Uomini e microbi: l'eterna battaglia
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Uomini e microbi: l'eterna battaglia

Dalla preistoria al Coronavirus

Francesco Maria Galassi

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Uomini e microbi: l'eterna battaglia

Dalla preistoria al Coronavirus

Francesco Maria Galassi

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Siamo tornati al punto di partenza oppure siamo destinati a una guerra infinita ai microbi? Anno 2020: l'Europa che sognava di raggiungere nuove vette tecnologiche e credeva in un benessere ormai garantito si risveglia assediata, espugnata e umiliata da un nemico nuovo e antico, un virus. Che cosa può dirci la storia al riguardo? Che cos'ha in comune l'emergenza Coronavirus con i grandi drammi del passato come la peste di Atene e quella Antonina, la Peste Nera del Trecento, le epidemie che seguirono la scoperta del Nuovo Mondo e la terribile spagnola, che alla fine della prima guerra mondiale, e cioè in pieno Novecento, provocò decine di milioni di morti in tutto il mondo? Un saggio che, mediante l'analisi di fenomeni comparabili nella storia, ci condurrà a comprendere meglio il dramma presente. Uno sguardo storico e scientifico necessario per collocare al suo giusto posto l'emergenza COVID-19. La finalità di quest'opera è aiutare i lettori a comprendere come gli eventi epocali dei nostri giorni, che hanno alterato in modo straordinario il corso delle nostre vite, possano trovare un'originale ed efficace chiave di lettura nella riscoperta della storia delle malattie infettive e delle loro manifestazioni epidemico-pandemiche, al tempo stesso osservando come l'umanità abbia modificato – o non abbia affatto modificato – la propria maniera di reagire a questi fenomeni, tanto a livello pratico (prevenzione e cura della malattia) quanto teorico-comunicativo (comprensione del problema sanitario e sua comunicazione alle persone). Troppo spesso la lezione storico-medica e paleopatologica è stata trascurata, quasi fosse poco più che un'inutile forma di conoscenza, ormai del tutto slegata dalla realtà contemporanea in cui viviamo. Mai errore avrebbe potuto essere maggiore. Qualcuno forse dirà: e come si può affermarlo? Questo libro si propone proprio di rispondere a questa domanda, alla luce dei fatti e delle esperienze passate, intraprendendo un percorso di approfondimento sia come osservatori di eventi lontani sia, un po' come guardandosi allo specchio, contemplando il lungo percorso della nostra specie dai suoi esordi fino ai giorni nostri.

