Metodologie psicopedagogiche di gestione dell'insegnamento-apprendimento nell'ambito didattico: L'empowerment di gruppo
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Metodologie psicopedagogiche di gestione dell'insegnamento-apprendimento nell'ambito didattico: L'empowerment di gruppo

Quaderni didattici-Percorsi per l'inclusione-3/2021

Paola Cavallo

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Si vuole iniziare questo excursus affrontando una problematica molto diffusa che si incrocia fortemente con le logiche discriminatorie che si tenta di avversare. L'empowerment di gruppo L'empowerment, come specifica Zimmerman, non è un tratto immutabile della personalità, ma una costruzione dinamica ed evolutiva guidata dal contesto: assume perciò forme diverse per persone diverse in contesti diversi. Il carattere open-ended del costrutto pone difficoltà di misurazione, ma permette che venga adattato alle norme, ai valori e alla visione del mondo specifici dei singoli ambiti d'intervento, gruppi di comunità e comunità. L'empowerment come strategia di sviluppo di comunità competenti consiste proprio nel favorire la crescita della natura empowering della comunità, e dello stato empowered dei suoi membri, a partire dai più semplici processi di micro-pedagogia della partecipazione sociale come pratica di libertà. Con altre parole, riprendendo la terminologia dell'ala radicale della psicologia di comunità (Rappaport ha chiamato questo processo «acquisizione di potere»), la radice di empowerment è power, potere: infatti è proprio dalla situazione di mancanza di potere che si attiva il processo. La percezione di assenza di potere può dipendere da fattori sia soggettivi che oggettivi: l'assenza di esperienza politica, il mancato accesso alle informazioni, l'assenza di sicurezza economica, l'appartenenza a gruppi sociali stigmatizzati e interiorizzati secondo gli stereotipi negativi della società, il sentimento di disorientamento rispetto alla complessità, il fatalismo e l'arrendevolezza di fronte a un tessuto sociale disgregato. Il passaggio all'acquisizione di potere sulle condizioni che influenzano la qualità della vita implicano processi di condivisione di bisogni/competenze/ desideri, modificazione nei rapporti tra i soggetti della comunità, riappropriazione delle abilità e competenze proprie di ciascun soggetto sociale. Rappaport intende con ciò enfatizzare l'incremento delle capacità delle persone di passare dalla cosiddetta situazione di «passività appresa» (learned helplessness) del soggetto che ha sviluppato un sentimento di impotenza di fronte a esperienze alienanti o frustranti, «all'apprendimento della speranza» (learned hopefullness) derivata dal sentimento di aumentato controllo sugli eventi, tramite la partecipazione e l'impegno nella propria comunità. Possiamo affermare che la partecipazione a eventi significativi (in quanto il percorso permette ai soggetti di sentirsi parti-in-azione), genera il committment con la comunità (ovvero il riconoscimento dell'ingaggio reciproco del soggetto con la comunità). Lo sviluppo di processi partecipativi nei percorsi di cambiamento è fortemente correlato alla crescita del senso di proprietà (ownership) dei progetti, dei servizi, ecc. Il senso di proprietà, a sua volta, permette l'instaurarsi del sentimento di controllo dei soggetti rispetto alla propria situazione di vita nella comunità, e alla qualità di vita in essa possibile e desiderabile. Le due variabili (partecipazione agli eventi e sentimento di controllo) si rinforzano vicendevolmente sviluppando nei soggetti la consapevolezza di poter influenzare il contesto e le decisioni che riguardano la propria esistenza. In questo senso si potrebbe dire che è l'azione collettiva che alimenta e mantiene la speranza nella possibilità di influenzare, cambiare, trasformare la realtà di appartenenza.

