Il pianoforte di Einstein
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Il pianoforte di Einstein

Vite e storie in bilico tra Firenze, Europa e America

Marco Ciardi

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Il pianoforte di Einstein

Vite e storie in bilico tra Firenze, Europa e America

Marco Ciardi

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Se gli oggetti potessero parlare potrebbero raccontare molte storie delle persone a cui sono appartenuti, ma anche dei tempi che hanno attraversato.Questo libro racconta l'inedita storia del pianoforte regalato da Einstein alla sorella Maja nel 1931, poi passato nelle mani del pittore Hans Joachim Staude e ora conservato all'Osservatorio Astrofisico di Arcetri.Attraverso fonti e immagini, viene così ricostruito il legame di Einstein con l'Italia, e soprattutto con Firenze, tra scienza, arte e cultura, all'epoca dell'avvento del fascismo, della questione ebraica, delle leggi razziali e della guerra fino all'emigrazione negli Stati Uniti.Una vicenda costellata di avvenimenti a volte meravigliosi, a volte tragici, mai banali. Un'avventura vissuta a fianco delle vite di molte donne e uomini che hanno dovuto confrontarsi con sfide quotidiane ed epocali, accompagnate da un filo conduttore, la musica, che ha legato in maniera indissolubile le loro esistenze.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2021
ISBN
9788820399931

