«Ben venga la propaganda»
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«Ben venga la propaganda»

Süss, l'ebreo di Veit Harlan e la critica cinematografica italiana (1940-1941)

Claudio Siniscalchi

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Süss, l'ebreo di Veit Harlan e la critica cinematografica italiana (1940-1941)

Claudio Siniscalchi

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Questo lavoro di ricerca prende avvio da una constatazione e da una curiosità. Partiamo dalla constatazione. Studiando la produzione cinematografica realizzata dal nazionalsocialismo tra il 1933 e il 1945, il confronto – estetico produttivo, comunicativo e ideologico – con un film si rivela imprescindibile: Süss, l'ebreo (Jud Süss, 1940) di Veit Harlan. Lo è per l'evidente qualità formale dell'opera, ma, soprattutto, per l'altrettanto evidente, quanto radicale, carica antisemita. Ed essendo l'antisemitismo uno snodo imprescindibile dell'ideologia nazionalsocialista, studiare Süss, l'ebreo significa, in fondo, studiare il totalitarismo hitleriano attraverso il punto di vista di un'«opera mondo» (un film di finzione), universo visivo di significati che racchiude l'essenza di un'epoca: la lotta tra l'elemento ariano minacciato dal suo nemico storico, l'ebreo. Quando oggi vediamo Süss, l'ebreo in realtà ci troviamo davanti a due differenti rappresentazioni del passato: la storia settecentesca di Süss, manipolata nella finzione cinematografica; e la storia del 1939-1941, quando la risoluzione della «questione ebraica» imboccò la strada che condusse alla «soluzione finale», prima con l'invasione della Polonia e poi con l'invasione dell'Unione Sovietica. L'interpretazione di Süss, l'ebreo è sin troppo semplice: i tedeschi hanno un solo modo per liberarsi dell'eterna minaccia ebraica. Il finale del film è la risposta. Per quanto riguarda invece la curiosità, è racchiusa in una domanda: cosa ne scrissero i critici italiani quando il film fu presentato in anteprima a Venezia nel settembre 1940 e uscì nel circuito nazionale nell'ottobre del 1941? Prefazione di Francesco Perfetti.

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VIII. «IL PIÙ SOZZO, IL PIÙ RIPUGNANTE, IL PIÙ DISUMANO E NEMICO, A GUARDARE BENE, È CHARLOT»

La polemica razzista e antisemita da piccolo focherello nel 1938 divampò rapidamente in un incendio di vaste proporzioni:

Per qualche mese una vera e propria febbre si impadronì degli intellettuali razzisti portandoli a moltiplicare le pubblicazioni [...]. Una volta che l’antisemitismo fu diventato orientamento ufficiale dello stato fascista, il gruppo degli antisemiti dichiarati si allargò rapidamente grazie alla collaborazione degli intellettuali di regime [1] .

Renzo De Felice ha posto l’attenzione su un dato: la pubblicistica razzista e antisemita era vastissima. I giornali abbondano di articoli dedicati al tema, e nell’editoria si assiste ad un fiorire di libelli, quasi sempre di scarsissimo valore formale e intellettuale [2] . A partire dal 1938 la stampa italiana nella sua totalità si era impegnata in uno «sconcio “crescendo” razzista e antisemita» [3] . Anche la stampa cinematografica fu investita dalla febbre razziale. La rivista «Cinema», ad esempio, si allinea immediatamente, ricordando in un editoriale come la questione razziale fosse stata da sempre una reale preoccupazione, anche quando «il problema non era posto nei suoi termini definitivi». Il cinema italiano deve essere tenuto più possibile lontano da inquinamenti stranieri:

Parlare di razza, oggi per noi non significa altro che riprendere i nostri vecchi argomenti di battaglia, portandoli su un piano più preciso [...] razza, nel concetto fascista, non è un termine che abbia soltanto un riferimento fisiologico, quasi non fossero lo spirito e la virtù a fare degli italiani una razza che nella storia ha lasciato tracce profonde e gloriosissime [4] .

