Il dilemma della pace
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Il dilemma della pace

Femministe e pacifiste sulla scena internazionale 1914-1939

Elda Guerra

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Il dilemma della pace

Femministe e pacifiste sulla scena internazionale 1914-1939

Elda Guerra

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Quali dilemmi dovettero affrontare le protagoniste del movimento politico delle donne nei nuovi drammatici contesti novecenteschi? Esito di un'ampia ricerca, il volume affronta le vicende dell'associazionismo internazionale femminile nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, dagli schieramenti di fronte alla Grande guerra alla ricerca di politiche innovative negli anni Venti e Trenta nel dialogo con la SocietĂ  delle Nazioni, al giudizio su fascismi e totalitarismi, fino alla scelta tra pacifismo e difesa della democrazia nel precipitare degli eventi nella seconda guerra mondiale. Viene cosĂŹ introdotto, sulla base di una rigorosa analisi delle fonti, uno sguardo innovativo sulla storia del secolo appena concluso grazie alla ricostruzione delle grandi questioni della cultura politica delle donne nelle sue tensioni tra affermazione della giustizia per entrambi i sessi, ricerca di politiche di pace e crescita dei diritti e delle libertĂ  delle donne e di tutti gli esseri umani.

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Information

Year
2016
ISBN
9788867286072
1. Dalla crisi di fronte alla guerra alla ricerca di un nuovo internazionalismo
1. La crisi
La rivoltellata che, per usare le parole di Stefan Zweig, «in un attimo solo mandĂČ in frantumi, quasi fosse un vaso vuoto di coccio, il mondo della sicurezza e della ragione creatrice»,11 colpĂŹ con la sua forza improvvisa e devastante anche le protagoniste dell’associazionismo femminile. Appena un mese prima l’International Women Council (IWC) aveva tenuto a Roma il suo congresso quinquennale e nulla in quella sede era stato neppure adombrato. Organizzato dall’associazione affiliata, il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI), l’incontro si era articolato lungo i tre filoni propri della visione dell’International Council, in particolare della sua parte italiana: la casa, il lavoro e la sua conciliazione con l’essenziale missione domestica e familiare, le opere di assistenza sociale. Un’altra questione da sempre centrale nella politica dell’associazione internazionale, e cioĂš la ricerca di mezzi per perseguire la pace, non aveva trovato, nelle giornate romane, il grande spazio a essa riservato in appuntamenti precedenti, come quando le parole della pacifista austriaca Bertha von Suttner sulle terribili conseguenze della guerra moderna erano risuonate nel grande Congresso di Londra del 1899.12
Nel dibattito occorso nell’apposita commissione i lavori si concentrarono sull’opera da svolgere nei confronti della pubblica opinione, dell’educazione dei giovani e sulla possibilitĂ  di pressione nei confronti degli Stati perchĂ© facessero effettivamente proprie le politiche di arbitrato e mediazione discusse nell’associazionismo pacifista e negli appuntamenti governativi. Questi ultimi erano iniziati con la prima Conferenza dell’Aia dello stesso 1899, organizzata nella capitale olandese in seguito all’invito dello zar Nicola II, per affrontare la questione del progressivo incremento degli armamenti e dei mezzi migliori per una pace durevole. A essa, che era stata vista con favore dal movimento pacifista, ne era seguita una seconda nel 1907 e ne era in preparazione una terza per il 1915. Nella prospettiva di quell’appuntamento, le appartenenti all’IWC proposero che venisse stabilita per il 18 maggio, giorno di apertura della prima conferenza, una “giornata della pace” a livello internazionale. Ma l’atto piĂč significativo fu l’approvazione di una risoluzione da inviare ai governi per prevenire «the horrible violation of womanhood» che accompagna tutte le guerre.13 L’avvertimento poteva suonare largamente profetico alla luce delle conseguenze sulla popolazione civile della grande guerra. In realtĂ  quest’ultima era fuori dall’orizzonte delle previsioni e la novitĂ  di quella risoluzione consistette nel nominare e rendere visibile sulla scena internazionale la violenza sessuale come aspetto specifico e drammatico dell’esperienza femminile di ogni guerra.
Per il resto, i lavori proseguirono sui binari giĂ  impostati negli incontri precedenti e in vista dei successivi appuntamenti, tra cui il nuovo congresso quinquennale, che si sarebbe dovuto tenere a Cristiania, capitale della Norvegia, nel 1919.
Negli atti pubblicati a pochi mesi di distanza, alla fine del 1914, Ishbel Aberdeen, presidente dell’International Council, aggiunse una prefazione sulla drammatica situazione che in un breve torno di tempo, dopo la conclusione del congresso, aveva coinvolto l’Europa:
At the very moment when this volume was at the point of publication, many of the countries represented by our National Councils were suddenly plunged into war, and the principles for which the International Council stands appear for the time being to have passed to oblivion.14
Aberdeen non andava oltre a questa presa d’atto e si limitava ad esprimere la speranza che i legami internazionali esistenti potessero rimanere «unbroken», accompagnando le sue parole a un messaggio di ispirazione religiosa in cui la condanna alla guerra si univa all’invito di preparare un futuro di pace. E in effetti la questione della pace, che pure aveva contrassegnato il primo periodo di esistenza dell’associazione, fu ripresa dall’IWC soltanto a guerra terminata e i singoli consigli nazionali presero autonomamente posizione.
