Le mappe della disuguaglianza
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Le mappe della disuguaglianza

Una geografia sociale metropolitana

Keti Lelo, Salvatore Monni, Federico Tomassi

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Le mappe della disuguaglianza

Una geografia sociale metropolitana

Keti Lelo, Salvatore Monni, Federico Tomassi

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Quando si parla di Roma – come esempio per antonomasia di una realtà urbana complessa e stratificata, sintesi del difficile cammino delle metropoli in Europa e nel mondo – spesso si cade nella trappola dei luoghi comuni, della visione stantia di una città che non c'è più, dell'inconsapevolezza di come cambiano i cittadini e dove si spostano. Oggi, nell'era della connettività universale, una volta che ci si è allontanati dai percorsi più battuti, a Roma si può avere la sensazione di fare un salto nel buio e, un po' come accadeva ai navigatori del XV secolo (loro sì, per colpa di mappe inesatte), di imbattersi in nuove terre, piene di problemi ma anche di potenzialità. Il volume – costruito come un percorso che si snoda attraverso una dettagliata serie di mappe a colori – traccia una geografia delle disuguaglianze tra i quartieri della capitale in un confronto inedito e prezioso con le altre tre principali città metropolitane italiane: Milano, Napoli e Torino. Gli autori, mossi da un grande rigore scientifico e da una forte passione civile, ci restituiscono la complessità sociale e spaziale della capitale, mostrandone le tante sfaccettature e le disuguaglianze che la attraversano. Una complessità con cui occorre fare i conti e da cui ripartire. Come osserva Walter Tocci nel denso saggio a chiusura del volume, Roma offre di sé facce mutevoli, come un caleidoscopio, «dando la percezione dell'inesorabile disorganicità. Eppure, alle cangianti visioni di Roma sono legate anche le speranze per la sua rinascita». Accanto a Roma, dunque, e a confronto con Roma, altre grandi realtà: Milano, Napoli e Torino. Di queste quattro città metropolitane si passano al setaccio i quartieri e i comuni dell'hinterland su temi che interessano da vicino i cittadini: dai trasporti alla scuola, dal turismo all'ambiente, dalla sanità alla presenza di stranieri, e sui quali quotidianamente grava il peso delle disuguaglianze socio-economiche. Questi estesi territori urbanizzati, altamente diversificati, poco conosciuti e in continua evoluzione, necessitano di essere indagati a fondo con strumenti capaci di mettere a fuoco problemi, criticità e differenze. Per questo motivo, il lavoro non si limita all'analisi delle loro caratteristiche in termini aggregati, ma indaga le città attraverso indicatori con un livello di dettaglio territoriale molto più fine: le 155 zone urbanistiche di Roma, gli 88 nuclei di identità locale di Milano, le 94 zone statistiche di Torino e i 30 quartieri di Napoli. L'auspicio è che queste mappe siano consultate da tanti, ma soprattutto da quelli che le politiche le devono pensare e disegnare.

