Le due chiese
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Le due chiese

Fabrizio Mastrofini

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Le due chiese

Fabrizio Mastrofini

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"A livello sociale la Chiesa è super-presente contro aborto ed eutanasia e per la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, per il matrimonio indissolubile, contro le sperimentazioni in bioetica. Invece è del tutto assente sui grandi drammi che riempiono le pagine dei giornali e le televisioni: i clandestini, i delitti efferati, la perdita del lavoro, l'ingiustizia sociale. A parte vaghi e generici appelli, la Chiesa in Italia sembra distante e lontana dai problemi del presente."Due spettri gemelli prendono sottobraccio la Chiesa cattolica in Italia.Il primo chiama in causa il rapporto con la politica e la società. Si è sviluppato dopo la dissoluzione del partito cattolico negli anni Novanta e con la scelta dei vescovi di tenere direttamente le fila dei rapporti con la politica e le istituzioni, fino a fornire indicazioni concrete di voto. Rapporti e indicazioni che hanno privilegiato in maniera strumentale l'elettorato cattolico nell'area politica di centro-destra, ma hanno avuto l'effetto di un silenzio fragoroso sulla crisi etica della vita pubblica e sociale del paese.Il secondo spettro soffia potente per cancellare la strada nuova aperta dal Concilio Vaticano II. Nel lontano 1965 si era delineata l'importanza di un diverso e consapevole ruolo dei laici, invece negli ultimi vent'anni è stata ratificata la subalternità dei laici rispetto alle scelte e alle decisioni prese dal vertice dell'episcopato. L'associazionismo è diventato strumento delle decisioni prese in altra sede dai vescovi.I due spettri sono gemelli, rovesci del medesimo problema che chiama in causa il difficile rapporto con la società italiana in rapido mutamento. La verticale crisi di credibilità mette in discussione tutto questo e impone una rivisitazione profonda della presenza della Chiesa in Italia. Ma quale Chiesa? Le pagine che seguono offrono una radiografia completa dell'articolata e capillare struttura della presenza ecclesiale italiana. Come una sorta di mappa consentono di cogliere il percorso sotterraneo che scorre non solo dietro i dibattiti suscitati, di volta in volta, dalle prese di posizione dell'episcopato ma anche sotto i mutamenti strutturali della società italiana.

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Questioni eticamente sensibili

La presenza della Chiesa e della Santa Sede in Italia configura una particolarità unica in cui il paese vive. Se da un lato la CEI ha vita propria, come tutte le conferenze dei vescovi del mondo, dall’altro lo stretto rapporto che la lega alla Santa Sede rende inestricabile il nodo di una doppia presenza. Sancita anche dallo stesso statuto della CEI, che vede il proprio presidente nominato dal papa, ed anche il segretario generale, a differenza di quanto avviene negli altri paesi del mondo, in cui sono i vescovi a scegliere il proprio vertice. Pertanto in Italia la linea dettata dalla CEI coincide ed è spesso rinforzata da quella del Vaticano, considerando che sui temi rilevanti per il dibattito politico e sociale, gli stessi cardinali di curia possono intervenire e lo stesso segretario di stato vaticano può esprimere la sua opinione.

Una distinzione da chiarire

Tenendo ferma la distinzione tra CEI e Santa Sede, è evidente che molte volte quando il papa parla di problemi etici si tende a leggere il suo intervento in chiave di politica italiana. Se si rivolge ai vescovi di un paese latinoamericano in visita in Vaticano e sottolinea l’importanza di un impegno a tutela della famiglia e contro le tendenze divorziste ed abortiste eventualmente presenti nel paese in questione, la lettura che viene fatta del discorso può risentire del dibattito interno italiano dando al testo una piega che in origine non aveva.
D’altra parte è innegabile che i temi “eticamente sensibili” vedono negli ultimi anni una presenza più decisa della Santa Sede e quindi delle conferenze episcopali che ne devono seguire le indicazioni contestualizzandole nella realtà del paese. Inoltre per il papa ci sono diverse occasioni in cui, come vescovo di Roma, ha la possibilità – nella sua concezione, l’obbligo – di intervenire sui temi rilevanti per l’Italia. A inizio d’anno quando riceve i rappresentanti delle istituzioni locali: sindaco di Roma, presidente della provincia, presidente della regione; quando partecipa ad attività della diocesi come i convegni su temi ecclesiali e sociali; quando parla ai vescovi italiani che una volta l’anno si riuniscono in assemblea plenaria in Vaticano; nel messaggio di Pasqua e di Natale; nelle molteplici occasioni che possono scaturire da un viaggio in qualche diocesi italiana o parlando a gruppi di fedeli che dalle diocesi italiane vengono ricevuti in udienza. A ciò si può aggiungere il contatto tra il segretario di stato ed i giornalisti, quando il primo compie qualche attività pubblica e dunque c’è l’occasione per rivolgergli domande su temi legati all’attualità, ecclesiale o politica che possa essere.