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Information

Publisher
Youcanprint
Year
2021
ISBN
9791220350327

L’educazione socio-affettiva

Quali sono i “punti di forza” della scuola in questo momento? Quale ampliamento di possibilità è pensabile?
Possiamo tranquillamente dire che la scuola sta vivendo un momento “speciale”. Innanzitutto perché è in crisi e crisi vuol dire crescita, trasformazione, scelta; secondo perché ci sono disposizioni legislative che costituiscono una grossa opportunità; terzo perché la società ha bisogno di una scuola “formativa”.
Quali sono i punti di forza? I giovani, per entusiasmo, aspettative, voglia di esserci e contare; gli insegnanti, per preparazione, motivazione, esigenza di essere riconosciuti per quello che valgono; i genitori, per il desiderio di partecipare alla vita della scuola in un modo diverso da quello che gli è stato consentito fino a oggi, per l’attenzione all’iter formativo dei figli, per la difficoltà e la dignità del loro ruolo; i dirigenti (ultimi, ma non per ultimi) per l’impegno di trasformazione, per la fatica di conciliare burocrazia e prassi scolastica, per il sostegno e la consulenza a tutte le componenti dell’Istituto che dirigono.
Visione ottimistica? Assolutamente no. Nello scrivere, il pensiero è andato alle centinaia di persone che nel corso degli anni hanno frequentato training di formazione, ai loro volti, ai loro sorrisi, ai loro dubbi, alla loro rabbia, ai loro entusiasmi, alla loro “bellezza”.
Punti deboli? Lasciamoli stare, siamone consapevoli e aggiriamoli, guardiamo alle risorse in un’ottica di “pensabilità positiva”. Una risorsa è il fatto che i ragazzi vivano per lunghi periodi nello stesso gruppo-classe e che questa realtà non è stata considerata adeguatamente come opportunità.
Infatti possiamo dire che, così come è stata organizzata tradizionalmente, la classe non è un gruppo, ma un aggregato di individui in cui ciascuno lavora per conto proprio accanto agli altri, per raggiungere fini di crescita personale attraverso l’acquisizione di conoscenze.
Che poi questi individui entrino in relazione, comunichino, si scelgano o si ignorino formando sottogruppi fino a qualche tempo fa è stato riconosciuto come un dato di fatto, ma non visto influente ai fini dell’apprendimento, se non in termini di disciplina.
E’ anche vero che fino a oggi, essendo il mandato della scuola essenzialmente nell’elaborazione di sapere, che la classe fosse gruppo era per molti inessenziale.
Solo dirigenti e insegnanti più sensibili si preoccupavano della relazionalità e di conseguenza si impegnavano a acquisire competenze sul versante socio affettivo.
Attualmente alla scuola si chiede di diventare luogo di vita e di apprendimento comunità di discenti e docenti.
Si auspica che faccia ricorso a metodologie capaci di valorizzare simultaneamente gli aspetti cognitivi e sociali, affettivi e relazionali in qualsiasi apprendimento. Si dice che dovrà sviluppare nei ragazzi il senso di responsabilità e di autonomia, le capacità etiche e intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (Documento dei Saggi, 1997).
Si dovrà lavorare perché la classe da aggregato diventi gruppo, perché responsabilità, autonomia, solidarietà si apprendono vivendole nel gruppo. Per questo sarà necessario lavorare su metodologie di empowerment di gruppo. Una di queste potrebbe essere l’educazione socioaffettiva.
L’educazione socioaffettiva è una metodologia volta allo sviluppo dell’autostima dei ragazzi, all’aumento di competenze relazionali, comunicative, sociali; all’incremento della creatività nella risoluzione di problemi, nella presa di decisioni, nella “pensabilità positiva”; alla consapevolezza che il gruppo può essere il luogo dove sperimentare quei valori di solidarietà, libertà, giustizia, rispetto per l’altro che dovrebbero essere vissuti da giovani nella famiglia, nella scuola, nel tempo libero e da adulti in ogni contesto di vita personale e professionale.
Questa metodologia è stata ampiamente sperimentata e verificata scientificamente sia nei paesi anglosassoni che in Italia (Francescato, Putton 1985;Francescato, Putton, Cudini, 1986; Putton, 1993; Francescato, Putton, 1995).
Inoltre ha costituito la struttura portante dell’educazione socioaffettiva e sessuale (Putton, 1994)Teorie di riferimento. Le teorie di riferimento dell’educazione socio affettiva sono la Psicologia umanistica e la Psicologia di Comunità.
Questi due approcci hanno alcuni aspetti comuni:
  • la concezione dell’individuo come possessore di potenzialità che, se adeguatamente sviluppate, portano ciascuno a “diventare nel miglior modo possibile, ciò che può essere”;
  • il valore attribuito all’interazione dell’individuo con l’ambiente, quindi all’esperienza per il processo di sviluppo della personalità;
  • l’importanza attribuita al gruppo come contesto di apprendimento .
La Psicologia umanistica-esistenziale è un approccio a cui hanno afferito psicologi di diverse scuole (adleriani, rankiani, junghiani, neo-freudiani e post-freudiani, gestisti, lewiniani) che hanno sentito il bisogno di integrare, ampliare, superare i due approcci storici della psicologia: comportamentismo e psicoanalisi. E’ stato elaborato un nuovo filone di pensiero particolarmente attento all’essere umano in quanto tale, visto nella sua complessità, contraddizioni, contrasti, ma soprattutto nella sua evoluzione e crescita continua. La Humanistic Psychology nacque...

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