Capitolo 1
Peste, piaga, pestilenza, epidemia e pandemia
In procinto ormai di salpare alla volta di tempi, civiltĂ e mondi sconosciuti, con il desiderio di scoprire lâantichitĂ della battaglia tra uomini e microbi, bisogna innanzitutto evitare di commettere un errore: quello di credere che la nostra cultura contemporanea e le nostre conoscenze, in quanto piĂč avanzate di quelle degli antichi, siano sufficienti a farci muovere con grande disinvoltura nelle epoche e nei contesti che ci hanno preceduto. Nulla di piĂč falso. Sarebbe come credere che, una volta catapultati indietro nel tempo allâepoca dellâimpero romano, ci trovassimo a conversare amabilmente per strada con i passanti, forti delle nostre conoscenze liceali di latino. Per conoscere il passato, bisogna in un certo senso riviverlo, immergendosi nella realtĂ antica e utilizzando gli strumenti linguistici e teorici che caratterizzarono i secoli passati. Un simile ragionamento va senzâaltro applicato alla storia delle malattie e dellâarte medica, imparando sin dal principio a riconoscere le parole che gli antichi utilizzavano per descrivere le malattie infettive, in particolar modo le loro manifestazioni epidemico-pandemiche.
Oggi siamo soliti indicare una malattia con un nome scientifico ben preciso, derivato dallâagente patogeno che ne Ăš responsabile o dalla sua presentazione clinica, in alcuni casi esplicitandone la denominazione, in altri utilizzando acronimi, come accaduto per esempio con la nuova malattia pandemica, la COVID-19.
In passato non sarebbe andata cosĂŹ. I nostri antenati, per lunghissimo tempo ignari delle cause e della natura delle malattie infettive, avrebbero utilizzato termini molto piĂč vaghi, generici e impiegati anche in altri ambiti della vita. Avrebbero parlato di una «calamità », di una «sciagura», di una «peste». Ai giorni nostri il termine peste si riferisce tanto alla pericolosissima malattia infettiva causata dal batterio Yersinia pestis (di cui parleremo abbondantemente nei capitoli successivi), quanto Ăš utilizzato nel linguaggio quotidiano per indicare una persona, in particolare un bambino o un ragazzino, troppo vivace. Nei secoli passati, invece, peste indicava una malattia capace di sconvolgere intere civiltĂ e sovvertirne lâordine naturale e civile, una vera e propria rovina.
Il vocabolo pestis (da cui deriva la parola italiana «peste») Ăš affine alle forme comparative (peior, peius) e superlative (pessimus, -a, -um) dellâaggettivo latino malus, -a, -um («brutto», «cattivo», «malvagio»), e si Ăš conservato nelle principali lingue europee: peste in francese, peste in spagnolo, peste in portoghese, Pest in tedesco, pest in olandese. Tuttavia, in inglese si utilizza una forma alternativa, plague, che sino al XIV secolo indicava una «calamità », una «sciagura», unâ«afflizione», mentre a partire dal XV secolo iniziĂČ a specializzarsi, finendo per caratterizzare una «malattia a decorso maligno», quindi una malattia (infettiva) mortale. Plague non Ăš altro che lâevoluzione del vocabolo latino plaga, che significa «percossa» o «ferita», ed Ăš affine alla forma ÏληγΟ [pleghĂ©] in greco antico (dialetto dorico), entrambe derivate dalla radice protoindoeuropea *plak-, con il significato di «colpire».
Pertanto, nei due vocaboli
piaga e
peste Ăš racchiusa lâidea del colpire con brutalitĂ , ferendo e arrecando grande sofferenza. Questa Ăš lâaccezione in cui va intesa la celebre frase con la quale il Signore annuncia a MosĂš lâimminente liberazione del popolo dâIsraele dalla schiavitĂč in Egitto (
Antico Testamento,
Esodo, 11.1): «
Ancora una piaga manderĂČ contro il faraone e lâEgitto; dopo di che egli vi lascerĂ partire di qui. Vi lascerĂ partire senza condizioni, anzi, vi caccerĂ via di qui». Ă interessante notare come
piaga (in questo caso la morte dei primogeniti maschi) in ebraico sia
[
nagĂ ], vocabolo che, al pari di quelli di derivazione indoeuropea visti sopra, Ăš collegato allâidea del «toccare», dellâ«imporre le proprie mani su» qualcosa o addirittura â e qui ritroviamo il significato da noi ricercato â toccare con violenza, quindi «punire», «distruggere».