La lettura della storia

Gli interventi dei vescovi italiani e del papa insistono sui temi “eticamente sensibili”: difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale, dunque no ad aborto ed eutanasia, no alla fecondazione ed alla sperimentazione in campo bioetico; difesa del matrimonio tra un uomo e una donna secondo la dottrina della Chiesa che ne fa un sacramento, dunque no alla separazione ed al divorzio; all’interno del matrimonio va praticata una cultura di apertura alla vita, dunque no a qualsiasi forma di contraccezione meccanica1.
La Chiesa è contraria al riconoscimento giuridico delle unioni di fatto e sottolinea, nei suoi documenti, che vale soltanto il matrimonio come sacramento tra due persone di sesso diverso, con gli effetti giuridici prodotti dallo sposarsi in chiesa, per conseguenza del Concordato. Si sottolinea, rispetto alle coppie di fatto, che nel matrimonio come istituzione c’è qualcosa che va al di là dell’attrazione iniziale perché le persone decidono del senso della loro relazione; l’impegno formalizzato aiuta ad inserire il rapporto nella dinamica di una serie di norme giuridiche che si vogliono a tutela dei due coniugi e della famiglia che costituiscono; infine chiama in causa lo Stato, coinvolto nel garantire il bene comune, dei coniugi e della famiglia, però anche dell’insieme delle famiglie e in definitiva della collettività.
Su questi argomenti, che a fasi alterne provocano polemiche e dibattiti accesi, le posizioni non sono però univoche. Ad esempio Giampaolo Dianin, docente di teologia morale alla Facoltà Teologica del Triveneto, sottolinea la difficoltà che ha la Chiesa a farsi comprendere di fronte alla mutata sensibilità contemporanea. E dunque un atteggiamento rigido o di chiusura risulterebbe soltanto controproducente. La questione del riconoscimento delle coppie di fatto, scrive, “non piomba addosso alla società dall’alto” ma “trova dentro la cultura e i nuovi stili di vita delle persone il suo centro propulsore”. Secondo il teologo, alla chiarezza dottrinale deve unirsi la consapevolezza che il pensiero ecclesiale è diventato largamente minoritario nella società, non più condiviso. “La Chiesa non può pretendere che lo Stato diventi garante di alcuni valori che non sono più evidenti e che lei stessa fa fatica a difendere e a promuovere all’interno della società e tra gli stessi cristiani.” Non solo:
anche se lo Stato, per la scelta di una certa maggioranza, dovesse rimandare un riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, la Chiesa non può sentirsi a posto. La situazione italiana, dobbiamo dirlo con chiarezza, va verso gli standard europei e quindi c’è da aspettarsi che il futuro sarà sempre più abitato da questi fenomeni. Non sarà un momentaneo rifiuto a legiferare su questi temi a frenare tale fenomeno.
Dunque la soluzione sarà non tanto cercare una contrapposizione, un muro contro muro di polemiche e condanne.
Non ha altri mezzi, la Chiesa, che la parola, l’annuncio del Vangelo, la quotidiana azione educativa all’interno della famiglia, nella parrocchia, nelle associazioni e movimenti. Non ha altri mezzi che la testimonianza di coppie di sposi capaci di mostrare la bellezza e credibilità del matrimonio come patto, dedizione all’altro, amore indissolubile e fedele.
Obiettivo finale, ben diverso dagli atteggiamenti di chiusura, è il “quotidiano impegno educativo delle nostre comunità cristiane, il coraggio di mettere a tema queste questioni, la sfida di accompagnare adolescenti e giovani a interrogarsi sull’universo dei legami e degli affetti”2.
Se la teologia è più avanti, sul piano degli interventi pubblici la gerarchia tiene ferma la linea Maginot della difesa dei valori segnati dalla legge naturale, dietro la quale c’è una visione della storia e del ruolo dell’uomo nel mondo in base al disegno di Dio. Come ha detto il papa parlando ai vescovi italiani, la Chiesa può e deve dare all’Italia un contributo a partire da una precisa concezione del ruolo di Dio nella vita e nella storia dell’uomo.
Come vescovi non possiamo non dare il nostro specifico contributo affinché l’Italia conosca una stagione di progresso e di concordia, mettendo a frutto quelle energie e quegli impulsi che scaturiscono dalla sua grande storia cristiana. A tal fine dobbiamo anzitutto dire e testimoniare con franchezza alle nostre comunità ecclesiali e all’intero popolo italiano che, anche se sono molti i problemi da affrontare, il problema fondamentale dell’uomo di oggi resta il problema di Dio. Nessun altro problema umano e sociale potrà essere davvero risolto se Dio non ritorna al centro della nostra vita. Soltanto così, attraverso l’incontro con il Dio vivente, sorgente di quella speranza che ci cambia di dentro e che non delude, è possibile ritrovare una forte e sicura fiducia nella vita e dare consistenza e vigore ai nostri progetti di bene3.