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Information

Year
2021
ISBN
9791280134196

Capitolo 1

Peste, piaga, pestilenza, epidemia e pandemia

In procinto ormai di salpare alla volta di tempi, civiltà e mondi sconosciuti, con il desiderio di scoprire l’antichità della battaglia tra uomini e microbi, bisogna innanzitutto evitare di commettere un errore: quello di credere che la nostra cultura contemporanea e le nostre conoscenze, in quanto più avanzate di quelle degli antichi, siano sufficienti a farci muovere con grande disinvoltura nelle epoche e nei contesti che ci hanno preceduto. Nulla di più falso. Sarebbe come credere che, una volta catapultati indietro nel tempo all’epoca dell’impero romano, ci trovassimo a conversare amabilmente per strada con i passanti, forti delle nostre conoscenze liceali di latino. Per conoscere il passato, bisogna in un certo senso riviverlo, immergendosi nella realtà antica e utilizzando gli strumenti linguistici e teorici che caratterizzarono i secoli passati. Un simile ragionamento va senz’altro applicato alla storia delle malattie e dell’arte medica, imparando sin dal principio a riconoscere le parole che gli antichi utilizzavano per descrivere le malattie infettive, in particolar modo le loro manifestazioni epidemico-pandemiche.
Oggi siamo soliti indicare una malattia con un nome scientifico ben preciso, derivato dall’agente patogeno che ne è responsabile o dalla sua presentazione clinica, in alcuni casi esplicitandone la denominazione, in altri utilizzando acronimi, come accaduto per esempio con la nuova malattia pandemica, la COVID-19.
In passato non sarebbe andata così. I nostri antenati, per lunghissimo tempo ignari delle cause e della natura delle malattie infettive, avrebbero utilizzato termini molto più vaghi, generici e impiegati anche in altri ambiti della vita. Avrebbero parlato di una «calamità», di una «sciagura», di una «peste». Ai giorni nostri il termine peste si riferisce tanto alla pericolosissima malattia infettiva causata dal batterio Yersinia pestis (di cui parleremo abbondantemente nei capitoli successivi), quanto è utilizzato nel linguaggio quotidiano per indicare una persona, in particolare un bambino o un ragazzino, troppo vivace. Nei secoli passati, invece, peste indicava una malattia capace di sconvolgere intere civiltà e sovvertirne l’ordine naturale e civile, una vera e propria rovina.
Il vocabolo pestis (da cui deriva la parola italiana «peste») è affine alle forme comparative (peior, peius) e superlative (pessimus, -a, -um) dell’aggettivo latino malus, -a, -um («brutto», «cattivo», «malvagio»), e si è conservato nelle principali lingue europee: peste in francese, peste in spagnolo, peste in portoghese, Pest in tedesco, pest in olandese. Tuttavia, in inglese si utilizza una forma alternativa, plague, che sino al XIV secolo indicava una «calamità», una «sciagura», un’«afflizione», mentre a partire dal XV secolo iniziò a specializzarsi, finendo per caratterizzare una «malattia a decorso maligno», quindi una malattia (infettiva) mortale. Plague non è altro che l’evoluzione del vocabolo latino plaga, che significa «percossa» o «ferita», ed è affine alla forma πληγή [pleghé] in greco antico (dialetto dorico), entrambe derivate dalla radice protoindoeuropea *plak-, con il significato di «colpire».
Pertanto, nei due vocaboli piaga e peste è racchiusa l’idea del colpire con brutalità, ferendo e arrecando grande sofferenza. Questa è l’accezione in cui va intesa la celebre frase con la quale il Signore annuncia a Mosè l’imminente liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù in Egitto (Antico Testamento, Esodo, 11.1): «Ancora una piaga manderò contro il faraone e l’Egitto; dopo di che egli vi lascerà partire di qui. Vi lascerà partire senza condizioni, anzi, vi caccerà via di qui». È interessante notare come piaga (in questo caso la morte dei primogeniti maschi) in ebraico sia
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[nagà], vocabolo che, al pari di quelli di derivazione indoeuropea visti sopra, è collegato all’idea del «toccare», dell’«imporre le proprie mani su» qualcosa o addirittura – e qui ritroviamo il significato da noi ricercato – toccare con violenza, quindi «punire», «distruggere».
Poiché, com’è noto, le famose piaghe d’Egitto furono ben dieci, di varia natura, e non certo tutte eventi morbosi, s’intuisce come gli antichi raggruppassero sotto la macrocategoria delle sciagure-calamità naturali una serie di fenomeni che occasionalmente potevano indicare epidemie. In quest’ultimo senso va intesa la frase dell’oratore romano Marco Tullio Cicerone (De Natura Deorum I, XXXVI) «[i]bes […] avertunt pestem ab Aegypto» («Gli ibis […] allontanano l’epidemia dall’Egitto»). Ciononostante, il latino conosceva anche un altro vocabolo, pestilentia (da cui l’italiano pestilenza), molto più specifico e adatto a descrivere un fenomeno epidemico. Giulio Cesare ci ha lasciato un esempio molto chiaro dell’utilizzo di questo termine (Commentarii de Bello Civili, II.22): «Massilienses gravi pestilentia conflictati» («Gli abitanti di Marsiglia tormentati da una grave pestilenza»).
Gustave Doré, La quinta piaga: malattia del bestiame, incisione, 1866.
Gustave Doré, La quinta piaga: malattia del bestiame, incisione, 1866.
Storicamente il termine peste ha avuto il sopravvento su pestilenza e ha finito per essere utilizzato come vocabolo di scelta per indicare le maggiori presentazioni di malattie infettive, soprattutto la celebre peste che devastò l’Europa del Trecento, altrimenti nota come «Peste Nera», «Grande Peste» o, più correttamente, «Morte Nera». Quest’ultima pare individuare le proprie origini linguistiche nell’accostamento generico dell’aggettivo «nero» al concetto della morte sin dai poemi omerici e dalla letteratura latina (atra mors), mentre un suo utilizzo in riferimento a una pestilenza si fa strada a partire dal Medioevo. Sarà tuttavia l’opera scientifica del medico tedesco Justus Friedrich Karl Hecker (1795-1850) Der schwarze Tod im vierzehnten Jahrhundert (La Morte Nera nel XIV secolo), pubblicata a Berlino nel 1832, a decretare in ultima analisi il successo di questa espressione.
Bisogna però fare attenzione ancora a due aspetti: la moltiplicazione delle denominazioni delle malattie e l’uso in passato di termini che, al giorno d’oggi, si riferiscono a malattie del tutto diverse.
Il primo problema è già evidente dalla gran copia di nomi usati per descrivere la peste del XIV secolo, e si aggiunga a esso il fatto che poteva essere definita anche soltanto «peste bubbonica (orientale)», lasciando intendere che la forma bubbonica fosse la sola a presentarsi, mentre quello che gli antichi cronisti facevano era adottare la figura retorica della sineddoche, ossia significavano l’insieme delle costellazioni cliniche di una malattia infettiva utilizzando una sola parte, cioè la forma più diffusa e probabilmente quella più appariscente. Il secondo problema è invece ben esemplificato dall’altro nome usato per riferirsi alla peste causata da Yersinia pestis: «tifo pestilenziale orientale» (si noti il ritorno di «pestilenza» sotto forma di aggettivo), come si può trovare scritto in alcuni trattati medici dei primi decenni del XIX secolo. Ebbene, tifo (dal greco τῦφος, tŷphos) è un termine molto aspecifico che indica «febbre», «torpore». Oggi non indica più in alcun modo la «peste», ma viene utilizzato in riferimento ad altre malattie infettive, quali il tifo esantematico (o petecchiale), causato dal batterio Rickettsia prowazekii e trasmesso dal pidocchio umano, il tifo itteroide (o più comunemente «febbre gialla»), causato dal virus della febbre gialla, e il tifo addominale (o «febbre tifoide»), malattia sistemica provocata dal batterio Salmonella enterica typhi.
Guangzhou, Cina, 12 marzo 2020: un gruppo di persone con sul volto la mascherina chirurgica per prevenire il contagio della nuova malattia.
Guangzhou, Cina, 12 marzo 2020: un gruppo di persone con sul volto la mascherina chirurgica per prevenire il contagio della nuova malattia.
Non solo le malattie e gli agenti che le causano mutano nel corso del tempo, ma anche il modo di descrivere questi fenomeni e le parole utilizzate per farlo. Sebbene ciò possa apparire strano, non deve sorprendere. Pensiamo solo al già visto lockdown, di scarsissimo utilizzo prima della pandemia di COVID-19, ma oggi diffusissimo, al punto da trovarlo, utilizzato a sproposito, anche in campi del sapere che nulla hanno a che fare con le strategie di contrasto alle epidemie.
Altri termini sono invece molto meno vaghi e traggono la propria origine nella lingua greca: epidemia e pandemia. La prima (da ἐπί, epí, «sopra», e δῆμος, d
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mos
, «popolo») indica qualcosa che riguarda il popolo e che incombe sullo stesso, mentre la seconda (da παν-, pan-, «tutto», e δῆμος, d
i026-1
mos
, «popolo») fa riferimento a qualcosa che riguarda tutto il popolo. Si può capire come epidemia descriva la diffusione di una malattia infettiva limitata ad alcune regioni del globo, mentre pandemia faccia riferimento a una ben più ampia diffusione, certo intercontinentale, se non addirittura coinvolgente il mondo intero.
L’eterna battaglia tra uomini e microbi non è infatti solo la storia di una lotta tra specie per la sopravvivenza, ma anche la storia di un conflitto globale senza confini definiti dai mari e dagli oceani, uno scontro che affonda le proprie origini nella preistoria dell’umanità, allorché grandi minacce iniziarono, per l’appunto, a incombere sulle popolazioni del pianeta.

