Pensiero e linguaggio
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Pensiero e linguaggio viene pubblicato per la prima volta in Russia nel 1934. Nel 1936 è di fatto messo al bando a causa di un decreto governativo che proibisce la diffusione e l'applicazione in campo pedagogico delle teorie di Vygotskij. L'opera ricompare nel 1956; l'edizione americana del 1962, su cui si basa in parte la presente edizione, fa conoscere Vygotskij in Occidente. Secondo l'autore le operazioni mentali superiori, specificamente umane, si sviluppano da funzioni "naturali", organicamente determinate, a mano a mano che il fanciullo interiorizza gli "strumenti" culturali che mediano e guidano il suo pensiero. I principi teorici formulati in Pensiero e linguaggio sono basati sullo studio della formazione concettuale; in questo ambito l'autore si confronta con la teoria piagetiana del linguaggio egocentrico (in appendice è riportato un "Commento" di Piaget stesso alle osservazioni critiche di Vygotskij) e analizza temi come le interazioni fra sviluppo mentale e istruzione scolastica e il rapporto fra apprendimento dei concetti "scientifici" e sviluppo dei concetti "spontanei".

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Information

Publisher
Giunti
Year
2021
ISBN
9788809959644

VII

Pensiero e parola

«Ho dimenticato la parola
che volevo dire, e
il mio pensiero, incorporeo,
ritorna nel limbo delle ombre»1