Seguire il Papa

Le nuove frontiere dell’impegno della Chiesa italiana riguardano il tema dell’educazione e della scuola, cui si unisce la priorità verso i giovani. Una linea in sintonia con il papa, che della “emergenza educativa” fa il perno di molti interventi4. Ricordiamo ancora una volta che, a partire da questo spostamento di rotta, troviamo il senso dell’evoluzione compiuta dalla CEI passata dall’era di Camillo Ruini (presidente con l’appoggio di Giovanni Paolo II, più interventista in campo politico), all’epoca del cardinale Angelo Bagnasco (per un’impostazione più sociale e pastorale), lasciando alla curia, al cardinale Tarcisio Bertone e al papa la responsabilità e il peso del rapporto con le istituzione politiche e i relativi interventi pubblici in tal senso.
Il cardinale Angelo Bagnasco mette bene in evidenza il cambiamento di accento.
I giovani sono i primi bersagli della cultura nichilista che li invita, li incoraggia, li sospinge a coltivare soltanto le “passioni tristi”. È una cultura che instilla in loro la convinzione che nulla di grande, bello, nobile ci sia da perseguire nella vita, ma che ci si debba accontentare di un “qui ed ora”, di obiettivi di basso profilo, di una navigazione di piccolo cabotaggio, perché vano è puntare la prua verso il mare aperto. L’esito finale della cultura nichilista è una sorta di grande anestesia degli spiriti, incapaci di slanci e quindi inerti5.
Il programma di lavoro della CEI nel suo impegno sociale lo ha dettato Benedetto XVI nel discorso del maggio 2008.
Voi – ha spiegato ai vescovi – dedicate grande attenzione alla famiglia fondata sul matrimonio, per promuovere una pastorale adeguata alle sfide che essa oggi deve affrontare, per incoraggiare l’affermarsi di una cultura favorevole, e non ostile, alla famiglia e alla vita, come anche per chiedere alle pubbliche istituzioni una politica coerente ed organica che riconosca alla famiglia quel ruolo centrale che essa svolge nella società, in particolare per la generazione ed educazione dei figli: di una tale politica l’Italia ha grande e urgente bisogno. Forte e costante deve essere ugualmente il nostro impegno per la dignità e la tutela della vita umana in ogni momento e condizione, dal concepimento e dalla fase embrionale alle situazioni di malattia e di sofferenza e fino alla morte naturale. Né possiamo chiudere gli occhi e trattenere la voce di fronte alle povertà, ai disagi e alle ingiustizie sociali che affliggono tanta parte dell’umanità e che richiedono il generoso impegno di tutti, un impegno che s’allarghi anche alle persone che, se pur sconosciute, sono tuttavia nel bisogno. Naturalmente, la disponibilità a muoversi in loro aiuto deve manifestarsi nel rispetto delle leggi, che provvedono ad assicurare l’ordinato svolgersi della vita sociale sia all’interno di uno Stato che nei confronti di chi vi giunge dall’esterno. Non è necessario che concretizzi maggiormente il discorso: voi, insieme con i vostri cari sacerdoti, conoscete le concrete e reali situazioni perché vivete con la gente6.
È questo senso del limite che consente al cardinale Angelo Bagnasco di spostare il baricentro dei suoi interventi sul piano più propriamente pastorale, a partire da una considerazione di sociologia religiosa che ci consente di cogliere quale saràl’impostazione del prossimo futuro. Il presidente dei vescovi richiama così un’immagine coerente con una visione di Italia dei campanili che esiste certamente nei piccoli centri mentre viene a diminuire nelle città. Ed è comunque funzionale al mettere in primo piano la parrocchia come centro dinamico e propulsore di tutta la vita del mondo cattolico.
In modo sintetico – spiega allora Bagnasco – mi piace vedere il “sagrato” come figura simbolica della Chiesa vicina e incarnata tra la gente in tutte le sue forme: dalle parrocchie alle aggregazioni antiche e nuove. Il sagrato è stato nell’ultima stagione riscoperto nelle sue valenze religiose e civili, non solo a cerniera tra il sacro e il profano – come era stato nei tempi antichi – ma anche quale luogo dell’accoglienza e dell’incontro, dell’orientamento a Dio come al prossimo. In altre parole, sarà utile se lo spazio antecedente la chiesa, anziché via di fuga o spiazzo che si attraversa frettolosamente, diventa luogo del dialogo, dell’amicizia e dell’ascolto. Ci sono tanti dolori nascosti, sofferenze prolungate, solitudini non volute, vuoti lancinanti (si pensi alle 23 mila persone scomparse, che da qualcuno sono attese e cercate, magari tra incomprensione e sospetti): socializzare queste situazioni, come pure i traguardi e le riuscite che rendono felice questa o quella famiglia, torna oggi ad essere importante. E potrebbe essere parte di un’iniziativa pastorale che sta a cavallo con la dimensione civile, dove la presenza di fedeli a ciò portati, come pure l’opera di diffusione dei nostri media, possono dare quel tocco di accorta vitalità, che non è disturbo per l’azione sacra ma neppure si confonde con i marciapiedi vocianti e casuali. E ciò in un’ottica di rivalorizzazione anche di altri ambienti comunitari come l’oratorio, l’asilo parrocchiale, la sala della comunità, e di momenti socializzanti, tipici della pietà popolare, quali sono le feste patronali e le sagre del paese o del rione7.
Questa dunque la linea: presenza spiccatamente pastorale, delega piena al Vaticano nel rapporto con le istituzioni politiche, secondo la linea dettata dal segretario di stato Tarcisio Bertone. Con un’eccezione: quando si tratta di chiedere soldi alle istituzioni per la sanità privata cattolica o per la scuola, intervengono prima i vescovi, poi lo stesso papa.