«Bianco e nero» (il cui primo numero è uscito nel 1937), testata edita dal Centro sperimentale di cinematografia, diretta da Luigi Chiarini (anche se il direttore ufficiale è Luigi Freddi), si mette immediatamente in sintonia con la campagna razziale lanciata dal fascismo. Chiarini da quando nel 1934 è stata istituita la Direzione generale della cinematografia, al cui vertice è stato posto Freddi («l’uomo chiave della politica cinematografica del fascismo») [5] , ne è diventato capo divisione [6] . Freddi gli ha affidato la guida del Centro sperimentale, che apre i battenti nel novembre del 1935, trasformandolo da «giornalista di regime» [7] in «funzionario della propaganda» [8] . Chiarini è un razzista, vice-direttore del settimanale «Quadrivio» (diretto da Interlandi) dal primo numero uscito nell’estate del 1933 all’ultimo uscito nell’estate del 1943. Nella collana «Biblioteca razziale italiana», diretta da Interlandi per l’editore romano Tumminelli, vengono annunciate alcune pubblicazioni di prossima uscita, tra cui Razza e Cinematografo di Luigi Chiarini (indicato come il numero 14 della collana). Chiarini su «Quadrivio» sostiene che il problema del razzismo, per via dell’Impero, è una questione ineludibile, poiché la distinzione tra dominati e dominatori deve essere netta [9] . Con l’Impero è cominciata la fase ascendente della storia italiana: «l’Italia guerriera di Mussolini si distingue da quella professorale di Giolitti», perché ha avuto il coraggio di idealizzare e costruire un «uomo nuovo», espressione della razza italiana, bandendo ogni internazionalismo [10] . La rivista di numero in numero, tra il 1937 e il 1938, orienta le antenne su razzismo e antisemitismo. Vengono pubblicati i cognomi degli ebrei italiani [11] . Partono anatemi all’indirizzo degli ebrei in cattedra [12] , del «meticciato religioso» [13] , dell’alleanza tra inglesi ed ebrei [14] , degli ebrei in Polonia [15] . Interlandi fissa la linea con frequenti prese di posizione. La pubblicazione del Manifesto della razza lo trova concorde: il tempo del razzismo è arrivato [16] . Anche Chiarini sull’argomento non fa mancare un contributo. L’espansione imperiale dell’Italia fascista ha evidenziato il confronto degli italiani con le moltitudini delle «razze inferiori». Pertanto, il razzismo non deve essere inteso come un problema scientifico, ma è il naturale approdo del fascismo, affermatosi per difendere la purezza degli italiani dall’inquinamento di ideologie politiche (democrazia, massoneria, comunismo), filosofiche (positivismo, materialismo, freudismo) e artistiche (dadaismo, cubismo, espressionismo). Per queste ragioni

Il Fascismo vuole che anche nei caratteri fisici degli italiani, nella purezza del loro sangue, nella loro sanità si possa leggere il riconquistato senso della bellezza, della forza spirituale, della viva bontà. Sono queste le stigmate di una razza che si eleva verso l’ideale e non si abbassa alla materialità magari truccata sotto un gretto e astratto spiritualismo inconsistente e libresco [17] .

In sintonia con la campagna razziale lanciata dal fascismo, Chiarini su «Bianco e nero» pubblica alcuni articoli di taglio razzista, affidati alla stesura del propagandista antisemita Giulio Cogni. Nato a Siena nel 1908, Cogni è docente di filosofia in un liceo di Perugia e, successivamente, all’Istituto italo-germanico di Amburgo. Esordisce come romanziere, con scarsa fortuna [18] . Vira verso la filosofia, mescolando misticismo e fascismo, quest’ultimo intrepretato in stretta vicinanza con il pensiero di Giovanni Gentile [19] . Nel 1932 una sua curiosa opera, Saggio sull’amore (dedicata a Gentile con filiale devozione) [20] , scatena un vespaio di polemiche, che spinge l’autore a licenziare nel 1933 una seconda edizione e una «difesa» della sua opera [21] . Gli strali arrivano dal giovane fascista oltranzista Berto Ricci. Ma anche da intellettuali vicini a Gentile e piuttosto distanti dall’ufficialità come Guido de Ruggero, che definisce il libro un «tentativo di svolgere l’idealismo attuale nel senso dell’antropofagia [che] sembra sconfinare verso gli orizzonti più vasti della necrofilia» [22] . Mino Maccari, nel suo stile sarcastico, conia un nuovo aggettivo: «cognerie». Il primo capitolo, Il desiderio cosmico, si apre con questa affermazione: «Chi ama perdutamente, chi ama davvero una donna, non può desiderare nulla di meglio, se non che Ella lo mangi, lo sciolga in musica, nella divina sinfonia del suo corpo» [23] . Entusiasta della Germania hitleriana [24] , tra il 1934 e il 1935 pubblica due saggi sulla rivista corporativa «Nuovi studi di diritto, economia e politica», diretta da Ugo Spirito e Arnaldo Volpicelli. Il primo saggio è una favorevole ricezione della filosofia razzista di Alfred Rosenberg [25] . Il secondo riassume i contorni della corr...

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Siniscalchi, C. (2021). «Ben venga la propaganda» ([edition unavailable]). Edizioni Studium S.r.l. Retrieved from https://www.perlego.com/book/2173812/ben-venga-la-propaganda-sss-lebreo-di-veit-harlan-e-la-critica-cinematografica-italiana-19401941-pdf (Original work published 2021)

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Siniscalchi, Claudio. (2021) 2021. «Ben Venga La Propaganda». [Edition unavailable]. Edizioni Studium S.r.l. https://www.perlego.com/book/2173812/ben-venga-la-propaganda-sss-lebreo-di-veit-harlan-e-la-critica-cinematografica-italiana-19401941-pdf.

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Siniscalchi, C. (2021) «Ben venga la propaganda». [edition unavailable]. Edizioni Studium S.r.l. Available at: https://www.perlego.com/book/2173812/ben-venga-la-propaganda-sss-lebreo-di-veit-harlan-e-la-critica-cinematografica-italiana-19401941-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Siniscalchi, Claudio. «Ben Venga La Propaganda». [edition unavailable]. Edizioni Studium S.r.l., 2021. Web. 15 Oct. 2022.