Dizionario del mito
eBook - ePub

Dizionario del mito

Mircea Eliade

Share book
  1. Italian
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Dizionario del mito

Mircea Eliade

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Il mito è un racconto sacro ed esemplare che riferisce un avvenimento del tempo primordiale e fornisce all'uomo un senso determinante per il suo comportamento. Per la sua funzione simbolica, esso svela il legame dell'uomo con il sacro. I miti sono giunti a noi tramite testi scritti e tradizioni orali: grazie a questa copiosa documentazione, la ricerca moderna ha potuto fare una rilettura delle spiegazioni del mito elaborate nel corso dei secoli. Le radici del pensiero mitico affondano nel Paleolitico e l'arte parietale rappresenta una documentazione di primaria importanza per lo studio di questo pensiero e delle sue origini. Si giunge quindi alla ricerca di Mircea Eliade e altri sull'edificio religioso del Neolitico. Con la sedentarizzazione e la scoperta dell'agricoltura, l'uomo diventa produttore del proprio cibo, sperimentando così una solidarietà «mistica» tra sé e la vegetazione. La scienza delle religioni situa il mito «al centro», si pronuncia per la realtà di un progetto organico che tende a delineare la statura dell'uomo elementare con un tratto che va dal simbolo al rito, passando per il mito. Questa traiettoria bioantropologica, una volta sviluppata, si ripiega e ritorna al simbolo, suo principio. Continuamente ripreso o ripetuto nei lampi della violenza e nei morsi dell'eros, il progetto organico del simbolo, del mito e del rito tende a generare l'immagine di una spirale a cerchi variabili la cui punta ricerca un assoluto che si schiude negli esiti del sacro e che potrebbe essere chiamato, non dio, ma il divino. Introducono alla lettura i saggi di Julien Ries e Jacques Vidal.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Dizionario del mito an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Dizionario del mito by Mircea Eliade in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Teologia e religione & Saggi sulla religione. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
Jaca Book
Year
2020
ISBN
9788816800373