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Information

Year
2021
ISBN
9788855222556

Il caleidoscopio romano

Postfazione di Walter Tocci

Chi pensa di conoscere Roma sarà rimasto sorpreso dalla lettura di questo libro. Non solo per i singoli risultati, ma per la varietà dei fenomeni rappresentati sulle mappe.
Gli autori ci restituiscono la complessità sociale e spaziale di Roma. E se ne ha un riscontro perfino nel loro modo di lavorare che intreccia competenze e sensibilità diverse, formando un affiatato collettivo di ricerca. Sono mossi da un lato dal rigore scientifico e dall’altro dalla stringente esigenza di far sapere ai cittadini come stanno davvero le cose. Mapparoma è un linguaggio che tiene insieme la curiosità della ricerca e la passione civile per le sorti della città.
Pur nella freddezza dei numeri, affiora un appello accorato affinché il compito repubblicano del rimuovere le diseguaglianze diventi davvero una priorità politica. È merito degli autori avervi insistito da molti anni con le loro ricerche sulla condizione della periferia romana, anche quando quella priorità era stata dimenticata perfino a sinistra.
Nella pubblicistica e negli studi è di moda dare per superato il dualismo centro-periferia. Rischia però di diventare un alibi o un’illusione senza il chiarimento del concetto. Se lo intendiamo come diseguaglianza sociale non solo non è esaurito, ma è lacerante. La prima mappa già dice tutto: i livelli di istruzione quasi dieci volte più bassi a Tor Sapienza rispetto ai Parioli sono una misura emblematica dell’ingiustizia sociale [#1]. E spiegano tutte le ingiustizie illustrate dalle mappe successive: reddito, occupazione e salute [#12].
La D della diseguaglianza è connessa alle altre tre D: la distanza, la densità e la durata. Sono più poveri di opportunità e di relazioni i quartieri più lontani, meno densi e meno storicizzati.
Il dualismo è, invece, superato se lo si intende come forma spaziale. Le mappe dimostrano la molteplicità degli insediamenti stratificatisi in una dissennata espansione urbanistica, che ha quasi raddoppiato il consumo di suolo da quando la demografia è diventata stazionaria [#8]1. Questa realtà non può essere ridotta a una semplice dicotomia centro-periferia. La stessa parola periferia appiattisce in una definizione generica l’irriducibile eterogeneità spaziale e sociale.
La molteplicità viene esaltata da Mapparoma, non solo per la varietà dei contenuti presi in esame, ma per la forma seriale delle sue rappresentazioni, la quale suggerisce una comprensione generale della città senza cadere prigioniera delle visioni settoriali. La mappa è pur sempre una finzione che si arroga la verità2, ma qui la presunzione viene smascherata dal rapido avvicendarsi delle altre mappe. Come in un caleidoscopio si ammira una figura perché non si può mai considerarla definitiva, ed è il fluire delle immagini a dare un senso alla visione.
Mapparoma, quindi, ci offre una bussola per navigare nella complessità romana cogliendo le differenze e le connessioni. E consente a ciascuno di noi di organizzare il viaggio secondo le proprie preferenze.
Di seguito utilizzo pienamente questa libertà, rielaborando le mappe in una descrizione della città che cerca di tenere insieme le forme spaziali e le loro genealogie, i modi di vita e i loro immaginari collettivi, le dinamiche elettorali e le loro cause politiche. È una ricerca di nuove chiavi di lettura che possano sostituire la semplificazione centro-periferia. Il lettore si riposerà dalla fatica dei numeri, ma si troverà davanti un gioco di figure geometriche – cerchi, triangoli e punti – che disegnano le diverse immagini della città.
Comincio con i cerchi, riprendendo con qualche variazione le fasce urbane mostrate nell’introduzione a questo libro (si veda in particolare la mappa a p. XIV), dove la città storica viene considerata unitariamente, in coerenza con l’omogeneo comportamento statistico. Invece la trattazione che segue, improntata più sugli aspetti qualitativi, distingue due parti – l’interno delle Mura Aureliane e i tessuti entro l’anello ferroviario – nominandole tramite i rispettivi impianti stradali3: i vicoli dei rioni e le maglie continue della città otto-novecentesca. La terza corona coincide con la periferia storica e viene nominata con le consolari. Infine, le due ultime corone – la periferia anulare e la periferia extra-Gra – che Mapparoma tiene distinte ancora per ragioni statistiche, di seguito vengono unificate, poiché nella descrizione qualitativa il Grande raccordo anulare non è un confine, ma è la logica insediativa di quella parte di città4. Non è un caso se le corone moderne si attestano sui confini dei piani regolatori del Novecento – quello di Sanjust del 1909, il migliore in assoluto, quello di Piacentini del 1931 e quello di Piccinato del 1962. Anche quando fallisce, l’urbanistica lascia segni indelebili nel tessuto urbano.