1

Una vita musicale

Albert Einstein nacque a Ulm, cittadina tedesca non molto distante da Monaco di Baviera, il 14 marzo 1879 da Hermann (1847-1902), figlio di Abraham Einstein (1808-1868) ed Helene Moos (1814-1887), e Pauline Koch (1858-1920), figlia di Julius Dörzbacher (1816-1895, la famiglia aveva cambiato il cognome in Koch nel 1842) e Jette Bernheimer (1825-1896). Gli Einstein facevano parte della borghesia benestante ebraica, ma i genitori avevano uno spirito liberale e non erano particolarmente interessati alle questioni religiose. Piuttosto ambivano a essere una famiglia tedesca a tutti gli effetti.
Nel giugno dell’anno seguente gli Einstein si trasferirono a Monaco. Qui Hermann, il quale fino a quel momento aveva lavorato in una ditta di un cugino che produceva piume per materassi, divenne socio di un’azienda elettrotecnica assieme al fratello Jacob (1850-1912).1 Quest’ultimo, laureatosi in ingegneria al Politecnico di Stoccarda, era sposato con Ida Einstein (1865-1922).
Il 18 novembre 1881 nacque Maria, ma tutti l’avrebbero sempre chiamata Maja. Albert resterà molto legato alla sorella (Figura 1). Nel frattempo nacque anche il primo figlio di Jacob e Ida, Robert (1884-1945). Quattro anni dopo sarebbe arrivata Edith (1888-1960). Con i cugini, Albert e Maja trascorsero tutta l’infanzia e la giovinezza.
Nel 1885 Hermann e Jacob si misero in proprio, aprendo la «Elektrotechnische Fabrik». Nell’autunno di quell’anno Albert venne iscritto alla Petersschule, un istituto elementare pubblico di orientamento cattolico, probabilmente accedendo alla seconda classe, nella quale era l’unico ebreo. Più o meno contemporaneamente iniziò anche la sua istruzione musicale. Certamente il fatto che sua madre amasse la musica e fosse una discreta pianista influì su tale decisione, ma non bisogna dimenticare che la conoscenza della musica rappresentava un’esperienza formativa indispensabile per qualsiasi bambino tedesco appartenente al contesto borghese. Nel 1924, scrivendo una biografia del fratello, Maja avrebbe ricordato così quel periodo:
In casa si faceva molta e buona musica. Sebbene le basi di quest’arte siano spesso difficili per i bambini, ciò che minacciava di renderla odiosa al piccolo, egli per talento naturale sviluppò invece un gusto per essa che condusse persino a qualche risultato artistico. Sembra che la disposizione musicale gli sia derivata dal ramo Koch della famiglia e quella matematica e logica dal lato Einstein. Detto per inciso, non è così raro, per quanto questi due campi sembrino essere così distanti, che talento matematico e musicale si riuniscano in una sola persona.2
Albert iniziò ad acquisire confidenza con il violino, ma i primi anni di studio furono contraddistinti da un apprendimento forzato e privo di una vera passione. Può capitare, se si è obbligati allo studio e non si ha un buon maestro:
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Figura 1 – Albert e Maja da piccoli.
Presi lezioni di violino dai sei ai quattordici anni di età, ma non ebbi fortuna con gli insegnanti, per i quali la musica non era altro che un’esercitazione meccanica.3
Nell’ottobre del 1888 Albert iniziò a frequentare il Luitpold Gymnasium di Monaco con ottimi risultati. Quello del cattivo profitto a scuola è uno dei tanti miti che si sono diffusi intorno alla vita di Einstein nel corso degli anni. Vero è invece che negli anni del liceo Albert sviluppò una profonda insofferenza verso l’autorità e i metodi di insegnamento tradizionali, che tarpavano la fantasia e la creatività degli studenti. Per fortuna poteva contare sugli stimoli forniti dallo zio Jacob e dall’amico di famiglia Max Talmey (1869-1941), con i quali discuteva liberamente di scienza e di filosofia.
Sicuramente la musica rappresentò per Albert un modo per avvicinarsi alla libertà e alla bellezza, anche perché qualcosa, dopo i primi anni di studio, era cambiato:
Cominciai a imparare sul serio soltanto intorno ai tredici anni, soprattutto dopo che mi innamorai delle sonate di Mozart. Il tentativo di riprodurne, almeno in una certa misura, il contenuto artistico e la grazia singolare, mi costrinse a perfezionarmi nella tecnica, e il perfezionamento lo conseguii, grazie a queste sonate, anche senza esercitarmi sistematicamente. Io ritengo, tutto sommato, che l’amore sia un maestro più efficace del senso del dovere; nel caso mio, per lo meno, è stato senza dubbio così.4
Einstein non sottovalutava, ovviamente, l’importanza dell’aspetto tecnico nella didattica musicale: come si poteva suonare decentemente, senza apprendere le procedure fondamentali per l’esecuzione? Sarebbe stato come avvicinarsi alla fisica senza conoscere il calcolo differenziale e integrale, che infatti Einstein studiò da solo fra i dodici e i sedici anni.5 Però di una cosa era certo: si impara di più se spinti dalla passione che non forzati dal dovere. E se la passione è per Mozart si può stare certi che alla fine qualcosa di buono lo si imparerà.
Da questo momento in poi il violino diventerà per Albert un inseparabile compagno che chiamerà genericamente con il nome «Lina». Dovunque andrà, non perderà mai l’occasione per suonare, da solo o in compagnia. La musica sarà sempre una parte essenziale della sua vita: «Penso spesso in musica. – dichiarerà al «Saturday Evening Post» nell’ottobre del 1929 – Vivo le mie fantasie in musica. Vedo la mia vita in termini di musica. Il violino è una delle gioie più grandi della mia vita.»6 (Figura 2). In genere, quando non dovrà suonare in formazione, o in pubblico, ma per il proprio godimento personale, Albert seguirà questo schema: «Prima improvviso, e se non fa effetto cerco conforto in Mozart; ma quando improvviso e sembra che ne venga fuori qualcosa, mi occorrono le chiare costruzioni di Bach per andare avanti.»7
Einstein, naturalmente, come tutti i ragazzi tedeschi di allora, iniziò a suonare anche il pianoforte. La pianista di casa era la madre, che amava soprattutto le sonate per pianoforte di Beethoven.8 Maja, che seguirà l’esempio materno diventando una brava esecutrice, ci ha lasciato un ricordo anche di quel periodo:
Sapeva già eseguire sonate di Mozart e Beethoven al violino, accompagnato dalla madre al piano. Egli stesso sedeva al piano e, soprattutto, con arpeggi di tenero sentimento, cercava costantemente nuove armonie e passaggi di propria invenzione.9