DIZIONARIO DEL MITO

A

AGRICOLTURA

Miti delle origini. Le credenze che formano l’aspetto rituale delle attività dei coltivatori, trovano chiara espressione nei miti che raccontano le origini delle piante coltivate o delle varie attività tecniche ed economiche dei coltivatori, e così convalidano i loro sistemi culturali.
Alcuni miti sottolineano la corrispondenza simbolica fra le piante coltivate e gli esseri umani e fra la fecondità sessuale e la fertilità vegetale, e assimilano le tecniche di coltivazione a quelle di educazione dei bambini, insistendo sulla qualità «materna» della terra coltivata. Altri pongono maggiore attenzione all’origine (miracolosa) delle piante coltivate o delle tecniche di coltivazione. Fra questi ultimi miti Adolf E. Jensen distingueva due tipi principali più diffusi ed assegnava ai coltivatori di tuberi il tipo di mito che collega coltivazione e morte, per lo più facendo risalire la nascita delle piante coltivate al corpo di un essere primordiale ucciso (il tipo Hainuwele) attribuendo invece ai coltivatori di cereali i miti che narrano come gli uomini primitivi si fossero impossessati dei prototipi di quelle piante. Jensen chiamò questo ultimo il tipo Prometeo, dal nome della figura mitica greca che rubò agli dei aspetti della cultura umana. Ma questa rigida distinzione dovrebbe essere abbandonata, non solo per il fatto che l’origine dei cereali è spesso collegata ad una uccisione mitica (la cui eco si trova, ad esempio, nel mito egizio di Osiride), ma anche e soprattutto perché il tema centrale di questi due tipi, e cioè la colpa primordiale collegata, nei miti delle origini, agli inizi della coltivazione, è suscettibile di una più ampia differenziazione. Questo tema comprende almeno: 1) l’uccisione della creatura primordiale (il tipo Hainuwele); 2) il furto della pianta coltivata originaria (il tipo Prometeo); e 3) la storia di come fu spiata, e così offesa una generosa creatura femminile primordiale, a cui è attribuita l’introduzione delle piante coltivate o del cibo.
Due miti dei Kiwai della Nuova Guinea ci offrono un ottimo esempio del primo tipo sopra citato; essi esaltano il simbolismo madre-terra e figlio-pianta. Uno di questi miti racconta di una donna chiamata Opae, che partorì, ma non avendo marito e neppure idea di che cosa fosse un bambino, abbandonò il neonato. Un uccello si prese cura di esso e protesse il suo corpo e le sue membra con foglie di colocasia; in seguito l’uccello ritornò con la corteccia e con una radice di colocasia, coprì il corpo del bambino con la corteccia e legò la radice al suo capo. La radice penetrò nella terra e cominciò a crescere ed il corpo del bambino si trasformò nella prima pianta coltivata di colocasia. L’altro mito Kiwai racconta l’origine della coltivazione dell’igname. Un uomo che non aveva moglie scavò una buca nella terra ed ebbe un rapporto con essa. Ma sotto la terra si nascondeva una donna di nome Tshikaro. Ella rimase incinta e, come si suol fare con le donne al momento del parto, venne circondata da un recinto fatto di stuoie (il modello mitico dei recinti che proteggono i giardini di ignami dei Kiwai) e diede alla luce molti tuberi di igname.
Il mito più famoso, che mette in relazione coltivazione e morte raccontando l’origine delle piante coltivate dal corpo di un essere primordiale ucciso, è quello di Hainuwele degli abitanti dell’isola di Ceram (Indonesia), studiato da Adolf E. Jensen, che lo utilizzò come prototipo di questa categoria. Hainuwele, una giovane vergine, venne uccisa ed il suo corpo fu fatto a pezzi ed i pezzi sepolti; dalle varie parti del suo corpo nacquero le diverse piante coltivate. L’uccisione di Hainuwele diede vita non solo alle piante ma, in diversi modi, alla sessualità, alla morte ed a varie istituzioni culturali. Miti di questo tipo sono presenti in tutti i continenti. Un esempio proveniente dall’America è il racconto dei Maya sulle origini del mais dal cuore della Madre del Mais. Un esempio africano è il mito degli Nzima (Ghana) sulle origini di quella stessa pianta. In quest’ultimo mito appaiono due figure femminili: la madre, l’antenata responsabile dell’introduzione della coltivazione del mais, e sua figlia, sacrificata dalla madre. Anche un antico mito greco sulla cerealicoltura presenta una madre e sua figlia. La dea Demetra, in collera poiché la