Il codice psicosocioeducativo. Prendersi cura della crescita emotiva
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Il codice psicosocioeducativo. Prendersi cura della crescita emotiva

Francesco Berto, Paola Scalari

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Il codice psicosocioeducativo. Prendersi cura della crescita emotiva

Francesco Berto, Paola Scalari

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Nessuno è, dunque, solo mentre educa.Siamo ciò che ora stiamo vivendo, ma anche ciò che proviene dalla notte dei tempi; siamo ciò che mostriamo, ma anche ciò che nascondiamo in rifugi più o meno blindati della nostra sfera psichica.Sulla base di questa convinzione, presentiamo in queste pagine il modello d'intervento psicosocioeducativo, che abbiamo sperimentato nel gruppo familiare, nei gruppi in formazione, nelle classi scolastiche, nelle équipe della tutela minori, tra gli operatori consultoriali, i professionisti della cura, per la preparazione degli psicoterapeuti, per le supervisioni cliniche.Il principio base è semplice: nessuna regola, le competenze si sviluppano dalle proprie esperienze.Nessuna prescrizione, ma, capitolo dopo capitolo, il lettore viene condotto nel mondo psichico e quindi affettivo, al sentire sociale e quindi relazionale, e infine all'agire pensato e quindi educativo.Se dopo la lettura anche una briciola di ciò che si sapeva si sarà modificata, se anche un piccolo dubbio si sarà imposto, se anche un minuscolo germe creativo sarà nato, il lettore avrà fatto esperienza del modello psicosocioeducativo.

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Information

Year
2016
ISBN
9788861533165

1.

Generatività

Maestro, se mi hai in testa sento di esistere,
se mi lasci fuori sento di morire.
Dario, 7 anni
È assai interessante
che l’inconscio di una persona
possa reagire all’inconscio
di un’altra eludendo il conscio.
Sigmund Freud, L’inconscio

