La psicologia dei soldi
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La psicologia dei soldi

Lezioni senza tempo sulla ricchezza, l'avidità e la felicità

Morgan Housel

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La psicologia dei soldi

Lezioni senza tempo sulla ricchezza, l'avidità e la felicità

Morgan Housel

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Saperci fare con i soldi non dipende soltanto dalle informazioni a nostra disposizione ma anche, e soprattutto, da come ci comportiamo. E il comportamento è difficile da insegnare, anche alle persone più intelligenti.Spesso pensiamo al denaro – agli investimenti, alla finanza personale, alle decisioni d'affari – come a una questione matematica: un campo di studi in cui i dati e le formule ci dicono esattamente cosa dobbiamo fare. Nel mondo reale, però, non prendiamo le decisioni in materia economica consultando un foglio di calcolo. Le prendiamo la sera a cena o in una sala riunioni, dove si mescolano la storia personale, la visione del mondo propria di ciascuno, l'ego, l'orgoglio, il marketing... e i motivi più imprevedibili.In questo libro, l'autore pluripremiato Morgan Housel condivide 19 brevi narrazioni sugli strani modi in cui pensiamo ai soldi, aiutandoci a comprendere meglio uno degli argomenti più importanti nella vita di tutti e spiegando, nel contempo, come risparmiare, investire e far fruttare i nostri risparmi.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2021
ISBN
9788836005192

1.