I

All’inizio del nostro lavoro ci siamo prefissi di indagare il rapporto intrinseco esistente tra pensiero e parola ai primissimi stadi dello sviluppo filogenetico e ontogenetico. Abbiamo trovato che all’inizio dello sviluppo, nella preistoria cioè del pensiero e del linguaggio, non esiste alcuna interdipendenza specifica tra le radici genetiche del pensiero e quelle della parola. Ne deriva, così, che quella interrelazione, che ci siamo proposti di indagare, non costituisce un legame originario aprioristicamente dato, quasi condizione necessaria per ogni ulteriore sviluppo, ma si costituisce e si evolve soltanto nel processo dello sviluppo storico della coscienza umana: essa è non il presupposto, ma il prodotto di quel processo per cui l’uomo diviene tale.
Perfino nello stadio più elevato dello sviluppo animale, negli antropoidi, il linguaggio, foneticamente simile a quello umano si dimostra non collegato in alcun modo con l’intelligenza, anch’essa simile a quella umana. Indubbiamente anche nei primi stadi dello sviluppo infantile si può constatare la presenza di una fase pre-intellettuale nel processo di formazione del linguaggio e di una fase pre-linguistica dello sviluppo del pensiero.
Pensiero e parola, dunque, non sono tra loro originariamente collegati. Sarebbe però inesatto, considerare il pensiero e il linguaggio come due processi affatto eterogenei, come due dinamismi indipendenti che si costituiscano e agiscano parallelamente l’uno all’altro e che si intersechino in alcuni punti del loro cammino, influenzandosi reciprocamente in un modo puramente meccanico. L’assenza di un legame originario tra pensiero e parola non significa affatto che un rapporto tra essi possa formarsi solo in maniera meccanica. Anzi proprio in questo, nel considerare cioè i rapporti tra pensiero e parola come rapporti tra due elementi indipendenti e autonomi, dalla cui unione, peraltro meramente esteriore, si costituisce il pensiero verbale con tutte le caratteristiche ad esso inerenti, consisteva il fondamentale vizio metodologico della grande maggioranza delle ricerche finora svolte su questo argomento; vizio che ha determinato l’infruttuosità di tali studi.
Abbiamo già in altro luogo tentato di dimostrare che il metodo di analisi che prende avvio da siffatta concezione è destinato a fallire in partenza, poiché, per indagare le caratteristiche del pensiero verbale nella sua unità, seziona proprio questa unità negli elementi che la compongono, pensiero e linguaggio, nessuno dei quali presenta, singolarmente considerato, le proprietà inerenti al pensiero verbale.
Abbiamo inoltre paragonato lo studioso che per le sue ricerche intenda servirsi di un tale metodo a colui che tenti di scoprire la causa per cui l’acqua spegne il fuoco mediante la scomposizione chimica dell’acqua in idrogeno e ossigeno, e si accorga poi, con meraviglia, che l’ossigeno alimenta la combustione e l’idrogeno brucia esso stesso.
Abbiamo anche già indicato come una siffatta analisi, che si serve cioè del metodo della scomposizione in elementi, non è, in sostanza, un’analisi nel vero senso della parola, che possa venire impiegata nella soluzione dei problemi concreti che si presentano nell’ambito di una ben definita cerchia di fenomeni. Si tratta in questo caso di una unificazione per fattori comuni piuttosto che di una scomposizione e distinzione delle parti intrinseche al fenomeno da indagare.
Questo metodo porta, in sostanza, più ad una generalizzazione che ad una vera e propria analisi; infatti, per tornare al nostro esempio, affermare che l’acqua si compone di idrogeno e di ossigeno significa formulare una proposizione che si riferisce in eguale misura a tutta l’acqua esistente in natura, all’oceano Pacifico così come ad una goccia di pioggia, ma che non rende però conto di certe sue proprietà (come, per es., quella di spegnere il fuoco, o quella a cui si riferisce la legge di Archimede). Allo stesso modo, dire che il pensiero verbale riunisce in sé processi intellettuali e funzioni prettamente linguistiche, significa compiere una affermazione che si riferisce in eguale misura a tutto il pensiero verbale nel suo insieme e a tutte le sue manifestazioni, ma, al tempo stesso, significa non dire nulla dei singoli problemi concreti che chiunque imprenda a studiare il pensiero verbale si trova a dover risolvere.
Noi abbiamo cercato, perciò, fin dall’inizio, di affrontare il problema in modo diverso, di dargli un’altra impostazione e di impiegare in questa ricerca un diverso metodo di analisi. All’analisi fondata sul metodo della scomposizione in elementi abbiamo sostituito l’analisi in «unità di relazione», intendendo, con queste ultime, quei prodotti dell’analisi che, a differenza degli «elementi», non perdono quelle proprietà del tutto che devono essere indagate, ma le contengono in sé in una forma elementare. L’unità alla quale noi giungiamo per analisi contiene in sé, nella forma più semplice, le proprietà presenti nel pensiero verbale considerato in quanto entità complessa.