I vicoli

Tanto è superata la dicotomia centro-periferia che proprio il centro storico mostra i segni di un’incipiente periferizzazione (Lanzetta 2018, p. 50). In virtù di una storia millenaria il suo carattere peculiare è la differenza. Non solo verso l’esterno, rispetto a tutte le città del mondo, ma anche al proprio interno, per la mirabile stratificazione di architetture, di stili e di tessuti. Non a caso Sigmund Freud per rappresentare la psiche utilizzò il paesaggio archeologico romano, stabilendo un’analogia tra gli strati di memoria della persona e della città (Freud 2003, p. 205).
La città di pietra mantiene la sua molteplicità perché, almeno finora, i caratteri fisici sono tutelati, più o meno bene5. Ma la forma di vita è oggi investita da una tendenza omologante che agisce come una pialla sulle increspature degli antichi rioni e avvicina il centro storico a certi aspetti stranianti della periferia.
La prima causa è la diminuzione dei residenti. Si viene a perdere quel formicolante uso quotidiano che alimenta l’aspetto cangiante dei luoghi. È un processo iniziato tanto tempo fa, già nei primi anni sessanta, poi accentuato dalla trasformazione terziaria. Oggi però la dinamica prende nuovo vigore con le trasformazioni di residenze in alloggi per turisti, definite dall’orribile neologismo airbnbificazione. In alcuni rioni circa il 20% delle abitazioni perde l’ordinario uso residenziale e aumenta i valori immobiliari del patrimonio circostante, determinando ulteriori espulsioni di abitanti (Celata 2017)6.
Prosegue l’autolesionismo di un modello turistico concentrato in pochi attrattori, che genera l’ingolfamento dei flussi e determina negli ultimi anni una costante riduzione del tempo di permanenza (Emiliani 2019). Gli itinerari più frequentati sono omologati alla funzione turistica e le altre aree sono esposte all’incuria. Nessuno, né il pubblico né il privato, organizza un’offerta distribuita di fruizione e di servizi, che sarebbe la più adeguata alla configurazione reticolare dei beni culturali romani.
Anche il commercio contribuisce a rafforzare questa direzione in senso negativo. I negozianti hanno reagito alla competizione degli ipermercati abbassando la qualità dell’offerta. L’accesso limitato in automobile avrebbe dovuto sconsigliare i consumi di massa, per tentare, invece, la via dell’offerta di nicchia e di qualità. Ad aggravare il fenomeno c’è la criminalità, che opera proprio sui bassi livelli commerciali per riciclare il denaro sporco.
Tutto ciò è la conseguenza dell’assenza di un ambizioso progetto di governo per il centro storico. Non solo mancano iniziative dello Stato e del Comune, ma il tema è scomparso perfino dal dibattito pubblico. Negli ultimi tempi l’argomento più discusso è stato il riparto degli introiti dei biglietti del Colosseo.
In passato non sono mancati i progetti, ma oggi sono stati dimenticati, proprio mentre diventavano più fattibili di ieri. La politica di Vittoria Calzolari per il ritorno della residenza a Tor di Nona e a San Paolo alla Regola, già negli anni settanta, era un’idea tanto coraggiosa che gli artisti la rappresentarono in un murales con l’asino che vola. Non apprezzando questo animale amico dell’uomo, Le Corbusier, nella conferenza romana del 1934, per ingraziarsi Mussolini celebrò la via dell’Impero e la distruzione dei vicoli, annunciando che la strada dell’automobile avrebbe preso il posto del cammino dell’asino7.
Oggi la politica della residenza si potrebbe attuare su ampia scala utilizzando i tanti immobili pubblici dismessi. Ad esempio, si potrebbero trasformare le caserme in abitazioni per le giovani coppie, riportando il vociare dei bambini negli antichi rioni. E ancora meglio nell’insieme della città storica, ad esempio riprendendo il progetto di riuso delle caserme di via Guido Reni (Caudo 2017c; Baioni 2017a).
Quarant’anni fa il Progetto Fori fu promosso da Luigi Petroselli sulla base degli studi di Adriano La Regina, Leonardo Benevolo, Italo Insolera e Antonio Cederna8. Oggi sarebbe possibile attuarlo. È ormai conclusa la campagna di scavi archeologici con un formidabile avanzamento degli studi di Roma antica. Ma dell’investimento in conoscenza quasi nulla è stato restituito ai cittadini e ai turisti: l’area appare come un cratere, non sono disponibili informazioni adeguate, le sistemazioni sono rabberciate, la separazione dal tessuto urbano è perfino accentuata rispetto all’assetto degli anni trenta. Il sindaco Marino ha eliminato il traffico automobilistico, con un provvedimento improvvisato che però potrebbe essere completato fino all’eliminazione di via dei Fori, uno stradone a sei corsie come il Gra e ormai inservibile per la mobilità. In futuro, con il proseguimento dei lavori della metro C e il prolungamento del tram Otto, è possibile pedonalizzare tutta l’area centrale. I Fori possono tornare all’antica funzione di piazze, aperte ai cittadini e connesse ai vicoli dei rioni rinascimentali e barocchi. Nella città storica si può smantellare l’asfalto e realizzare uno spazio trampedonale senza automobili (Tocci, Insolera, Morandi 2008, pp. 53-60). Si potrebbe anche ricostruire tutta la pavimentazione a sampietrini, che è la tecnologia più efficace e duratura, se attuata con la sapienza degli antichi mestieri9.
Quando si rinuncia a progettare un luogo carico di storia non si realizzano né le grandi né le piccole opere, ma si scivola inesorabilmente verso la banalizzazione. Se ne è avuto un esempio con il musical del Divo Nerone andato in scena sul Palatino nel giugno del 2017 in una mastodontica installazione in tubi Innocenti che avrebbe sfigurato perfino nelle borgate abusive. È stato il monumento della tendenza alla periferizzazione del centro storico.