1.1 EDUCARE, FORMARE E CURARE

Educare significa aiutare un essere umano a trovare un suo modo specifico di stare al mondo, accompagnarlo a costruire la sua identità e sorreggerlo mentre impara a vivere. Questo lungo e impegnativo percorso evolutivo prevede una formazione, sia sul piano cognitivo che su quello emotivo, in grado di arricchire una persona mentre apprende ciò che le è utile per conoscersi e per scoprire la realtà che la circonda.
Educazione e formazione lasciano però delle zone buie da illuminare, dei terribili marasmi da bonificare, degli angoscianti buchi vuoti da colmare, delle smagliature psichiche da riparare. Curare vuol dire allora occuparsi e pre-occuparsi di quello che un’inadeguata preparazione alla vita ha lasciato irrisolto o ha danneggiato in modo che una persona, migliorando la conoscenza su se stessa, esca dal suo stato di disagio, confusione ed immaturità.
Poiché l’imperfezione è umana, tutti hanno bisogno di poter attingere a queste forme di protezione relazionale.
Il prendersi cura è allora inteso come una forma specifica di prevenzione1 che coniuga l’attenzione al mondo psichico dell’individuo con il sapere pedagogico e rappresenta sempre una nuova chance educativa in quanto riattualizza gli stati d’animo bloccati nell’infanzia e dà loro l’opportunità di venire alla luce per evolvere in maniera adeguata.
Educare è allora curare l’animo umano, indirizzarlo e comprenderlo. Quest’azione contempla il clima familiare teso a far crescere i figli, il contesto scolastico che si occupa della formazione attraverso la produzione di cultura, il progetto di tutela sociale che si prende carico dei cittadini vulnerabili e il setting psicosocioanalitico2 che cerca di modificare chi è rimasto fissato su convinzioni puerili. Queste diverse situazioni possono concorrere a creare una persona migliore, cioè più consapevole e matura. La teoria che sorregge l’agire educativo viene definita psicoigiene3. La psicoigiene, concetto coniato da Bleger, è l’occasione più radicale di rivisitazione e ricostruzione identitaria.
L’educazione ricevuta incide sempre sullo sviluppo delle potenzialità individuali rendendo l’esistenza più o meno difficile. La formazione invece permette di ricevere degli strumenti per capire il mondo rendendo più agevole trovare un posto soddisfacente nella vita. La psicoterapia psicoanalitica, nelle sue diverse applicazioni, diventa altresì un’occasione per affrontare ed elaborare i conflitti che, rimasti irrisolti fin dall’infanzia, disturbano l’armonia e la sicurezza identitaria.
Una buona educazione garantisce quindi una valida formazione ed entrambe rendono possibile una psicoterapia che, senza questi due presupposti, anche se mal combinati, diventa di difficile accesso.
La definizione prevenzione come educazione4 ingloba in sé tre aspetti: l’educare come ex ducere cioè tirar fuori ciò che c’è dentro all’altro, il formare, inteso come dare una struttura a quanto la persona deposita nella sua mente e infine il prendersi cura della realtà interiore poiché, anche chi sta male, può stare sempre peggio e chi non sa di potersi smarrire emotivamente può mettersi, per tempo, al riparo da tale pericolo.
Ogni intervento che incide sulla struttura psichica è quindi educativo in senso lato poiché apre la strada all’introspezione, al ragionamento, all’intuizione. Sono queste delle operazioni mentali che rendono consapevoli più di quanto prima non si era potuto conoscere, accettare e comprendere e, il loro valore terapeutico, sta proprio nella possibilità di aprire a nuovi saperi.
Ogni intervento strettamente clinico comporta perciò una valenza educativa proprio perché ripara i falli, le confusioni e le lacune formative rimaste incompiute nel corso della crescita.
Il confine tra educativo e terapeutico è quindi sfuggente poiché ognuno di questi settori sconfina nell’altro.
A partire da un vertice specifico, pertanto, avviene una continua osmosi tra i diversi ambiti. Non esiste una netta differenziazione tra le diverse situazioni che comportano il prendersi cura dell’altro. Ognuna, infatti, deve e può influenzare l’ambito attiguo creando una sinergia che va ad ampliare l’area preventiva e i principi guida che la contraddistinguono.
Le tecniche utilizzate nei diversi campi applicativi, invece, sottolineano importanti differenze. Ognuno ha quindi diritto d’individuare le sue modalità educative, quelle a lui più congeniali, quelle maggiormente vicine alla sua sensibilità.
Oggi quindi prevenire il disagio relazionale implica scegliere tra le tante azioni possibili rimanendo fedeli a dei presupposti valoriali irrinunciabili.
In questo atteggiamento sta l’etica formativa che educa cittadini capaci di discernere il bene dal male.