Nessuno è pazzo

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Le vostre esperienze personali con il denaro rappresentano forse lo 0,0000001 per cento degli eventi accaduti nel mondo, ma circa l’80 per cento di come pensate che il mondo funzioni.
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VOGLIO PARLARVI DI un problema. Forse riuscirò a farvi sentire meno in colpa per il modo in cui gestite i vostri soldi e meno inclini a giudicare gli altri per il modo in cui gestiscono i loro.
La gente fa pazzie con il denaro. Ma nessuno è pazzo.
Ecco il punto: persone di generazioni diverse, educate da genitori diversi con redditi e valori diversi, in parti diverse del mondo, nate in economie diverse, inserite in diversi mercati del lavoro, con diversi incentivi e diversi gradi di fortuna, imparano lezioni molto diverse.
Ciascuno ha la sua esperienza di come funziona il mondo. E ciò di cui facciamo esperienza lascia più il segno rispetto a ciò che impariamo di seconda mano. Perciò tutti noi – io, voi, chiunque – nutriamo opinioni sul funzionamento del denaro che variano moltissimo da persona a persona. Quello che sembra folle a voi può apparire sensato a me.
Una persona cresciuta in povertà pensa al rischio e al guadagno in un modo che sarebbe impossibile per il figlio di un ricco banchiere.
Una persona cresciuta quando l’inflazione era alta ha avuto un’esperienza diversa dalla persona cresciuta in un periodo in cui i prezzi erano stabili.
Il broker che ha perso tutto nella Depressione ha vissuto un evento che sarebbe inimmaginabile per l’imprenditore che ha fondato una tech company nei gloriosi anni Novanta.
Un australiano, che non vede una recessione da trent’anni, ha accumulato esperienze che sono precluse agli americani.
E così via. La lista è infinita.
Voi sapete cose sui soldi che io ignoro e viceversa. Affrontate la vita con diverse convinzioni, obiettivi e previsioni rispetto a me. Non è perché uno di noi sia più intelligente dell’altro o disponga di informazioni migliori, ma perché abbiamo avuto vite diverse, plasmate da esperienze differenti e altrettanto persuasive.
Le vostre esperienze personali con il denaro rappresentano forse lo 0,00000001 per cento di tutti gli eventi accaduti nel mondo, ma circa l’80 per cento di come pensate che il mondo funzioni. Quindi, due persone di pari intelligenza possono essere in disaccordo su come e perché si verifichino le recessioni, su come sia meglio investire i propri soldi, su come sia opportuno stabilire le priorità, su quanti rischi correre e così via.
Nel suo libro sull’America degli anni Trenta, Frederick Lewis Allen scrive che la Grande Depressione “lasciò un segno indelebile su milioni di americani per il resto della loro vita.” Ma c’è stata una vasta gamma di esperienze. Venticinque anni dopo, quand’era candidato alla presidenza, John F. Kennedy si sentì chiedere da un giornalista cosa ricordasse della Depressione. Rispose:
Non ho una conoscenza diretta della Depressione. La mia famiglia aveva uno dei patrimoni più ingenti al mondo, e a quell’epoca eravamo più facoltosi che mai. Avevamo case più grandi, più personale domestico, viaggiavamo di più. Forse l’unica esperienza diretta che ho avuto è stata quando mio padre ha assunto alcuni giardinieri in più solo per dar loro un impiego, perché potessero mangiare. Non ho capito davvero cosa fosse la Depressione finché non l’ho studiata a Harvard.
Questo fu un tema di primo piano nelle elezioni del 1960. La gente pensava: come possiamo affidare il Paese a una persona che non conosce l’evento più importante che ha segnato l’economia nell’ultima generazione? A salvare JFK fu il fatto che avesse combattuto nella Seconda guerra mondiale: l’altro retaggio emotivo più diffuso della generazione precedente, che il suo principale avversario Hubert Humphrey non aveva.
La difficoltà per noi è che, per quanto possiamo studiare e tenere la mente aperta, è impossibile riprodurre fedelmente la forza della paura e dell’incertezza.
Posso leggere le testimonianze di chi ha perso tutto durante la Depressione, ma non avrò mai le cicatrici emotive di chi l’ha vissuta davvero. E costui non riuscirà a immaginare perché uno come me possa detenere titoli azionari senza avere paura. Io e lui vediamo il mondo attraverso una lente diversa.
I calcoli matematici possono ricostruire la storia dei crolli del mercato azionario, ma non possono descrivere la sensazione di tornare a casa, guardare i nostri figli e chiederci se abbiamo commesso un errore che influenzerà la loro vita. Quando studiamo la storia ci sembra di capire qualcosa, ma finché non l’abbiamo vissuta e non ne abbiano sofferto personalmente le conseguenze, è possibile che non la capiamo a sufficienza da modificare il nostro comportamento.
Tutti pensiamo di sapere come funziona il mondo ma, in realtà, ne conosciamo solo una piccolissima parte.
Come dice l’investitore Michael Batnick: “Alcune lezioni devono essere vissute per essere capite.” Siamo tutti vittime di quella verità, ognuno a modo suo.
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Nel 2006 gli economisti Ulrike Malmendier e Stefan Nagel, del National Bureau of Economic Research, hanno analizzato cinquant’anni di archivi del Sondaggio sulle finanze dei consumatori (Survey of Consumer Finances), un ritratto dettagliato di come gli americani usano i loro soldi.4
In teoria prendiamo le decisioni di investimento sulla base dei nostri obiettivi e delle opzioni che abbiamo a disposizione in un certo momento.