sua giovane figlia Persefone è stata rapita dal dio degli Inferi, fa appassire la vegetazione (in particolare i cereali) ed abbandona gli dei per vagabondare fra gli uomini. Essa è scambiata per una vecchia donna e assunta da un re e dalla moglie come governante per il loro figlio. Sebbene, spiata e sorpresa mentre tentava di rendere immortale il bambino bruciandolo, sia costretta a lasciare per sempre la reggia, condannando il bambino alla mortalità, ella riesce ad insegnare al re i misteri eleusini. Alla fine, Persefone ritorna nel mondo dei vivi, nel quale risiederà periodicamente, e la vegetazione rinasce. In altre versioni Demetra insegna le tecniche dell’agricoltura ad un re che l’ha aiutata. Questo mito, considerato nelle sue diverse varianti, stabilisce che la mortalità, l’agricoltura ed i riti più famosi dei misteri greci sono aspetti fondamentali e correlati dell’esistenza umana, noti fin dai tempi primordiali, e presenta una figura materna come responsabile dell’origine della coltivazione.
La corrispondenza fra le protagoniste femminili di miti di questo genere ed entità sovrumane, esseri personificati che si credeva incarnassero o influenzassero la crescita di specifiche piante coltivate (come la Madre del Mais), è spesso esplicita. Tuttavia, come nel mito dei Pueblo Cochiti del Nuovo Messico, la corrispondenza può essere indiretta. La Madre degli Indiani, si dice, abbandonò i suoi figli; quando questi mandarono messaggeri alla sua dimora sotterranea per chiedere il suo aiuto in un momento di crisi, ella diede loro il primo fantoccio o bambola di mais, fatta con una pianta di granoturco addobbata con piume o con stringhe di pelle di daino, un prototipo dell’oggetto usato dai Cochiti nei rituali agricoli. È chiaro che il fantoccio di mais è un sostituto della Madre e, come nel caso di Demetra nella prima versione del mito, è il materiale rituale connesso con la coltivazione, che viene dato agli uomini dalla donna che sparisce, più che non la coltivazione in sé per sé.
Per quanto riguarda il tema della figura femminile offesa, esso è presente in molti miti del tipo «escrezione». In una serie di miti raccontati dagli allevatori di mais Creek, Cherokee e Natchez degli Stati Uniti sudorientali, la mitica donna, che a volte appare sotto forma di pianta di mais o pannocchia, dà il mais (ed a volte i fagioli) all’umanità. Essa si prende cura degli orfani e di altri bisognosi e per loro produce chicchi di mais strofinandosi il corpo. In alcune versioni essa viene uccisa, mentre in altre si offre spontaneamente in sacrificio; ma in tutte le versioni del mito, prima di morire, insegna alla gente ciò che si deve fare perché dal suo corpo si sprigionino mais e fagioli. Miti di questo tipo sono molto diffusi. Due altri esempi serviranno a mostrare che i temi comuni a questi miti non sono limitati al motivo dell’«escrezione», ma includono anche il motivo degli spiriti dei morti o degli antenati.
In un mito dei Toraja di Sulawesi (Indonesia), un pescatore spesso lasciava la moglie per andare a pesca; al suo ritorno trovava sempre un grosso recipiente pieno di riso, ma sua moglie si rifiutava di rivelargli la sua provenienza. Un giorno la spiò attraverso una fessura del muro della loro abitazione e vide che la moglie si strofinava le mani sul recipiente ed in questo modo lo riempiva di riso. Disgustato da questa scoperta, l’uomo la rimproverò per questo procedimento poco pulito; in seguito ai rimproveri, la donna si trasformò in una pianta di riso; e in seguito il pescatore divenne una palma da sago. I coltivatori di ignami e colocasia della Melanesia e della Nuova Guinea hanno miti analoghi (nella Nuova Guinea i miti riguardano la Donna Igname, che produce miracolosamente ignami dal suo corpo), ma un mito complesso, molto simile a quelli americani ed indonesiani, si può trovare, tra i Maori della Nuova Zelanda, nei racconti sull’origine del kumara (patata dolce). La dea Pani si prese cura di due giovani nipoti orfani e li nutrì con kumara cotto al forno; i due fratelli, che amavano questo cibo fino a quel momento a loro sconosciuto, incominciarono a domandarle da dove provenisse, ma Pani non voleva rivelarlo. Un giorno uno dei fratelli la spiò e scoprì che ella si estraeva le patate dolci dal corpo stando nell’acqua. Secondo un’altra versione, Pani produceva il kumara strofinando le mani sul ventre. Il ragazzo disse al fratello: «Noi stiamo mangiando le escrezioni di Pani». Piena di vergogna, Pani si ritirò negli Inferi, dove uno dei nipoti riuscì a raggiungerla e la trovò mentre coltivava kumara.