PoichĂ©, comâĂš noto, le famose piaghe dâEgitto furono ben dieci, di varia natura, e non certo tutte eventi morbosi, sâintuisce come gli antichi raggruppassero sotto la macrocategoria delle sciagure-calamitĂ naturali una serie di fenomeni che occasionalmente potevano indicare epidemie. In questâultimo senso va intesa la frase dellâoratore romano Marco Tullio Cicerone (De Natura Deorum I, XXXVI) «[i]bes [âŠ] avertunt pestem ab Aegypto» («Gli ibis [âŠ] allontanano lâepidemia dallâEgitto»). Ciononostante, il latino conosceva anche un altro vocabolo, pestilentia (da cui lâitaliano pestilenza), molto piĂč specifico e adatto a descrivere un fenomeno epidemico. Giulio Cesare ci ha lasciato un esempio molto chiaro dellâutilizzo di questo termine (Commentarii de Bello Civili, II.22): «Massilienses gravi pestilentia conflictati» («Gli abitanti di Marsiglia tormentati da una grave pestilenza»).
Gustave Doré, La quinta piaga: malattia del bestiame, incisione, 1866.
Storicamente il termine peste ha avuto il sopravvento su pestilenza e ha finito per essere utilizzato come vocabolo di scelta per indicare le maggiori presentazioni di malattie infettive, soprattutto la celebre peste che devastĂČ lâEuropa del Trecento, altrimenti nota come «Peste Nera», «Grande Peste» o, piĂč correttamente, «Morte Nera». Questâultima pare individuare le proprie origini linguistiche nellâaccostamento generico dellâaggettivo «nero» al concetto della morte sin dai poemi omerici e dalla letteratura latina (atra mors), mentre un suo utilizzo in riferimento a una pestilenza si fa strada a partire dal Medioevo. SarĂ tuttavia lâopera scientifica del medico tedesco Justus Friedrich Karl Hecker (1795-1850) Der schwarze Tod im vierzehnten Jahrhundert (La Morte Nera nel XIV secolo), pubblicata a Berlino nel 1832, a decretare in ultima analisi il successo di questa espressione.
Bisogna perĂČ fare attenzione ancora a due aspetti: la moltiplicazione delle denominazioni delle malattie e lâuso in passato di termini che, al giorno dâoggi, si riferiscono a malattie del tutto diverse.
Il primo problema Ăš giĂ evidente dalla gran copia di nomi usati per descrivere la peste del XIV secolo, e si aggiunga a esso il fatto che poteva essere definita anche soltanto «peste bubbonica (orientale)», lasciando intendere che la forma bubbonica fosse la sola a presentarsi, mentre quello che gli antichi cronisti facevano era adottare la figura retorica della sineddoche, ossia significavano lâinsieme delle costellazioni cliniche di una malattia infettiva utilizzando una sola parte, cioĂš la forma piĂč diffusa e probabilmente quella piĂč appariscente. Il secondo problema Ăš invece ben esemplificato dallâaltro nome usato per riferirsi alla peste causata da Yersinia pestis: «tifo pestilenziale orientale» (si noti il ritorno di «pestilenza» sotto forma di aggettivo), come si puĂČ trovare scritto in alcuni trattati medici dei primi decenni del XIX secolo. Ebbene, tifo (dal greco ÏῊÏÎżÏ, tĆ·phos) Ăš un termine molto aspecifico che indica «febbre», «torpore». Oggi non indica piĂč in alcun modo la «peste», ma viene utilizzato in riferimento ad altre malattie infettive, quali il tifo esantematico (o petecchiale), causato dal batterio Rickettsia prowazekii e trasmesso dal pidocchio umano, il tifo itteroide (o piĂč comunemente «febbre gialla»), causato dal virus della febbre gialla, e il tifo addominale (o «febbre tifoide»), malattia sistemica provocata dal batterio Salmonella enterica typhi.
Guangzhou, Cina, 12 marzo 2020: un gruppo di persone con sul volto la mascherina chirurgica per prevenire il contagio della nuova malattia.
