Il sogno del caffè
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Il sogno del caffè

Andrea Illy

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Il sogno del caffè

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Dentro una tazzina di caffè c'è un mondo intero: culture che s'incontrano, il profumo e l'esotismo di luoghi meravigliosi, storia, arte, viaggi. E poi scienza, saper fare, innovazione, tanto lavoro e passione. Quale voce può raccontare la storia e i mille segreti del caffè – eccellenza italiana tra le più affermate al mondo – se non quella di chi dell'eccellenza ha fatto una missione, professionale e di vita? Andrea Illy, imprenditore concreto e visionario, ci accompagna nella storia della sua famiglia e della sua azienda all'inseguimento del sogno di nonno Francesco, il fondatore: offrire il miglior caffè al mondo. Nei tanti racconti sul cibo che sono stati pubblicati, raramente la storia dell'imprenditore, dell'esperto, dell'innovatore e dell'uomo s'intrecciano come in Il sogno del caffè: un libro che vuole essere un messaggio straordinario e positivo su ciò che la passione e il lavoro per creare un prodotto di qualità possono esprimere in termini di bellezza, piacere, rispetto e innovazione.BIO Andrea Illy è presidente e amministratore delegato di illycaffè, leader di qualità e alfiere dell'espresso, fondata nel 1933 a Trieste e divenuta oggi un simbolo dell'eccellenza del Made in Italy. Sotto la sua guida, illycaffè è diventata un brand riconosciuto a livello globale, anche per i suoi valori etici e per aver sviluppato un intenso rapporto con i coltivatori, gli esercenti e il mondo dell'arte contemporanea. Premiato come imprenditore dell'anno nel 2004, Andrea Illy è presidente onorario dell'Association for Science and Information on Coffee, presidente del comitato per la promozione e lo sviluppo del mercato del caffè dell'International Coffee Organization e dal 2013 è presidente della Fondazione Altagamma, che riunisce le imprese ambasciatrici nel mondo dello stile di vita italiano. Chimico di formazione, Andrea Illy è autore del libro Espresso Coffee: The Chemistry of Quality.

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Information

Year
2015
ISBN
9788875785598

Il sogno del caffè

CAPITOLO 1

IL PRIMO

CAFFÈ

Ricordo bene il giorno in cui assaggiai il mio primo caffè.
La cucina era invasa dal sole, di una luce e un’intensità che non avevo mai visto. Avevo circa quattro anni e guardavo mia madre macinare i chicchi di caffè con il nostro grande macinino. Quell’ingombrante marchingegno faceva un rumore metallico ma allegro; presidiava un mobile ancora troppo alto per me e spandeva per tutta la casa un profumo che già allora mi sembrava il più buono del mondo.
In quegli anni a casa mia ci volevano tre quarti d’ora, a volte anche un’ora, per preparare un buon caffè: era un’operazione complessa e delicata, un vero e proprio rito. Per me quelli erano momenti magici: tutto quel tempo passava in pochi istanti nell’attesa di avere il permesso di assaggiare il caffè. Mia madre pesava i chicchi su un bilancino, poi li macinava, quindi esaminava con cura il risultato e non di rado accadeva che buttasse via tutto, per ricominciare da capo. La polvere di caffè con quei primi macinini non era mai della grana giusta. Lei la valutava con un’occhiata e io anche per quello l’avevo soprannominata “l’ingegnera”: mi sembrava che svolgesse un compito difficilissimo che richiedeva grande attenzione e precisione, una misurazione per me incomprensibile. Solo più tardi avrei capito quanto fosse fondamentale per ottenere la qualità che mia madre desiderava e che faceva di quel suo elisir la bevanda in assoluto più ambita nella nostra famiglia.
In quel pomeriggio affollato di raggi di sole c’erano finalmente in serbo alcuni cucchiaini di caffè anche per me. Quando fu il momento, li portai con cura alle labbra, attento a non lasciarne cadere neppure una goccia. Ripensando a quell’istante mi rivedo assaporare quel profumatissimo liquido amaro e chiudere gli occhi, lasciando che nella bocca si spandessero mille sconosciuti aromi di luoghi esotici e lontani, e chiedendomi se un giorno sarei andato a visitarli. Mi piace immaginare che ogni cucchiaino mi portasse altrove, e so per certo che quando riaprivo gli occhi dopo quei viaggi di pochi secondi mia madre era lì e mi sorrideva, facendomi sentire per sempre al sicuro.
Credo sia da allora che “bello” e “buono” si fondono in me in un’unica sensazione: il sapore del caffè. Per la prima volta sentii confusamente, ma con grande intensità, che per me il caffè poteva significare qualcosa di più del liquido bollente e squisito che arriva da paesi lontani, qualcosa che avrebbe poi dato senso alla mia intera vita. Per me bambino il caffè, mentre lo gustavo in quella cucina accanto a mia madre, aveva il sapore del sogno di un mondo perfetto. Da quel giorno cerco ancora nel caffè e attraverso di esso di realizzare questo sogno: un mondo giusto, bello e buono, in cui l’aroma del caffè sia simbolo di armonia. È nata così la passione che ancora oggi anima il mio lavoro: realizzare quel sogno.