In America, in Indonesia ed in Nuova Zelanda si credeva dunque che una creatura femminile fosse in grado di ottenere dal suo corpo le principali piante coltivate, e che generosamente le donasse ai bisognosi; si narrava anche che essa venne spiata nell’atto di far ciò e che, piena di vergogna e offesa, scomparve, dopo aver dato vita alle piante coltivate e alle tecniche dell’agricoltura. L’affinità fra questi miti e l’antico mito greco di Demetra è sorprendente e ci mostra la connessione fra i miti di origine dei cerealicoltori e quelli di altri coltivatori. La complessità delle derivazioni storiche e delle connessioni tipologiche fra i vari miti delle origini può essere chiarita da un ultimo paradossale esempio. In tempi mitici, secondo le credenze della tradizione Maya, il dio della pioggia colpì con un fulmine la pietra nella quale si nascondeva il dio del mais che così venne alla luce, in risposta alle preghiere dei primi uomini bisognosi. Successivamente, tuttavia, sotto l’influsso del Cristianesimo, nel Guatemala e nello Yucatan la figura dell’antico dio del mais dei Maya fu reinterpretata come Cristo, pane di vita, introducendo in questo modo gli elementi del tipo Hainuwele in un mito tradizionale più simile al tipo Prometeo.
Come si vede da molti di questi esempi, i miti sull’origine della coltivazione stanno ad indicare sia situazioni di crisi, sia di fertilità. Molti di questi miti presentano la coltivazione delle piante come un’innovazione ambigua e pericolosa, dovuta ad un errore o colpa primordiale. L’atteggiamento che essi riflettono è simile a quello espresso dal rituale «ritorno dei morti» durante i momenti cruciali del ciclo stagionale. I costi ed i rischi della coltivazione sono espressi in termini mitici e rituali da quelle società il cui benessere, dipendente dal risultato della coltivazione, è perennemente in gioco e deve essere continuamente riconfermato sia con mezzi tecnici, sia attraverso il rito e l’ideologia. Relegando in un lontano passato la vita non agricola e mostrando le conseguenze positive dell’atto di invasione sacrilega da parte dell’uomo della natura incontrollata, i miti fondanti dei coltivatori rafforzano i sistemi culturali ed economici che li esprimono e proteggono il corpo sociale contro la serie ricorrente di crisi cicliche. [Vedi anche EROE CULTURALE.]
Valori religiosi e sociali dei coltivatori. In molti miti delle origini la donna responsabile dell’inizio della coltivazione agisce in favore dei bambini deboli o abbandonati, che non appartengono ad una struttura familiare solidale (ad esempio orfani), oppure viene presentata come una nutrice generosa. Questo tratto mitico trova riscontro nell’importanza che ha l’ospitalità fra i coltivatori e nella periodica redistribuzione del prodotto della coltivazione in occasione delle feste, che raggiungono il loro culmine nelle orge alimentari e nell’offerta delle primizie ai morti che si crede ritornino nel corso dei riti. La base di tutte queste concezioni, credenze e comportamenti, risiede nella vita economica che la coltivazione rende possibile, uno stabile sistema di vita nel quale la relativa abbondanza di cibo favorisce ulteriori cambiamenti economici e culturali, fa della distribuzione del prodotto annuale fra i membri della comunità un dovere vitale e fornisce un surplus per gli usi rituali ed anche orgiastici in determinati periodi dell’anno.
Una ideologia relativamente egualitaria di lavoro collettivo, di sperperi durante le feste, di distribuzione generalizzata e di generosità ospitale, è tipica delle società meno complesse di coltivatori. Essa è sostituita da un’ideologia di concentrazione e distribuzione verticale nelle società in cui produzione, distribuzione e consumo del prodotto agricolo diventano più complessi, in cui compiti e ruoli si fanno più differenziati ed un gruppo di persone, un capo o un re, assumono una posizione di privilegio. La cooperazione e la solidarietà necessarie per ottenere e condividere un buon raccolto vengono identificati con l’abilità dei governanti ad organizzare, a giudicare ed a distribuire la produzione annuale. Le feste per il raccolto, come si svolgono in Africa nel regno Swazi, possono diventare l’occasione per rappresentazioni rituali di ribellione e di biasimo, che denunciano e sostengono i «diritti» di chi è sottomesso e sottolineano i «doveri» dei governanti. D’altra parte, in società di questo tipo, l’inviolabilità della proprietà (privata) della terra e del suo simbolo, la pietra di confine, è sancita da credenze e regole religiose; l’altro aspet to della generosità regale, vale a dire il tributo periodico di una parte del prodotto agricolo ai governanti, è anch’esso sancito da dettami sacri.