Questa unità che riflette nella forma più semplice la interdipendenza di pensiero e linguaggio, è stata da noi identificata nel significato della parola. Il significato di una parola, come abbiamo tentato già precedentemente di chiarire, rappresenta proprio un’unità, ulteriormente non scomponibile, di ambedue i processi; di esso non si può dire che costituisca solo un fenomeno del linguaggio o solo un fenomeno del pensiero. Una parola privata del significato non è una parola. Essa è suono vuoto e, conseguentemente, il significato è una componente indispensabile della parola. Esso è la parola considerata nel suo aspetto interiore. Noi siamo così in possesso di argomenti sufficienti per considerarlo come un fenomeno di linguaggio. Ma il significato della parola sul piano psicologico, così come ci siamo venuti persuadendo nel corso di questa nostra ricerca, non è altro che una generalizzazione o un concetto. Generalizzazione e significato della parola sono dunque sinonimi. Ma qualsiasi generalizzazione, qualsiasi processo di formazione di un concetto costituiscono, senza alcun dubbio, l’atto più specifico e più autentico del pensiero. Ne consegue, quindi, che noi possiamo a buon diritto considerare il significato della parola come un fenomeno del pensiero. Il significato della parola si rivela così, fenomeno ad un tempo linguistico e intellettuale, senza che con questo si voglia peraltro affermare che esso appartiene formalmente a due diverse sfere della vita psichica. Il significato della parola è un fenomeno di pensiero solo in quanto il pensiero è incorporato nella parola; viceversa, esso è un fenomeno di linguaggio solo in quanto il linguaggio è collegato con il pensiero ed è da esso illuminato. Esso è un fenomeno di pensiero semantizzato o di linguaggio concettualizzato; è unità di parola e di pensiero.
Dopo quanto detto sopra ci sembra che questa, che abbiamo assunto come tesi fondamentale di tutto il nostro lavoro, non necessiti di ulteriori chiarimenti. Pensiamo, infatti, che le nostre ricerche sperimentali abbiano già esaurientemente confermato e verificato questa posizione, facendo vedere come, se si considera il significato della parola come unità d’analisi del pensiero verbale, ci si schiude la possibilità di una indagine reale e concreta del processo di sviluppo del pensiero verbale e di una spiegazione delle sue proprietà fondamentali nei diversi gradi dello sviluppo.
Risultato fondamentale di tutte le ricerche da noi fin qui condotte deve essere considerata non questa posizione di per se stessa, ma la successiva, alla quale siamo giunti come ad una fondamentale conclusione. La novità essenziale che questa ricerca ha apportato agli studi sul pensiero e sul linguaggio è che i significati delle parole si sviluppano. È questa la scoperta fondamentale che ci permette per la prima volta di superare in modo definitivo il postulato che era stato posto alla base di tutte le teorie precedentemente formulate sul pensiero e sul linguaggio, circa la costanza e l’invariabilità del significato delle parole.
Secondo la vecchia scuola psicologica il legame tra la parola e il suo significato è semplicemente un legame di tipo associativo, instauratosi in virtù del fatto che nella coscienza l’impressione di una certa parola si è ripetuta numerose volte in coincidenza coll’impressione di una certa cosa. La parola richiama il suo significato allo stesso modo con cui il soprabito di una persona conosciuta richiama alla memoria questa persona stessa, o come l’aspetto esterno di una casa fa pensare a coloro che vivono dentro di essa. Considerato in questo modo, il significato della parola, una volta istauratosi, non può evolversi né mutare. Il legame associativo che collega la parola con il significato può bensì rafforzarsi o indebolirsi, può arricchirsi mediante il legame con altri oggetti dello stesso genere, può estendersi per affinità o attinenza ad una più larga cerchia di oggetti o, al contrario, può restringersi ad una cerchia più limitata; in altre parole, esso può andar soggetto ad una serie di mutamenti quantitativi esteriori, ma non può mutare nella sua natura psicologica interiore, poiché per questo dovrebbe cessare di essere una semplice associazione.
È naturale che da questo punto di vista lo sviluppo dell’aspetto semantico della parola, l’evoluzione del significato della parola rimane affatto inspiegato e inspiegabile. L’influenza di questa posizione si è fatta sentire sia nella linguistica che nella psicologia del linguaggio del bambino e dell’adulto. Quella branca della linguistica che studia i significati delle parole, la semantica, una volta fatta propria la concezione associazionistica della parola, ha considerato fino ad oggi il significato delle parole come associazione tra la veste fonica di esse e la loro referenza oggettiva. Per questo tutte indistintamente le parole, dalle più concrete alle più astratte, si rivelavano strutturalmente uguali quanto al loro aspetto semantico e nessuna di esse racchiudeva in sé alcunché di specifico del linguaggio in quanto tale dato che il legame associativo che collega parola e significato era considerato alla stessa stregua di quello per cui la vista del soprabito di una persona conosciuta ci richiama alla mente la persona stessa. La parola ci costringerebbe, cioè, a ricordare il suo significato come una qualsiasi cosa potrebbe richiamarcene alla mente un’altra. Non fa meraviglia, quindi, che non avendo trovato alcunché di specifico nel legame tra parola e significato, la semantica non sia stata finora in grado neppure di porsi la questione dello sviluppo dell’aspetto semantico del linguaggio e dell’evoluzione dei significati delle parole. Ogni possibile sviluppo si riduceva esclusivamente al mutamento dei legami associativi fra singole parole e singoli oggetti: una parola poteva indicare prima un oggetto e in seguito, associativamente, collegarsi con un altro. Così, ad esempio, un soprabito, passando da un proprietario all’altro, può richiamarci alla mente prima una persona e, in seguito, un’altra. Lo sviluppo dell’aspetto semantico del linguaggio si esaurisce, per la linguistica, nei mutamenti della referenza oggettiva delle parole, mentre le rimane estraneo il pensiero che, nel corso dello sviluppo storico della lingua, muta la struttura stessa del significato della parola, muta la natura psicologica di questo significato; che da forme inferiori e primitive di generalizzazione, il pensiero linguistico progredisce verso forme superiori e più complesse che trovano la loro espressione nei concetti astratti, e che nel corso dello sviluppo storico della lingua non è cambiato soltanto il contenuto d’una parola, ma anche il modo nel quale la realtà è riflessa e generalizzata nella parola.