LA SOSTANZA

DEI SOGNI

Ma che cos’è un sogno? Per gli antichi le visioni che abbiamo nelle fasi di sonno REM, e che oggi chiamiamo sogni, erano messaggi divini. Ai giorni nostri invece sono considerati produzioni di ordine psicologico: segni, sosteneva Freud, di un’attività psichica inconscia che tende alla soddisfazione delle nostre pulsioni. Dal punto di vista filosofico però la domanda è sempre stata una sola: come distinguere il sogno dalla realtà? Platone scriveva nel Teeteto che il sogno non è meno reale della veglia e che «la somiglianza delle sensazioni nel sogno e nella veglia è addirittura meravigliosa». Anche per Schopenhauer sonno e veglia sono «fogli di uno stesso libro».
È a queste idee che m’ispiro: il sogno non è qualcosa di distante e irraggiungibile, ma un altro aspetto della realtà. Anche il modello cognitivo sembra comporre sogno e realtà come due diverse fonti di conoscenza, non più contrapposte ma funzionali entrambe all’intera vita psichica. Il sogno a occhi aperti è e sarà sempre fecondato dall’immaginazione, volto alla soddisfazione di desideri e destinato quindi a creare benessere, piacere e bellezza. In una parola: felicità. Come quella che possono dare la bontà e la bellezza racchiuse in un caffè. Dentro una tazzina c’è un mondo intero. Non solo un prodotto raffinato e delizioso ma un’intera cultura, anzi molte culture che si fondono. Ci sono il profumo e l’esotismo dei luoghi meravigliosi da cui proviene. Ci sono mille anni di storia, la geografia, l’arte, le famiglie di migliaia di persone; ci sono popoli interi. Un caffè contiene circa mille sostanze aromatiche e cinquecento sostanze di altro tipo, è prodotto in più di settanta paesi diversi e dà lavoro a circa cento milioni di persone nel mondo e a venticinque milioni di famiglie solo nei paesi produttori (fonte ICO). È una bevanda complessa, la più incredibile che esista al mondo. L’espresso, in particolare, si regge su una specie di equilibrio impossibile, regolato da un punto critico. Un vero unicum tra le bevande.
Un espresso ben fatto è un vero e proprio capolavoro, non credo ci sia altro modo di definirlo; e non c’è altro prodotto della nostra tavola che sia altrettanto complesso e di così difficile preparazione, nonostante ci appaia come un gesto quotidiano e quasi banale. Ma l’aspetto davvero meraviglioso è che quando lo beviamo possiamo dimenticare tutto questo, e goderci solo il suo potere evocativo, l’ispirazione che ci regala.

TRAFFICANTI

DI SOGNI

Il caffè è senza dubbio una bevanda da sogno non solo perché è così buono e proviene da posti incredibilmente belli, ma anche perché da più di mille anni continua a ispirare la creatività delle migliori menti. Come quella di Baba Budan, la cui storia mi fu raccontata per la prima volta da mio padre. Nel XVII secolo, lo Yemen e l’Etiopia erano gelosi della loro già consolidata produzione di caffè e volevano mantenerne il controllo per gestire i traffici, già fiorenti, con l’Europa.