Anche il meeting del board dell’International Woman Suffrage Alliance (IWSA) riunitosi a Londra nel luglio del 1914 a cui furono presenti, oltre alla presidente – la statunitense Chapman Catt – rappresentanti tedesche, austriache, francesi, belghe, inglesi e olandesi, non affrontĂČ la questione che stava esplodendo in Europa. Al centro dell’incontro vi fu la discussione sui metodi della lotta suffragista. Il numero di agosto dello «Jus Suffragii», il periodico dell’associazione, appare sintomatico della difficoltĂ  di prendere coscienza di quanto stava avvenendo.15 Sulla prima pagina campeggiava un manifesto censurato dal governo inglese poichĂ© confrontava le statistiche sulla mortalitĂ  infantile, mettendo in evidenza come quest’ultima diminuisse lĂ  dove c’era il voto alle donne, mentre l’Inghilterra (considerata tra l’altro come Impero) figurava con un tasso altissimo di mortalitĂ .16 Nelle pagine successive compariva l’annuncio del XXII Congresso universale per la pace che doveva tenersi a Vienna in quello stesso 1914. La notizia era accompagnata da un breve commento in cui la suffragista austriaca Ernestine von Furth auspicava che in quell’occasione perseguimento della pace e rivendicazione del suffragio si potessero finalmente intrecciare. Paradossalmente accanto a questo trafiletto si trovava un duro articolo dell’ungherese Rosika Swimmer sulla guerra appena avviata: The bankruptcy of the man made world-war era il titolo. La catastrofe della guerra europea, scriveva Swimmer, non l’aveva colta di sorpresa: era il risultato di un mondo che aveva messo al centro lo Stato, il militarismo, la violenza, piuttosto che il diritto. Uomini e donne erano entrambi colpevoli: gli uni per aver considerato lo spirito di odio e di distruzione come un istinto umano inestinguibile, le altre per aver assistito a tutto questo senza usare «all our constructive forces to counterbalance the fatal spirit of destruction».17 La vicinanza di Rosika Swimmer ai movimenti pacifisti assai piĂč sensibili all’escalation militarista dĂ  ragione della sua analisi sulla prevedibilitĂ  dell’evento, ma nell’immediato la sua appariva una voce isolata.
Certamente i tempi di stampa del periodico determinarono la contraddittorietà di quel numero: alla fine del mese di luglio, infatti, il quadro era completamente mutato. Negli stessi uffici dove pochi giorni prima si era svolto l’incontro di donne provenienti da paesi che di lì a poco sarebbero entrati in guerra, venne presa la prima iniziativa: la stesura e la diffusione di un Manifesto internazionale delle donne.
We, the women of the world, view with apprehension and dismay the present situation in Europe, which threatens to involve one continent, if not the whole world, in the disasters and horror of war. In this terrible hour, when the fate of Europe depends on decisions which women have no power to shape, we realizing our responsibilities as the mothers of the race, cannot stand passive by. Powerless though we are politically, we call upon the Governments and Powers to avert the threatened unparalleled disaster.18
Sono le parole iniziali del testo, un’apertura solenne in cui l’uso del soggetto collettivo esprime l’argomentazione di fondo per cui le donne, nel loro insieme, facevano appello alla pace: l’essere le madri della specie umana; condizione comune cui si aggiungeva l’altra, che riguardava tutti i paesi coinvolti dalla guerra: l’essere politicamente attive, ma prive di potere decisionale. Diversamente da quanto aveva sostenuto Swimmer, qui le donne sono rappresentate come innocenti, in quanto confinate in posizione di «irresponsabilità»; ma per le autrici del manifesto il problema andava oltre. Diffusa era la convinzione, per altro largamente usata come argomentazione retorica, che se le donne avessero ricoperto posizioni di responsabilitĂ  la crescita del militarismo e le aggressivitĂ  nazionaliste si sarebbero potute fermare. Di qui, in uno slittamento del soggetto da un noi comprensivo di tutte le donne del mondo a un noi piĂč ristretto relativo alle rappresentanti dell’IWSA, la scelta di formulare l’appello agli uomini di governo come unica azione possibile da parte di donne che, in realtĂ , avrebbero voluto contribuire a determinare il destino delle nazioni:
We women of twenty-six countries, having banded ourselves together in the International Woman Suffrage Alliance with the object of obtaining the political means of sharing with men the power which shape the fate of nations, appeal to you to leave untried no method of conciliation or arbitration for arranging international differences which may help to avert deluging half the civilized world in blood.19
Il Manifesto, lanciato il 31 luglio 1914, fu portato al Foreign Office e a tutte le ambasciate presenti a Londra e diffuso tra le associazioni affiliate. Già in questa fase un ruolo cruciale ebbero Aletta Jacobs e l’associazione olandese: a esse fu richiesto di portare il testo alla sovrana dello Stato dove era stato costruito il Palazzo della pace e dove si erano svolte le conferenze diplomatiche che avevano messo a punto quegli accordi sull’arbitrato, divenuti punti di riferimento anche per l’associazionismo femminile internazionale.
La prima reazione, coerentemente con le posizioni espresse nei congressi fu, dunque, di opposizione alla guerra o, per meglio dire, di richiamo alle possibilitĂ  di mediazione nella preveggente consapevolezza che, se il processo avviato non fosse stato interrotto, quella guerra nel cuore dell’Europa sarebbe stata «unparralleled disaster» e avrebbe lasciato, come si legge in altra parte del testo, l’umanitĂ  piĂč povera in un arretramento complessivo della civilizzazione.
Questa reazione fu condivisa con il pacifismo politico europeo impegnato anch’esso a lanciare appelli per una rapida soluzione del conflitto scoppiato nei Balcani e per l’applicazione della machinery messa a punto nelle conferenze del...

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