Le maglie

La seconda corona è compresa tra le Mura Aureliane e l’anello ferroviario. È un tessuto compatto, composto da tipologie diverse che vanno da quelle ottocentesche a quelle del secondo dopoguerra, sostenuto da maglie stradali continue e impreziosito dalle ville storiche. Si può considerare la parte migliore per qualità urbana e per dotazione dei servizi, ma è anche quella più affaticata dalla concentrazione terziaria. Questa ha stravolto l’originario uso residenziale pianificato con perizia e saggezza da Edmondo Sanjust di Teulada, su incarico del sindaco Nathan. Nonostante le varianti successive si è mantenuto l’equilibrio progettato tra le tipologie edilizie e l’impianto urbano. Ancora oggi lo si avverte passeggiando in quelle strade, poiché la loro ampiezza e l’altezza dei palazzi rimangono nella medesima proporzione pur mutando a ogni scorcio.
Solo in questa piccola area, ma dello stesso ordine di grandezza del territorio comunale milanese, Roma possiede la struttura propriamente urbana; il resto è costituito da insediamenti discontinui e frammentati a densità decrescente verso l’esterno. Per questo motivo è l’unica corona ad avere una forma adeguata al trasporto pubblico e una discreta dotazione infrastrutturale [#10]. Secondo uno studio del Comune10, se venisse completata la linea C e realizzata la D da Salario a Portuense, i parametri di mobilità raggiungerebbero i livelli delle migliori città europee.
La corona delle maglie è il campo di mediazione tra centro e periferia. Ha assorbito molte funzioni direzionali e professionali dal centro ed è diventata una piattaforma di servizio per la periferia nel commercio, nella salute, nella cultura [#9].
È la città continua, non solo per la forma compatta, ma per una certa attitudine alla mediazione. I suoi confini – le mura e l’anello ferroviario – non chiudono, ma aprono le relazioni con le altre parti di città.
Le mura sono più visibili dai quartieri moderni esterni che dai rioni centrali (Jemolo 2018). In intra-moenia sono spesso assorbite nelle ville o addossate ai palazzi o affacciate su vie anguste. Solo in extra-moenia campeggiano sui viali perimetrali – non sempre rispettosi dell’antico – e attribuiscono un tono aulico al paesaggio urbano, riverberando un’inusuale solennità sulla vita quotidiana dei quartieri limitrofi: il Bastione Ardeatino, viale Metronio, Piramide, Porta Asinaria, San Lorenzo, Porta Pia e corso d’Italia (Criconia 2007).
Al contrario delle mura, l’anello ferroviario è tanto assorbito dalla funzione da non disporre di altre energie per la produzione simbolica. È un codice noto più ai pianificatori che ai cittadini. Aspira a nascondersi nel vallo, e infatti il passeggero, dal finestrino del treno, vede solo il retro dei palazzi, come se la città avesse voltato le spalle alla ferrovia. A dispetto della ...

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