LA CHIMICA DELL’ESPRESSO

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Dal punto di vista chimico l’espresso è allo stesso tempo una soluzione, un’emulsione, una sospensione colloidale e un’effervescenza. In pratica si tratta di un piccolo miracolo di chimica e fisica.
La soluzione è un sistema costituito dalle sostanze chimiche del caffè (inclusi i suoi aromi) solubilizzate in acqua (carboidrati, acidi, caffeina). Si emulsionano con l’acqua, invece, gli olii contenuti nel chicco (dunque nella polvere di caffè), che non si sciolgono spontaneamente ma grazie all’alta temperatura e all’azione meccanica dell’estrazione si disperdono nell’acqua in forma di minuscole goccioline. L’effervescenza è data dalla presenza di una fase gassosa (costituita prevalentemente da anidride carbonica) che rimane intrappolata durante la preparazione e riaffiora sulla superficie dell’espresso come strato di schiuma. Infine la sospensione è data dalla presenza di minuscole particelle solide di caffè macinato, che rimangono nella bevanda e a volte si possono intravedere sulla schiuma più chiara come minuscoli puntini scuri (tigratura).
Un espresso perfettamente riuscito è un piccolo miracolo, e per ottenere questo risultato bisogna che non meno di una dozzina di variabili siano regolate alla perfezione, come la dose immessa nel filtro e il filtro stesso, la compattazione, la macinatura, la durezza dell’acqua e la sua qualità, la sua temperatura e la pressione, oltre che il tempo di estrazione.
Per circa un secolo erano riusciti a evitare che le ciliegie fertili del caffè lasciassero i loro paesi, sottoponendole a un procedimento di bollitura che le rendeva sterili e, in Yemen, punendo ogni tentativo di esportarle con la decapitazione. Nel 1670 però Baba Budan, uno dei tanti pellegrini che ogni anno si recavano alla Mecca, riuscì con uno stratagemma e a rischio della propria vita a trafugare il caffè e a portarlo in India. Ingoiò sette bacche rosse e dopo averle recuperate le piantò nel sud dell’India, sulle colline di Chickmagalur, nella regione del Karnataka. Da lì il caffè si diffuse con enorme successo anche in Indonesia, prima nell’isola di Java e poi a Celebres, Sumatra e Timor. Tanto fu l’onore che circondò l’operato di Baba Budan, che egli venne addirittura proclamato santo e tutta la zona in cui aveva piantato il caffè venne chiamata con il suo nome, Baba Budan Giri, oggi luogo di pellegrinaggio e venerazione – caso rarissimo – da parte sia degli induisti sia dei musulmani. Un’altra storia esemplare è quella che descrive l’arrivo del caffè nelle colonie francesi in Martinica, Guadalupa e Santo Domingo grazie a una mente particolarmente ingegnosa: quella di Gabriel de Clieu (1687-1774), per quasi vent’anni governatore della Guadalupa. Secondo il resoconto da lui stesso pubblicato sull’“Année littéraire” del 1774, de Clieu trasportò una o forse più piante di caffè che il governo francese aveva ricevuto in dono dall’Olanda – secondo altri erano invece state trafugate – fino alla Martinica. Pur di portarle in salvo durante la lunghissima traversata condivise con loro la sua già scarsa provvista d’acqua.
Sembra sia legato invece a una storia d’amore l’arrivo del caffè in Brasile nel 1727, che si deve a Francisco de Melo Palheta. A lui il viceré del Brasile aveva dato l’incarico di portare via dalla Guyana i preziosi semi, anche lì gelosamente custoditi. Secondo alcuni li ottenne grazie alle sue doti diplomatiche e all’ottima impressione fatta al governatore di quello Stato, che secondo altri invece glieli negò e le cose andarono diversamente. In base a questa versione, Francisco ottenne i semi grazie al suo fascino: sembra che la moglie del governatore, innamorata di lui e consapevole di quanto i semi di caffè gli stessero a cuore, glieli avesse nascosti in un mazzo di fiori donatogli prima della partenza. Le piantine nate dai semi del tradimento non diedero tuttavia frutti immediati. In Brasile la coltivazione iniziò seriamente vent’anni più tardi e solo dal 1840 in poi questo paese divenne il maggior produttore al mondo, primato che ancora oggi gli viene riconosciuto.
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IL CAFFÈ IN ITALIA