Non solo le malattie e gli agenti che le causano mutano nel corso del tempo, ma anche il modo di descrivere questi fenomeni e le parole utilizzate per farlo. Sebbene ciĂČ possa apparire strano, non deve sorprendere. Pensiamo solo al giĂ visto lockdown, di scarsissimo utilizzo prima della pandemia di COVID-19, ma oggi diffusissimo, al punto da trovarlo, utilizzato a sproposito, anche in campi del sapere che nulla hanno a che fare con le strategie di contrasto alle epidemie.
Altri termini sono invece molto meno vaghi e traggono la propria origine nella lingua greca:
epidemia e
pandemia. La prima (da áŒÏÎŻ,
epĂ, «sopra», e ÎŽáżÎŒÎżÏ,
dmos, «popolo») indica qualcosa che riguarda il popolo e che incombe sullo stesso, mentre la seconda (da ÏαΜ-,
pan-, «tutto», e ÎŽáżÎŒÎżÏ,
dmos, «popolo») fa riferimento a qualcosa che riguarda tutto il popolo. Si puĂČ capire come
epidemia descriva la diffusione di una malattia infettiva limitata ad alcune regioni del globo, mentre
pandemia faccia riferimento a una ben piĂč ampia diffusione, certo intercontinentale, se non addirittura coinvolgente il mondo intero.
Lâeterna battaglia tra uomini e microbi non Ăš infatti solo la storia di una lotta tra specie per la sopravvivenza, ma anche la storia di un conflitto globale senza confini definiti dai mari e dagli oceani, uno scontro che affonda le proprie origini nella preistoria dellâumanitĂ , allorchĂ© grandi minacce iniziarono, per lâappunto, a incombere sulle popolazioni del pianeta.
Capitolo 2
Dalla preistoria allâira di Apollo
Ricostruire lâantichitĂ delle malattie significa non solo rintracciare la fonte da cui scaturirono i morbi e i loro agenti causanti, ma anche ricostruire la storia stessa dellâumanitĂ . Il lungo percorso evolutivo della specie umana, a partire dalle sue forme piĂč ancestrali sino allâuomo anatomicamente moderno, Ăš stato caratterizzato da una continua interazione con i microbi, molti dei quali patogeni, che hanno finito per colonizzare gli organismi e trovare in essi fertile terreno in cui moltiplicarsi. Si puĂČ ben dire che lâevoluzione delle civiltĂ , la crescitĂ delle comunitĂ abitative e lâindustrializzazione siano state foriere di un radicale mutamento di quelle originarie condizioni di vita che caratterizzavano i primi uomini, che sino al Paleolitico vissero in comunitĂ ristrette, nutrendosi soprattutto dei prodotti della caccia degli animali selvatici e della raccolta di vegetali e frutti reperibili in natura. Fu invece quando la specie umana capĂŹ di poter aggiogare la natura, vegetale e animale, al proprio desiderio, che si crearono le condizioni per cui malattie che non avevano ancora colpito Homo sapiens sapiens finirono per dare terrificanti manifestazioni epidemiche.
Il momento cruciale Ăš infatti rappresentato dalla «rivoluzione agricola neolitica» (detta anche «prima rivoluzione agricola»), risalente a circa 12.000 anni fa. Fu in questa fase che si verificĂČ una transizione di proporzioni maggiori in molte popolazioni e culture umane da una vita da nomadi che, come visto sopra, vivevano di caccia e di raccolta, a una in cui sâimponeva il modello della sedentarietĂ , condizione resa possibile dalla coltivazione delle piante e da pratiche quali lâirrigazione, la deforestazione, la domesticazione degli animali, la lavorazione della ceramica e, in ultima analisi, lâinvenzione della scrittura. Il nuovo regime di sedentarietĂ permise lâaccumulo di un surplus alimentare che consentĂŹ alle popolazioni di fiorire, raggiungendo livelli di espansione demografica mai visti in precedenza.
In queste nuove condizioni lo sviluppo di malattie sino a quel momento sconosciute, originate negli animali, e dallo spiccato carattere epidemico, divenne possibile. Era iniziata la grande stagione delle zoonosi, patologie che avrebbero accompagnato lâumanitĂ , falcidiandola e assottigliandone i ranghi, nel suo percorso sino ai giorni nostri: soprattutto quando non si trattava di un semplice, sporadico, passaggio di una malattia animale agli umani, bensĂŹ di un vero e proprio...