Proprio come l’importanza della solidarietà sociale per la reale sopravvivenza delle comunità agricole è sottolineata dalle credenze e dai riti basati sulla distribuzione ed il consumo, così altri aspetti del costume dei coltivatori trovano espressione in altri complessi religiosi. Nonostante l’importanza che nella religiosità dei coltivatori veniva data alla libertà sessuale e ad ogni genere di licenziosità in occasione delle feste, è ovunque diffusa la convinzione che il rispetto delle regole e delle proibizioni di ordine sociale e religioso, della purità rituale e di quella sessuale in particolare, sia essenziale per il buon andamento della coltivazione. La purità rituale dei contadini dell’Europa settentrionale moderna si ottiene attraverso un bagno ed indossando abiti nuovi e puliti prima dei principali lavori agricoli, come l’aratura, la semina e la mietitura. L’importanza delle vergini, degli uomini e delle donne anziane e anche degli eunuchi, nei riti e nei culti, sia prettamente agricoli (come gli antichi riti egizi eseguiti da uomini castrati per assicurare l’inondazione annuale del Nilo e la fertilità dei campi), sia collegati al culto di dee madri, rappresenta la manifestazione estrema di questo complesso simbolico. In molte società gerarchiche il capo o il re deve vivere in uno stato perpetuo di purità rituale. Si credeva che tale purezza avesse un’influenza diretta sulla produzione agricola ed essa era perciò sostenuta da una complessa serie di norme e proibizioni.
La corretta distribuzione della produzione annuale della coltivazione e la regolare applicazione delle norme rituali e sociali sono così non meno importanti nella vita religiosa dei coltivatori di quanto lo siano il simbolismo sessuale o la credenza che siano entità sovrumane a controllare o impersonare la crescita delle piante coltivate. Uguale importanza riveste l’aura religiosa che circonda gli aspetti specificamente tecnici della produzione agricola; la sacralità di animali come il bue da tiro nell’antica Grecia o di oggetti come l’aratro, fra i contadini italiani dell’inizio dell’età moderna o fra gli agricoltori odierni del Madagascar, costituiscono buoni esempi. Ciò che è veramente significativo, tuttavia, è la diffusa sacralità del complesso generale di conoscenze tecniche e tradizioni rituali necessarie alla coltivazione.
Spesso si crede che le conoscenze tecniche e gli usi rituali siano stati appresi in tempi mitici, grazie ad esseri sovrumani. Inoltre, l’acquisizione di quelle conoscenze è sovente collegata ad un errore o peccato primordiale ed è legata alle origini dei tratti distintivi della cultura di ciascuna delle società che nel mito si esprimono, così come è messa in relazione con l’inizio della vita mortale dell’uomo. Il fatto che i misteri eleusini si fondino, miticamente, su di una tradizione narrativa che riferisce anche dell’origine divina dell’agricoltura può essere segno di un intrinseco legame fra le conoscenze tecnico-rituali necessarie per la coltivazione e quel sapere rituale e simbolico relativo al valore religioso della vita umana, che costituiva l’oggetto di ciò che chiamiamo culti «misterici». A parte questo, non esistono dubbi sulle connessioni che gli antichi culti misterici avevano con l’agricoltura, come pure sui collegamenti tra le aspettative escatologiche e soteriologiche che i culti misterici esprimono e la consapevolezza dell’agricoltore che i cicli agricoli della «morte» e «rinascita» delle piante si ripetono perennemente.

BIBLIOGRAFIA

Un’utile trattazione dell’agricoltura e della coltivazione nel mondo, con particolare attenzione alle società primitive, è costituita dall’opera di V. Grottanelli, Etnologica. L’uomo e la civiltà, II, Le ...

Table of contents