Quello che i vescovi non dicono

La visione del vertice della CEI esprime il punto di vista uffiale, differente da quanto nella realtà accade nel territorio. Qui abbiamo una presenza molteplice ed impegnata su fronti e frontiere diverse. Prima di tutto abbiamo la Chiesa che opera sulle diverse frontiere del sociale. La frontiera dell’emarginazione sociale vede personaggi come don Luigi Ciotti fondatore del Gruppo Abele a Torino negli anni Sessanta ed oggi moltiplicatosi in una rete di iniziative e punto di avvio di esperienze diverse. Una di queste riguarda il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), il cui perno è la comunità di Capodarco, con sede centrale a Fermo (Marche) ed instancabilmente animata da don Vinicio Albanesi, collaboratore regolare di riviste e giornali, del mondo cattolico, anche su linee editoriali differenti. Il CNCA vanta una presenza capillare sul territorio, con esperienze di apertura ed accoglienza verso il mondo dell’emarginazione che hanno saputo adattarsi al cambiamento dei tempi. È il caso, tra le altre, della Comunità di via Gaggio, a Lecco, avviata da don Angelo Cupini ed oggi attiva anche come Onlus e come Fondazione Aquilone. Altre esperienze riguardano le Suore Francescane dei Poveri, a Padova, che hanno come missione quella di togliere dalla strada le ragazze straniere che vengono in Italia con il miraggio di un lavoro e cadono invece nella rete della prostituzione. Da nord a sud, le esperienze sono molteplici. Una, anche qui tra le tante, radicata in Calabria, fa perno sulla congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, che hanno rispolverato e reso attuali le missioni popolari. A periodi dell’anno, a partire dalla Piana di Gioia Tauro, passano di paese in paese coinvolgendo giovani, scuole, adulti, anziani, nell’annuncio del Vangelo e nel cercare di rendere cristiana una difficile realtà dove la criminalità organizzata opera con particolare forza ed efficacia8. Tra i vescovi, nella difficile situazione della Campania, una figura molto nota è quella di mons. Raffaele Nogaro, quando era nella Diocesi di Caserta, diventato rapidamente un punto di riferimento nella coscientizzazione contro il dilagare della corruzione e del malaffare. Una linea, in Campania, che ha avuto come antesignano, dal 1978 al 1999, mons. Antonio Riboldi, autore di denunce e coraggiose ancorché solitarie prese di posizione contro la criminalità. Meno noto, Michele Pennisi, a Piazza Armerina ha ricevuto diverse minacce per la sua opera di coscientizzazione. A Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe ha preso posi...

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