La scelta di campo diviene allora obbligatoria e differenzia in maniera netta chi addestra da chi forma, chi istruisce da chi lascia spazio al pensiero autonomo, chi indottrina da chi si pone in un atteggiamento di ricerca, chi crede nella potenzialità umana da chi vuole solamente asservirla.
In questa libertà di opzione chi si occupa dello sviluppo identitario deve tener conto che esso è intriso di capacità intellettive e di storie sentimentali e deve quindi attingere al sapere psicoanalitico poiché questa scienza ha studiato, perfezionato e messo a punto come occuparsi della persona nella sua interezza.
Il procedere della ricerca scientifica in campo psicoanalitico mette infatti a disposizione conoscenze, metodiche e nozioni sempre più precise che rendono accessibile l’interpretazione dei vissuti che abitano le zone buie del mondo interiore. Queste innovative ed avanzate teorie, inoltre, sono quelle che, consentendo di applicare il pensiero sull’inconscio al mondo del quotidiano, vanno a supportare l’agire genitoriale, l’insegnare dei docenti, il mettersi in gioco degli educatori, l’intervenire nella comunità degli operatori sociali e sanitari e il contrastare la sofferenza delle professioni psicologiche.
La possibilità di scegliere il campo applicativo nel quale prendersi cura dell’altro non contrasta con la convergenza dei principi che ispirano il modello di intervento.
Chiunque si occupi di sviluppare, potenziare e consolidare l’identità di un essere umano è dunque un educatore, un formatore e un terapeuta.
Grandi e piccoli sono perennemente dentro un percorso evolutivo, dove educativo, formativo e terapeutico si intrecciano tra di loro poiché la vita non permette a nessuno fissità anacronistiche, ripetitività vuote e sicurezze eterne.
L’identità non è una realtà stabile, ma una definizione che è aperta ad una continua modifica. Lo sviluppo delle attitudini per stare bene dentro a se stessi, basate sull’adattamento agli eventi e sulla trasformazione del Sé a seconda delle circostanze, costituisce la finalità dell’educare, formare e curare.
Cambiare nel trascorrere del tempo, pur continuando a sentirsi se stessi, richiede che qualcuno trasmetta questa preziosa competenza osservando l’altro mentre cresce e riconoscendolo come la stessa persona di prima anche se muta pelle. Per saper vivere con pienezza la propria vita bisogna dunque essere stati accompagnati, seguiti e sostenuti durante il processo di trasformazione che porta alla costruzione identitaria.
I genitori, per primi, si occupano e preoccupano che il figlio riesca a sviluppare un’identità integrata che gli permetta di realizzarsi pienamente nella vita così come desidera e come la realtà gli impone.
Gli educatori favoriscono lo sviluppo delle risorse di ogni loro allievo in modo che le potenzialità di ogni bambino o di ogni adulto trovino la maggior espansione possibile.
I formatori si attivano affinché le persone si impadroniscano di ciò di cui hanno bisogno per essere più incisive in famiglia, nel lavoro, nel contesto sociale.
Gli psicoterapeuti cercano di far sapere al paziente cosa gli impedisce di essere “normalmente felice” e si prestano a fargli conoscere quali affetti ostacolino il raggiungimento di questo stato emotivo.
Tutti questi educatori naturali o professionali si adoperano perché l’altro possa stare bene sentendosi soddisfatto di se stesso.
Ognuno di loro però agisce in questa direzione solo se può educarsi permanentemente, formarsi continuamente e curarsi incessantemente attraverso un dialogo interiore.
Il prendersi cura dell’altro contempla allora, seppure con tonalità ed accenti differenti, che vanno dal naturale educare del contesto familiare fino all’analisi personale come trattamento specialistico, l’intreccio di queste azioni nella forma attiva, passiva e riflessiva.
Educare, formare e curare sono dunque sempre correlate e coniugate nelle tre forme verbali.
Ognuna di queste azioni al suo interno comprende sempre anche l’altra perciò chi educa anche cura, chi cura anche forma, chi forma inevitabilmente educa e cura.
Quando una persona incontra qualcuno che possiede la capacità di dare e di prendersi quel che lo soddisfa e fa tutto questo grazie al bagaglio affettivo e intellettivo che gli è stato offerto dai suoi maestri di vita5, sviluppa armoniosamente la sua identità.
Non si può dare una buona educazione senza averla ricevuta.
Non ci si deve occupare dell’altro senza tener conto di come si è.
Non si riesce cioè ad assume la responsabilità di far crescere un’altra persona senza tenere costantemente intrecciate le funzioni dell’educare, formare e curare.
I bambini per sviluppare la loro identità, così come ogni persona tormentata dalle sue parti immature per poter evolvere, hanno dunque bisogno di stabilire un vincolo con un adulto competente nella coniugazione delle diverse funzioni di cura, sia sul piano cognitivo che emotivo, nella loro forma attiva, passiva e riflessiva.