Una considerazione associazionistica rende inoltre impossibile spiegare lo sviluppo dell’aspetto semantico del linguaggio nell’età infantile. Nel bambino, infatti, l’evoluzione del significato della parola dovrebbe, da questo punto di vista, comportare mutamenti esclusivamente e puramente esteriori e quantitativi dei legami associativi che collegano parola e significato; potrebbe cioè, spiegare unicamente l’arricchimento e il rafforzamento di questi legami e soltanto questo. Ma il fatto che la struttura e la natura del legame tra parola e significato può mutare, e di fatto muta, nel corso dello sviluppo del linguaggio infantile, è cosa che, dal punto di vista associazionistico, resta senza spiegazioni. Infine, sempre in base alla stessa teoria, nel funzionamento del pensiero verbale dell’adulto evoluto non potremmo vedere se non un movimento per vie associative, continuo e lineare, dalla parola verso il suo significato e dal significato verso la parola. La comprensione del linguaggio consisterebbe in una catena di associazioni che vengono alla mente per l’influenza di immagini note e di parole. L’espressione del pensiero nella parola sarebbe il movimento inverso, sempre per vie associative, dalle rappresentazioni – che corrispondono, sul piano del pensiero, agli oggetti – verso il loro significante verbale. L’associazione presiede a questo legame bilaterale fra due rappresentazioni: una volta il soprabito può farci ricordare la persona che lo porta, un’altra volta è l’aspetto della persona che può richiamarci alla memoria il suo soprabito. Conseguentemente la comprensione del linguaggio e l’espressione del pensiero nella parola in nulla si differenziano dal semplice atto del ricordare per associazioni.
Sebbene l’infondatezza delle teorie associazionistiche sia stata riconosciuta relativamente da molto tempo e dimostrata teoricamente e sperimentalmente, immutata rimane, tuttavia, la considerazione associazionistica della natura della parola e del suo significato. La scuola di Würzburg, che pure si era proposta, come scopo fondamentale, di dimostrare l’impossibilità di ricondurre il pensiero ad una serie di rappresentazioni associativamente collegate e l’impossibilità di render conto dello sviluppo del concatenamento e della memorizzazione dei pensieri mediante la sola legge dell’associazione, e inoltre di dimostrare la presenza di leggi particolari che dirigono il flusso del pensiero, non solo non si preoccupò di rivedere le teorie associazionistiche circa la natura del rapporto fra parola e significato, ma non riconobbe neppure la opportunità di una tale revisione. Essa separò il linguaggio e il pensiero restituendo a Dio quel che era di Dio e a Cesare quel che era di Cesare; liberò il pensiero da qualsivoglia elemento sensibile, lo sottrasse al dominio delle leggi dell’associazione, lo trasformò in atto meramente spirituale, ritornando, con questo, alle concezioni parascientifiche spiritualistiche di Agostino e di Descartes e giunse, in ultima analisi, al più estremo soggettivismo idealistico nel campo delle teorie sul pensiero, quando, superando lo stesso Descartes, dichiarò con le formule del Külpe: «Noi non diciamo soltanto: penso dunque sono, ma anche: il mondo esiste così come noi lo abbiamo posto e definito».2 In tal modo il pensiero come divino era stato restituito a Dio, la psicologia del pensiero cominciò apertamente a muoversi sulle tracce delle idee di Platone, come lo stesso Külpe ebbe a riconoscere. Gli psicologi di questa scuola se da una parte liberarono il pensiero dalla prigionia del sensibile e lo trasformarono in atto del tutto immateriale, spirituale, dall’altra lo separarono dal linguaggio, lasciando quest’ultimo del tutto in balia delle leggi associazionistiche. Il legame tra la parola e il suo significato continuò ad essere considerato come una semplice associazione, anche dopo i lavori della scuola di Würzburg. La parola diventava così la semplice espressione esteriore del pensiero, quasi la sua veste, senza che le si riconoscesse la possibilità di prendere parte più da vicino alla vita interiore del pensiero. Mai come nelle descrizioni degli psicologi della scuola di Würzburg il pensiero e il linguaggio erano stati così profondamente separati l’uno dall’altro. Il superamento dell’associazionismo nel campo del pensiero aveva portato ad un rafforzamento ancora maggiore della interpretazione associazionistica del linguaggio. Quel che era di Cesare era stato restituito a Cesare.
I prosecutori di questo indirizzo psicologico non soltanto non abbandonarono, ma approfondirono e svilupparono ulteriormente queste posizioni. Il Selz, ad esempio, dopo aver denunciato l’infondatezza delle teorie di tipo associazionistico circa il pensiero produttivo, elaborò e pose, al posto di queste ultime, una nuova teoria che rendeva più grave e profonda la frattura tra pensiero e parola, frattura che già si era delineata fin dai primi lavori della scuola psicologica che stiamo esaminando. Il Selz continuò, peraltro, ad esaminare il pensiero senza considerare il suo rapporto col linguaggio e giunse così alla conclusione che il pensiero produttivo dell’uomo e le operazioni mentali dello scimpanzé fossero della stessa natura; questo, perché trascurò l’influenza che la parola ha sul pensiero. Perfino Ach che proprio al significato della parola dedicò un suo lavoro e che per primo si avviò verso un superamento dell’associazionismo, nella formulazione della sua teoria ...

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