Leggende degli Indiani d'America
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Leggende degli Indiani d'America

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Queste rare e preziose Novelle Indo-Americane vennero pubblicate per la prima volta nel 1932. I quasi 150 racconti qua contenuti sono articolati in 12 parti tematiche: Storie di animali benevoli, Viaggi e avventure, Storie di cannibali, Storie di guerra, Stregonerie e incantesimi, Burle e vendette, Trasformazioni d'uomini e d'animali, Demoni e mostri, Fiabe e apologhi, Storie delle prime età, Storie d'amore, Favole. In questa edizione il testo è stato interamente controllato e prudentemente normalizzato.

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Information

Year
2021
ISBN
9791220829427

INTRODUZIONE

È questa la prima raccolta del genere che vede la luce tra noi, la prima pubblicazione anzi che tratti con qualche ampiezza la vastissima letteratura indo-americana, sconosciuta affatto, si può dire, non solo in Italia, ma ovunque [1] , eccezione fatta per i paesi di lingua anglosassone e più specialmente per gli Stati Uniti, dove la storia, le credenze, i costumi, le tradizioni e le leggende dei cosiddetti Pellirosse sono da molto tempo oggetto di studio.
Giacché appena occorre avvertire che si tratta di letteratura anonima, popolare, e costituisce un’ampia sezione del folklore .
Dato il risveglio che da qualche tempo si nota anche fra noi intorno a questa disciplina, la presente pubblicazione, oltre che nuova, può anche ritenersi opportuna.
Ho detto, i cosiddetti Pellirosse, perché questa denominazione con cui si sogliono designare in Europa quelle popolazioni è tutt’altro che esatta. Furono così chiamate dai primi esploratori, perché qualche tribù si tingeva il corpo con terra di quel colore. Meskwakiagi , «terre rosse» si chiamavano gli Indiani che Inglesi e Francesi dissero rispettivamente Foxes e Renards (Volpi), appunto dal loro colore rossastro. La dipintura in rosso è tuttora praticata da alcune tribù in determinate circostanze. Così le fanciulle dei Cheyenne ne sono colorate, quando giungono alla giovinezza, per mano di donne anziane [2] . Altri dipingono in rosso i cadaveri e perfino le ossa [3] .
Ogni stirpe o ceppo, e le singole tribù che vi appartengono, hanno il loro nome speciale [4] . Ogni tribù si suddivide alla sua volta in clan , anch’essi con denominazione propria. Così i Seneca, tribù importante degli Iroquois, ne ha otto: Lupo, Orso, Castoro, Tartaruga, Capriolo, Falco, Airone, Beccaccino [5] . Questo nome di Seneca non ha nulla a vedere con quello del retore e del filosofo latino. È da Sennekens , «luogo dove abbondano le pietre» composto di asinni , pietra, roccia, ika , «luogo di abbondanza» e -ens , desinenza del plurale nominale in Olandese. Noi ci limiteremo, quando dovremo far nomi, a recar quelli delle stirpi. Diremo, ad esempio, i Chippwyans, senza specificare se si tratti delle Costole di Cane (cosiddetti perché si credevano originali da un cane enorme), o dei Coltelli Gialli (quando li visitò sir John Franklin usavano coltelli di rame) o delle Pelli di Lepre (così chiamati dal materiale dei loro abiti), e così via.
Che profonde differenze intercedano da stirpe a stirpe, da tribù a tribù per ciò che riguarda i costumi, le credenze, il linguaggio, si può argomentare anche solo dal fatto che gli Indiani si stendono per un vastissimo territorio: dall’Oceano Glaciale alle frontiere del Messico. Già il De Lahoutan (Nouveaux Voyages , ecc. Aja, 1709), che pur si riferiva a una porzione soltanto di essi, notava: «Il faut faire une grande différence entre les divers peuples du Canada. Les uns sont bons, les autres sont mauvais: les uns sont belliqueux, les autres son lâches». L’aforisma spagnuolo, così spesso ripetuto: visto un indio de qualquiera region, se puede decir que se han visto todos [6] , non trova conferma nella realtà. Il numero degli idiomi parlati dagli Indo-Americani (o Amerindi, come, per brevità, fu proposto di chiamarli [7] , si calcola da alcuni filologi a 1300; certo sono più centinaia, che il Boas, uno specialista in materia, distribuisce in 55 «famiglie» [8].
Sono lingue polisintetiche, in cui cioè molte idee distinte vengono amalgamate, per via di processi grammaticali, in un solo vocabolo [9] . La versione da questi idiomi è perciò sempre di necessità una parafrasi. Vari pure gli espedienti a cui si ricorre per la numerazione. Presso qualche tribù è in uso il quipu degli antichi Peruviani: cordicelle di colori diversi su cui si fanno dei nodi [10] . Altri si servono di sassolini o asticelle. Dei nemici uccisi in battaglia, o degli emigrati in qualche regione lontana, si registra spesso il numero con altrettante pietre, raccolte in mucchio [11] .
Variano pure da una stirpe all’altra le credenze religiose. Non tutti credono nell’immortalità dell’anima. Gli Indiani della California ritengono che solo per i bianchi esista una vita futura. La fede nell’oltretomba suggerì la poetica costumanza di mormorare un messaggio all’orecchio del defunto. Più strano è il costume dei Sioux: si tatuano affinché il loro «sé stesso» celeste li riconosca dopo la morte. Il paradiso è una regione dove il grano cresce spontaneamente, è sempre primavera, le donne sono leggiadre come stelle, e gli alberi carichi di frutti deliziosi, e la giovinezza perenne. L’inferno è un paese sterile, pieno di pene, dove unico cibo è un po’ di patata amara. Il corpo dei dannati è ricoperto di ulcere, tormentato da esseri mostruosi. Tra questi sono delle vecchie donne con zampe di pantera: si gettano sugli uomini che non si prestano alle loro brame. Dopo un periodo di anni, più o meno lungo a seconda della gravità delle colpe, i dannati ritornano in vita e possono meritarsi il paradiso [12] .