Dimitri Marianoff (1889-1950), che sarà genero di Einstein fra il 1930 e il 1937, ci ha lasciato questa testimonianza sulle capacità di improvvisazione di Albert al pianoforte, basata a sua volta sul parere del compositore e direttore d’orchestra Emil Hilb (1890-1969):
Einstein suona anche il piano, ma non è il suo strumento. Comunque, egli ama suonarlo e improvvisare. Le sue improvvisazioni sono caratterizzate da una inusuale lucidità e una sorprendente naturalezza. Sebbene il loro sviluppo, secondo l’opinione di Hilb, risenta tavolta della mancanza di un adeguato bagaglio tecnico, egli non perde mai il controllo sulla forma e sulla bellezza dell’armonia.10
Dopo una prima fase commercialmente favorevole, con l’apertura di impianti elettrici anche nell’Italia settentrionale, a Varese e a Susa, la ditta dei fratelli Einstein andò incontro a numerose difficoltà. Così nel 1893 Hermann e Jacob decisero di chiuderla. Un loro referente italiano, l’ingegnere torinese Lorenzo Garrone,11 li convinse a tentare una nuova avventura imprenditoriale nel Bel Paese, come già lo avevano definito Dante e Petrarca. Nacquero così, nel giorno del quindicesimo compleanno di Albert, il 14 marzo 1894, le «Officine elettrotecniche Nazionali in Pavia, Ing. Einstein, Garrone e C.», il cui obiettivo era quello di fabbricare dinamo e motori elettrici, lampade ad arco e altri dispositivi, nonché di installare impianti di illuminazione elettrica.12 La fabbrica venne installata a Pavia, mentre gli uffici della ditta erano a Milano.
Decidere di trasferirsi in Italia non fu difficile per gli Einstein: qui, infatti, risiedeva da qualche anno anche Jacob Koch (1850-1925), uno dei fratelli di Pauline. Attivo nel commercio di granaglie, come prima di lui il padre Julius (1816-1895), a Zurigo Jacob era stato titolare di un’azienda diretta da Michael Fleischmann (1857-1926). Le strade dei due a un certo punto si erano separate e Jacob aveva deciso di avviare una nuova attività a Genova. Le lettere che giungevano dall’Italia la descrivevano come un «paradiso» ed esercitarono sicuramente un’influenza positiva sulla decisione presa da Hermann e Jacob.13
Nell’autunno del 1894 la famiglia Einstein, tranne Albert, che doveva terminare i suoi studi presso il Gymnasium, andò a risiedere a Milano in via Berchet 2, dove si trovavano anche gli uffici della ditta. Il giovane Einstein tuttavia, mal sopportando la situazione e l’autoritario ambiente scolastico (nonché la prospettiva che se non avesse lasciato la Germania entro i diciassette anni, rinunciando alla cittadinanza, avrebbe dovuto svolgere il servizio militare), con l’intraprendenza che lo contraddistingueva dopo qualche mese si fece rilasciare un certificato medico attestante disturbi di carattere nervoso. Ottenuto il permesso di lasciare la scuola alla fine del 1894,14 Albert raggiunse la famiglia in Italia. Ai genitori, preoccupatissimi per la sua iniziativa, promise che si sarebbe impegnato nello studio in maniera autonoma per tentare l’ammissione al Politecnico di Zurigo, anche se privo della maturità svizzera. Ma, con fermezza, disse loro che era sua intenzione rinunciare alla cittadinanza tedesca.
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Figura 2 – Einstein al violino.
Durante la primavera del 1895 gli Einstein si trasferirono a Pavia in via Ugo Foscolo 11, proprio dove il poeta italiano aveva abitato molti anni prima.15 Come avrebbe ricordato Maja, il Bel Paese esercitò da subito un grande fascino su Albert: «Sebbene dapprima avesse conosciuto soltanto Milano e Pavia, l’Italia, anche con questa limitazione, fece una grossa impressione su di lui. Il modo di vivere, il paesaggio, l’arte, tutto lo attraeva, e più tardi, da lontano, divenne oggetto di grande nostalgia.»16
Gli Einstein trascorsero parte delle vacanze presso Airolo, in Svizzera, ai piedi del passo del San Gottardo. Lì conobbero Luigi Luzzatti (1841-1927), in quel momento ancora docente di Diritto costituzionale all’Università di Padova ma già con una lunga carriera politica alle spalle.17 L’incontro fu probabilmente reso possibile dalle relazioni che gli Einstein avevano con il mondo lombardo dell’imprenditoria e dell’ingegneria.18 Secondo la testimonianza di Maja, Luzzatti, anch’egli di origine ebraica, divenne «un amico paterno»19 di Albert.
Quell’estate, tuttavia, era destinata a trasformarsi in un ricordo indelebile nella memoria di Maja e di Albert per un altro motivo: l’incontro con la diciannovenne Ernestina Marangoni (1876-1972): «Io e mia madre eravamo a fare il bagno a Ticino, quando ci si presentò un professore amico di famiglia venuto a far pratica oculistica presso l’illustre professor Falchi, accompagnato da un giovane che venne presentato a mia madre come Albert Einstein.»20 Così nel 1949 Ernestina avrebbe ricordato il suo incontro con Albert, propiziato da Otto Neustätter (1871-1943), un giovane laureato in medicina all’Università di Monaco che era venuto a Pavia per perfezionarsi in oftalmologia con Francesco Falchi (1848-1946), grazie all’intermediazione di Jacob Einstein.21 Ancora Ernestina: «Era un giovanotto smilzo e scialbo, pallido in viso coi capelli di un chiaro castano a piccoli ricci e gli occhi di un grigio oscuro, senza traccia di baffi, un viso gentile e quasi femmineo. Nessuna pretesa di eleganza. Parlava l’italiano con un certo sforzo, ma riusciva sempre a farsi capire.»22
La giovane Marangoni faceva parte di una famiglia borghese pavese che abitava in una villa in stile veneziano presso il colle del Pistornile, la parte antica di Casteggio, una cittadina dell’Oltrepò Pavese.23
Ernestina era una ragazza intelligente, interessata sia alle scienze sia alle lettere, e parlava bene anche il tedesco. Ma, soprattutto, amava la musica e si destreggiava abilmente al pianoforte. Quanto bastava per far nascere una simpatia fra lei e Albert, che si incontrarono qualche giorno dopo a Casteggio, assieme all’amico Otto. Di lì a poco si formò una compagnia di amici, comprendente una cugina di Ernestina, Giulia Maj,24 Edmondo Pelizza, il futuro marito della giovane Marangoni (i due si sposeranno nel 1903) e,...

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