pur una parola incoerente e stravagante; anzi discorse così assennatamente che il cappellano fu costretto a credere che il matto era rinsavito. Fra l’altro, questi gli disse che il direttore gli era ostile per non perdere i regali che gli facevano i suoi parenti affinché dicesse che ancora era matto pur con qualche lucido intervallo; come pure che il suo maggior nemico in quella sventura era il suo vistoso patrimonio, poiché per goderselo i suoi avversari lo denigravano in malafede e sollevavano dubbi circa la grazia che nostro Signore gli aveva fatto con rimutarlo da animale in uomo. Infine, egli parlò in modo da fare sospettare del direttore, apparire avidi e disumani i parenti e se stesso così sensato che il cappellano si decise a condurselo con sé acciocché l’Arcivescovo lo vedesse e toccasse con mano la verità di quella faccenda. Così onestamente credendo, il buon cappellano chiese al direttore che al dottore facesse dare gli abiti con cui era entrato nel manicomio; e il direttore tornò a dire che badasse a cosa faceva, perché, senza dubbio alcuno, quegli era ancora matto. A nulla valsero i suoi consigli e avvertimenti perché il cappellano desistesse del menarselo via. Il direttore, vedendo che era ordine dell’Arcivescovo, obbedì e il dottore fu rivestito dei suoi abiti che erano nuovi e decorosi. Come si vide egli rivestito da savio e svestito da pazzo, pregò insistentemente il cappellano che gli facesse la carità di permettergli di andare a prender commiato dai matti suoi camerati. Il cappellano disse di volerlo accompagnare e vedere i matti che c’erano nella casa. Salirono di sopra, quindi, e, con loro, alcuni i quali si trovarono presenti.
Giunto il matto presso a una gabbia dove si trovava un pazzo furioso, per quanto fosse allora calmo e quieto, gli disse: — Fratello caro, veda se ha da comandarmi qualcosa, ché io me ne vado a casa, essendosi Dio compiaciuto, per infinita bontà e misericordia sua, senza alcun merito mio, di restituirmi il senno. Son bell’e guarito ormai e bene in me, giacché all’onnipotenza di Dio nulla è impossibile. Abbia grande speranza e fiducia in Lui, che come ha fatto tornar me nello stato di prima, vi farà tornare anche lei, se confida in Lui. Sarà mia cura di mandarle dei manicaretti, e lei li deve mangiare assolutamente; perché deve sapere che secondo me - e sono uno che ben l’ha provato - tutte queste nostre pazzie derivano dall’avere lo stomaco vuoto e il cerebro pieno di vento. Si faccia animo, si faccia animo, perché l’abbattimento nelle sventure rovina la salute e apporta la morte.
Sentì tutto questo discorso del dottore un altro pazzo che era in un’altra gabbia di fronte a quella del furioso e che, rizzandosi su da una vecchia stuoia dov’era sdraiato tutto nudo, domandò gridando chi era colui che se n’andava guarito e rinsavito. Il dottore gli rispose: — Son io, fratello, che me ne vado, poiché ormai non ho più bisogno di stare altro tempo qui: della qual cosa ringrazio infinitamente il cielo che mi ha fatto sì grande favore.
— Ponete mente a cosa dite, dottore, che il diavolo non v’inganni — soggiunse il pazzo; — fermatevi e rimanete zitto e cheto qui in casa vostra, che così vi risparmierete di tornare.
— Io so che son guarito — replicò il dottore, — e non ci sarà motivo di rifare la via crucis.
— Voi guarito? — disse il pazzo. — Va bene; si vedrà; andate con Dio; però vi giuro per Giove, la cui maestà io rappresento sulla terra, che soltanto per questa colpa che oggi commette Siviglia col cavarvi da questa casa e col ritenervi per savio, io le infliggerò tale un castigo che ne resti il ricordo nei secoli dei secoli, e così sia. Non sai tu, povero dottorello, che ben potrò farlo, poiché, come dico, sono Giove Tonante ed ho nelle mani i fulmini incendiari con cui posso e soglio minacciare e distruggere il mondo? Con un mezzo soltanto tuttavia voglio punire questo popolo d’ignoranti, cioè con non far piovere su di essa né in tutto quanto il suo distretto e circondario per tre anni interi, che si conteranno dal giorno e dal momento in poi in cui questa minaccia è stata proferita. Tu libero, tu guarito, tu in senno, ed io matto ed io malato ed io legato...? Così penso di far piovere come a impiccarmi.
Stettero attenti a sentire i circostanti le parole gridate dal pazzo, ma il nostro dottore, rivolgendosi al nostro cappellano e prendendolo per le mani, gli disse: — Non se ne preoccupi vossignoria, né ci faccia caso a quello che ha detto questo matto: che se lui è Giove e non vorrà far piovere, io che sono Nettuno, il padre e il dio delle acque, farò piovere tutte le volte che me ne verrà voglia e che sarà necessario.
Al che rispose il cappellano: — Nondimeno, signor Nettuno, non converrà crucciare il signor Giove: vossignori...

Table of contents