Capitolo 2

Dalla preistoria all’ira di Apollo

Ricostruire l’antichità delle malattie significa non solo rintracciare la fonte da cui scaturirono i morbi e i loro agenti causanti, ma anche ricostruire la storia stessa dell’umanità. Il lungo percorso evolutivo della specie umana, a partire dalle sue forme più ancestrali sino all’uomo anatomicamente moderno, è stato caratterizzato da una continua interazione con i microbi, molti dei quali patogeni, che hanno finito per colonizzare gli organismi e trovare in essi fertile terreno in cui moltiplicarsi. Si può ben dire che l’evoluzione delle civiltà, la crescità delle comunità abitative e l’industrializzazione siano state foriere di un radicale mutamento di quelle originarie condizioni di vita che caratterizzavano i primi uomini, che sino al Paleolitico vissero in comunità ristrette, nutrendosi soprattutto dei prodotti della caccia degli animali selvatici e della raccolta di vegetali e frutti reperibili in natura. Fu invece quando la specie umana capì di poter aggiogare la natura, vegetale e animale, al proprio desiderio, che si crearono le condizioni per cui malattie che non avevano ancora colpito Homo sapiens sapiens finirono per dare terrificanti manifestazioni epidemiche.
Il momento cruciale è infatti rappresentato dalla «rivoluzione agricola neolitica» (detta anche «prima rivoluzione agricola»), risalente a circa 12.000 anni fa. Fu in questa fase che si verificò una transizione di proporzioni maggiori in molte popolazioni e culture umane da una vita da nomadi che, come visto sopra, vivevano di caccia e di raccolta, a una in cui s’imponeva il modello della sedentarietà, condizione resa possibile dalla coltivazione delle piante e da pratiche quali l’irrigazione, la deforestazione, la domesticazione degli animali, la lavorazione della ceramica e, in ultima analisi, l’invenzione della scrittura. Il nuovo regime di sedentarietà permise l’accumulo di un surplus alimentare che consentì alle popolazioni di fiorire, raggiungendo livelli di espansione demografica mai visti in precedenza.
In queste nuove condizioni lo sviluppo di malattie sino a quel momento sconosciute, originate negli animali, e dallo spiccato carattere epidemico, divenne possibile. Era iniziata la grande stagione delle zoonosi, patologie che avrebbero accompagnato l’umanità, falcidiandola e assottigliandone i ranghi, nel suo percorso sino ai giorni nostri: soprattutto quando non si trattava di un semplice, sporadico, passaggio di una malattia animale agli umani, bensì di un vero e proprio...

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