1.2 GERMINARE

Tutti i bambini non nascono
già imparati a crescere,

ma devono fare tutti la fatica di impararlo.
Carolina, 6 anni
L’educazione è tutto ciò che siamo diventati.
Duccio Demetrio, L’educazione è smarrita
I piccoli, durante il periodo dell’età evolutiva, così come i grandi rimasti incompiuti, sono accomunati da un aspetto puerile che, se dapprima è fisiologico, successivamente diviene patologico poiché determina un blocco evolutivo che provoca inquietudine, angoscia e confusione mentale.
Il soggetto che rimane immobile nelle proprie posizioni arretrate, mentre la vita gli impone di andare avanti, è dunque portatore di un importante disagio esistenziale nel quale si mescolano paure, rabbie e rancori. Inoltre chi sta fermo nelle sue difficoltà o non lo sa, o non lo ammette oppure lo intuisce pur non dichiarandolo. Crede di essere saggio, invece dentro di lui dimorano sedimenti infantili che non gli permettono di portare a termine la sua evoluzione.
L’infante, soggetto senza parola, non può narrare i suoi desideri e può, di conseguenza, avvertirli emotivamente senza conoscerli. Il bambino, immobilizzato dalla sua ingenuità, rimane ancorato a fantasticherie innominabili e irrealizzabili. Crede di avere mamma tutta per sé, di essere più forte di papà, di poter tiranneggiare gli adulti, di dominare il suo corpo espandendolo o restringendolo a piacere, di manipolare furbescamente la sua identità falsificando quella autentica, di avere sotto controllo il mondo esterno, di ottenere facili vie di fuga intossicandosi con mixer di sostanze frastornanti, di non avere nulla da imparare da nessuno.
L’adulto, blindato in una visione del mondo stereotipata, si bea delle sue convinzioni illusorie. Il soggetto incompiuto lascia dunque in un luogo isolato della mente una parte di se stesso seppellendola con una quantità inaudita di menzogne che si fanno però vive attraverso i sintomi e i malesseri, le insoddisfazioni e le angosce. Crede di determinare cosa deve fare e pensare l’altro, di celare le sue bassezze attraverso una supponente superbia, di conoscere meglio di tutti come vanno le cose del mondo, di salvaguardarsi dal suo senso di colpa attraverso il non sapere con metà della sua mente quel che invece l’altra metà sa, di essere certo che il cattivo è sempre fuori di sé, di amare la verità mentre stagna nella falsità. Grandi e piccoli, convinti di mettersi in salvo rifugiandosi in un mondo immaginario si distruggono non solo a causa dello sforzo che compiono per stazionare nelle loro fantasie illusorie, ma soprattutto per il terrore che provano ogniqualvolta temono che la verità venga a galla. Chiusi nei loro piccoli mondi diventano sterili, appassiscono, non germogliano. La vita dentro di loro si spegne. L’oscurità domina la loro esistenza. Scappano mentalmente da tutti evadendo attraverso fantasticherie deliranti. Fuggono soprattutto da se stessi.
I pensieri che vengono seminati nella loro testa si sperdono poiché, senza l’humus dove prospera la ricerca della verità e dove si sedimentano i valori umani, la mente non può concepire idee. Nulla dunque al suo interno può germinare.
Un principio fondamentale dell’educare comporta il contrastare, con forza e con determinazione, l’essere umano che non evolve, cioè che non impara a distinguere la menzogna dalla verità, il desiderio dalla possibilità, il sogno dalla realtà. L’individuo, che non si sintonizza con la vita vera, spreca la sua esistenza, si ammala e perde il lume della ragione.
Questa follia ha scarsa rilevanza se è evidente oppure se è occultata. Nulla infatti muta se è diagnosticata come patologia o è solo un tormento privato o ancora è una bizzarria fatta subire agli altri. Quello che invece conta è che le persone rimaste mentalmente immature vivono male e fanno vivere male chi le incontra. Rimangono invischiate in una dimensione psichica ambigua dove non vi è confine tra sé e l’altro. Il bambino pensa che il mondo giri attorno a lui; l’alunno si pavoneggia anche se non sa nulla; il paziente parla come se fosse da solo evitando di interloquire con il suo psicoterapeuta.
Le persone non cresciute idealizzano, amano, apprezzano e considerano solo se stesse. Il bambino pensa che ciò che dice o vuole debba ottenerlo immediatamente. L’adolescente può fare scenate per ogni piccolo contrattempo. L’alunno vuole avere ragione anche quando non ce l’ha e giura e spergiura di aver fatto i compiti per casa, di aver studiato la lezione, di essersi preparato per la verifica.
Le persone rimaste incagliate in un sé infantile vedono solo la loro soggettivit...

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