Tutti riconoscono una divinità suprema, Manitou (così la chiamarono i primi esploratori francesi da Manito , che è il nome che gli danno gli Objira): è di forma umana, e governa il mondo coadiuvato da numerose divinità subalterne. Prima d’imbarcarsi, fanno un’offerta allo spirito delle acque; quando il fulmine romba, gli offrono un po’ di tabacco perché abbia a tacere. Accingendosi alla caccia dell’orso, appendono alla capanna un’effigie grossolana di questo animale e la trafiggono di frecce, nella speranza che all’atto simbolico sia per tener dietro quello reale. In queste e simili cerimonie, come pure in ogni manifestazione della loro attività individuale o collettiva, ha parte la musica: il canto e il suono sono un elemento indispensabile della vita indiana [13] .
Diversi anche i costumi funebri: qua i defunti si seppelliscono, là si ardono, altrove si collocano in vetta a un albero, avvolti in pelli, o racchiusi in casse, o nudi affatto, quando non si lasciano, come presso gli Esquimesi, a esser divorati dalle fiere [14] .
Vivono, a seconda delle località, dei prodotti della caccia o della pesca, nonché del bottino di guerra: i lavori dei campi e della casa sono lasciati alle donne. Pochi esercitano industrie, come quella dei canestri di cui sono fabbricatori eccellenti; gli Indiani di Salt Lake City forniscono ossa umane lavorate (femori, crani, ecc.), di cui è grande richiesta da parte dei bianchi [15].
La caccia al bufalo è - o meglio era fino a poco tempo addietro (e l’inciso vale anche per alcune delle notizie già riferite e che riferiremo) - pressoché la sola occupazione e l’unico mezzo di sostentamento di molte tribù, e più specialmente di quelle che abitavano le immense pianure del Mississippi e del Missouri, chiamate per antonomasia the prairies , le praterie. Enormi mandrie di questi animali le battevano da ogni parte. Sul principio del secolo scorso il canadese Giovanni Bradbury ne contò in una sola plaga diciassette, ch’egli calcolò all’ingrosso contenere oltre 10.000 capi [16] : un «vero paradiso del cacciatore», secondo l’espressione di un altro e più noto esploratore, il capitano Clark. Alcuni viaggiatori del secolo XVIII assicurano averne veduto sfilare le mandrie, ininterrotte e compatte, per otto, dieci, dodici giorni [17]!
Quasi tre secoli prima lo spagnolo De Gomara, nella sua classica opera, diceva: «Gli abitanti non hanno altre ricchezze né sostanze: del bufalo mangiano, bevono, si vestono, si calzano; con la pelle si costruiscono le case, si apprestano scarpe e arredamenti domestici, fin le secchie per l’acqua; con le ossa, utensili e strumenti; coi nervi ed i peli, filo da cucire e corde; con le corna, coltelli; col letame, fuoco. Insomma ne ricavano quanto è necessario alla loro esistenza».
Queste notizie concordano con quelle fornite da più recenti viaggiatori. «Tutto è buono da mangiare - dice l’Hayden - meno le corna, i zoccoli e il pelo. In tempo di carestia mangiano anche la pelle, mentre coi nervi fabbricano corde per l’arco, serbano la polvere di fucile nelle corna, e delle ossa fanno strumenti, o ottengono grasso col bollirli. La scapola dell’animale, attaccata a un manico ricurvo di legno, diviene una zappa, pressoché unico attrezzo usato nei lavori agricoli».
La caccia si faceva parte d’inverno e parte d’estate, per ottenere così rispettivamente pelli di buona lana, che servivano per la confezione dei vestiti, e pelli poco villose e di più facile conciatura. A questa attendevano le donne che, ben conficcatele e stiratele con pioli, le raspavano sui due lati fino a renderle trasparenti in modo da lasciar passare la luce quando, alternate con liste di corteccia, erano poste come tetti sulle abitazioni. Vi si praticava un’apertura per dar passaggio al fumo prodotto dal fuoco posto nel mezzo della capanna. Una pelle, pure di bufalo, appesa all’entrata, serviva di porta. Nell’interno, altre pelli erano stese, e usate come letti e sedili.
Il cuoio di bufalo forniva perfino l’unico mezzo di navigazione di cui disponessero gli Indiani. Fissato sopra un leggero telaio di legno, e unito con nervi dello stesso animale in modo da essere impermeabile all’acqua, si trasformava in canotto.
La caccia era dunque un’impresa di vitale importanza. Quando, come spesso avveniva, le torme di bufali erano segnalate in località molto discoste dall’abitato, gli uomini movevano alla loro ricerca conducendo con sé, in groppa ai cavalli, o su slitte trainate da cani, non solo grandi scorte di viveri, ma le intere famiglie e ogni altro possesso mobile, comprese le tende di cuoio, con cui coprivano poi le nuove improvvisate abitazioni. Formavano così dei convogli, lunghi talvolta più miglia.
Meno faticosa era la caccia invernale. Aveva luogo vers...

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