Ma non è così che ci comportiamo davvero.
Gli economisti hanno scoperto che le decisioni di investimento che prendiamo nell’arco della vita sono fortemente connesse alle esperienze che abbiamo vissuto nella nostra generazione, e in particolare nella prima parte dell’età adulta.
Se siete cresciuti quando l’inflazione era alta, più avanti nella vita avrete investito meno in obbligazioni rispetto a chi è cresciuto quando l’inflazione era bassa. Se durante la vostra giovinezza il mercato azionario era forte, da adulti avrete investito maggiormente in azioni rispetto a chi è stato ragazzo quando i titoli erano deboli.
Scrivono i due studiosi: “I nostri risultati suggeriscono che la tolleranza al rischio del singolo investitore dipende dalla sua storia personale.”
Non dall’intelligenza, dal livello di istruzione o dalla sofisticatezza. Solo dalla pura fortuna di essere nati in un certo tempo e in un certo luogo.
Nel 2019 il Financial Times ha intervistato Bill Gross, il famoso gestore di obbligazioni. “Gross ammette che probabilmente non si troverebbe dov’è oggi se fosse nato dieci anni prima o dieci anni dopo”, diceva l’articolo. La carriera di Gross è coincisa quasi perfettamente con un calo generazionale dei tassi d’interesse, che ha messo il vento in poppa ai prezzi delle obbligazioni. Questo genere di evento non influenza soltanto le opportunità che incontriamo, ma anche il modo in cui le interpretiamo. Per Gross, le obbligazioni erano macchine sforna-soldi. Alla generazione di suo padre, cresciuta con un’inflazione più alta, potevano apparire come inceneritori di banconote.
Il rapporto con il denaro può variare molto anche tra persone che appaiono piuttosto simili tra loro.
Prendiamo i titoli azionari. Se siete nati nel 1970, lo S&P 500 al netto dell’inflazione è quasi decuplicato nell’arco della vostra adolescenza e fino ai vostri trent’anni. È un rendimento straordinario. Se siete nati nel 1950, invece, il mercato è rimasto del tutto stabile tra i vostri 13 anni e i 30, al netto. Due gruppi di persone, che differiscono tra loro soltanto per l’anno di nascita, maturano idee completamente diverse su come funziona il mercato azionario:
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Lo stesso vale per l’inflazione. Se siete nati in America negli anni Sessanta, l’inflazione ha fatto triplicare i prezzi durante la vostra adolescenza e fino ai vostri trent’anni: l’età in cui si è giovani e impressionabili, in cui si accumula un patrimonio di conoscenze su come funziona l’economia. È un aumento molto significativo. Ricorderete le file per la benzina e gli stipendi che non arrivavano a fine mese. Ma se siete nati nel 1990, nel corso della vostra vita l’inflazione è sempre rimasta così bassa che probabilmente non ci avete neppure fatto caso.
Nel novembre 2009, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti si aggirava intorno al 10 per cento. Ma il tasso di disoccupazione per i maschi afroamericani tra i 16 e i 19 anni senza un diploma di scuola superiore era pari al 49 per cento. Per le donne caucasiche laureate sopra i 45 anni era al 4 per cento.
I mercati azionari in Germania e in Giappone furono spazzati via durante la Seconda guerra mondiale. Intere regioni vennero bombardate.
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Alla fine della guerra la produzione agricola tedesca riusciva a fornire ai cittadini del Paese non più di mille calorie al giorno. Negli Stati Uniti, invece, il mercato azionario era più che raddoppiato tra il 1941 e la fine del 1945, e l’economia non era mai stata così forte da quasi vent’anni.
Non dovremmo aspettarci che tutte queste persone nutrano la stessa opinione sull’inflazione, o sul mercato azionario, o sulla disoccupazione, o sui soldi in generale.
Non dovremmo aspettarci che reagiscano alla stessa maniera alle informazioni sui temi finanziari. Non dovremmo pensare che siano influenzati dagli stessi incentivi.
Non dovremmo aspettarci che accettino consigli dalle stesse fonti.
Non dovremmo aspettarci che siano d’accordo tra loro su quali sono le cose importanti, cosa vale la pena di fare, cosa è probabile che accada è qual è la strada migliore da imboccare.
La loro idea del denaro si è formata in mondi diversi. Di conseguenza, un’opinione che un gruppo di persone considera assurda può apparire perfettamente sensata a un altro gruppo.
Qualche anno fa il New York Times ha pubblicato un articolo sulle condizioni di lavoro in Foxconn, il gigantesco produttore di elettronica di Taiwan. La situazione di molti operai è atroce, e i lettori si sono giustamente indignati. Una reazione affascinante, però, è stata quella del nipote di un’operaia cinese, che ha commentato sotto l’articolo:
Mia zia ha lavorato per vari anni in quelli che gli americani chiamano sweat shop. Era un lavoro duro. Turni massacranti, pochi soldi, cattive condizioni di lavoro. Sapete cosa faceva mia zia prima di andare a lavorare in una di quelle fabbriche? Era una prostituta.
Ai miei occhi l’idea di lavorare in uno sweat shop rappresenta un miglioramento rispetto alla vita di prima. So che mia zia preferisce essere “sfruttata” da un capitalista malvagio in cambio di un paio di dollari piuttosto che lasciarsi sfruttare da molti uomini per pochi spiccioli.
Ecco perché non mi piace il modo di pensare di molti ...

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