Il caffè in Italia fece la sua comparsa nel 1615 a Venezia, grazie ai viaggiatori che da lì, per i motivi più diversi, si recavano in Oriente. Dopo essere stato imbarcato nel porto sulla riva yemenita del Mar Rosso, il caffè veniva trasportato a Venezia e inizialmente venduto nelle farmacie come medicinale a carissimo prezzo.
Sembra che sia stato lo scrittore e musicista Pietro della Valle (1586-1652), partito in nave per l’Oriente in seguito a una delusione d’amore, a descriverne al suo rientro il consumo e a introdurlo nei salotti veneziani.
Del caffè avevano già parlato il medico Prospero Alpino (1553-1617), il primo a descrivere la pianta dopo averla osservata al Cairo, sottolineandone i benefici terapeutici, e il veneziano Gian Francesco Morosini (1537-1596). Quest’ultimo, Ambasciatore della Serenissima presso il Sultano di Costantinopoli, nel 1585 riferiva che i Turchi avevano l’abitudine di bere pubblicamente, nelle botteghe e per le strade, un’«acqua negra» che si ricavava da una semente chiamata qahvé e che dicevano avere la virtù di fare stare l’uomo «bene svegliato».
Certo è che a Venezia le botteghe del caffè si diffusero già dalla metà del XVII secolo, con il nome di «botteghe dell’acqua e del ghiaccio». Il loro successo sollevò presto non poche polemiche: non mancò chi considerò il caffè – proveniente dai paesi arabi e consumato dai musulmani – «un’invenzione di Satana», suggerendo al Papa di bandirlo. Clemente VIII (1536-1605) volle però prima assaggiarlo, e gli piacque. Si dice anzi che ne rimase entusiasta: pensava che fosse un vero peccato lasciare che una bevanda così buona fosse bevuta solo dagli infedeli, e battezzò il caffè in grazia di Dio. Dopo l’approvazione del Papa, il consumo di caffè divenne libero in tutta Venezia e nel 1624 i veneziani impararono anche la tecnica della tostatura. Nel 1676 venne istituita a Venezia la prima Bottega del Caffè, nota poi come il Florian, per opera di Floriano Francesconi, e nel 1750 il Caffè Lavena. Nel 1759 a Venezia le botteghe del caffè erano ben 206, di cui 30 solo a San Marco.

CAFFETTERIE VIENNESI

Le caffetterie viennesi, famose nel mondo per l’aura letteraria che le circonda, sono ancora oggi luoghi speciali e curati in ogni dettaglio, in cui si consuma il caffè insieme all’immancabile bicchiere d’acqua, leggendo i giornali tra tavoli in marmo e le celebri sedie in faggio curvato di Michael Thonet. La sera spesso vi si ascoltano musica o reading.
Nella rilassata eleganza di questi caffè molti letterati austriaci del XIX e XX secolo trovarono un’atmosfera favorevole alla loro creatività. Questa raffinata cornice diede luogo alla cosiddetta letteratura caffetteriana, della quale fecero parte poeti e scrittori come Karl Kraus, Arthur Schnitzler e Alfred Polgar, Stefan Zweig e Peter Altenberg, che si dice ricevesse al Café Central persino la sua posta privata.
Dal 2011 le caffetterie viennesi sono state nominate dalla commissione austriaca dell’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità con queste parole: «Le caffetterie sono un posto dove consumiamo il tempo e lo spazio, ma sul conto troviamo solo il caffè».
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KULCZYCKI

Quel che è certo è che da mille anni il caffè ispira le menti più creative, che ne hanno fatto ampio uso. Probabilmente non è un caso, come hanno sostenuto alcuni studiosi, che il suo consumo si sia diffuso in Europa proprio in coincidenza della rivoluzione scientifica del XVII secolo e poi dell’Illuminismo: le sue proprietà stimolanti, che contribuivano all’attenzione e alla chiarezza di pensiero, ne hanno fatto un eccellente coadiuvante per la creatività, la concentrazione e la veglia. Durante l’età dei lumi questa “bevanda della lucidità”, epitome della modernità e del progresso, divenne la preferita di scienziati, intellettuali, mercanti e impiegati, rispecchiando la diffusione di un nuovo razionalismo.
Venezia, Trieste, Londra: i caffè conquistarono in breve l’Europa, arrivando nella seconda metà del Seicento fino al suo cuore, Vienna. Il loro approdo viennese si deve a Jerzy Franciszek Kulczycki (1640-1694), nobile ucraino di fede ortodossa che fu mercante, diplomatico, soldato e spia, e che oggi è considerato un eroe nazionale dagli abitanti dell’odierna capitale austriaca. Al suo nome è legata l’apertura del primo caffè a Vienna. Si racconta che Kulczycki si trovasse a Vienna durante l’assedio dei Turchi del 1693, che aveva lasciato stremata e affamata la città. Riuscì a oltrepassare le linee nemiche e a chiedere aiuto a Carlo V, duca di Lorena, fingendosi turco e cantando canzoni ottomane. Dopodiché tornò a Vienna garantendo un imminente soccorso e rassicurando la città, che così decise di resistere ancora. Con l’arrivo delle forze cristiane la battaglia venne vinta e Kulczycki ebbe in dono una considerevole provvista del caffè trovato nel campo dell’armata turca sconfitta. Aprì dunque un caffè in città, che divenne in breve popolarissimo e in cui egli stesso serviva vestito in abbigliamento turco; fu lui il primo a proporre la nera bevanda insieme al latte. Vienna lo ricorda con una statua, e ogni anno a ottobre i più importanti caffè viennesi organizzano una festa in suo onore. Da allora i caffè viennesi si sono...

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