Miti delle origini. Le credenze che formano lâaspetto rituale delle attivitĂ dei coltivatori, trovano chiara espressione nei miti che raccontano le origini delle piante coltivate o delle varie attivitĂ tecniche ed economiche dei coltivatori, e cosĂŹ convalidano i loro sistemi culturali.
Alcuni miti sottolineano la corrispondenza simbolica fra le piante coltivate e gli esseri umani e fra la feconditĂ sessuale e la fertilitĂ vegetale, e assimilano le tecniche di coltivazione a quelle di educazione dei bambini, insistendo sulla qualitĂ ÂŤmaternaÂť della terra coltivata. Altri pongono maggiore attenzione allâorigine (miracolosa) delle piante coltivate o delle tecniche di coltivazione. Fra questi ultimi miti Adolf E. Jensen distingueva due tipi principali piĂš diffusi ed assegnava ai coltivatori di tuberi il tipo di mito che collega coltivazione e morte, per lo piĂš facendo risalire la nascita delle piante coltivate al corpo di un essere primordiale ucciso (il tipo Hainuwele) attribuendo invece ai coltivatori di cereali i miti che narrano come gli uomini primitivi si fossero impossessati dei prototipi di quelle piante. Jensen chiamò questo ultimo il tipo Prometeo, dal nome della figura mitica greca che rubò agli dei aspetti della cultura umana. Ma questa rigida distinzione dovrebbe essere abbandonata, non solo per il fatto che lâorigine dei cereali è spesso collegata ad una uccisione mitica (la cui eco si trova, ad esempio, nel mito egizio di Osiride), ma anche e soprattutto perchĂŠ il tema centrale di questi due tipi, e cioè la colpa primordiale collegata, nei miti delle origini, agli inizi della coltivazione, è suscettibile di una piĂš ampia differenziazione. Questo tema comprende almeno: 1) lâuccisione della creatura primordiale (il tipo Hainuwele); 2) il furto della pianta coltivata originaria (il tipo Prometeo); e 3) la storia di come fu spiata, e cosĂŹ offesa una generosa creatura femminile primordiale, a cui è attribuita lâintroduzione delle piante coltivate o del cibo.
Due miti dei Kiwai della Nuova Guinea ci offrono un ottimo esempio del primo tipo sopra citato; essi esaltano il simbolismo madre-terra e figlio-pianta. Uno di questi miti racconta di una donna chiamata Opae, che partorĂŹ, ma non avendo marito e neppure idea di che cosa fosse un bambino, abbandonò il neonato. Un uccello si prese cura di esso e protesse il suo corpo e le sue membra con foglie di colocasia; in seguito lâuccello ritornò con la corteccia e con una radice di colocasia, coprĂŹ il corpo del bambino con la corteccia e legò la radice al suo capo. La radice penetrò nella terra e cominciò a crescere ed il corpo del bambino si trasformò nella prima pianta coltivata di colocasia. Lâaltro mito Kiwai racconta lâorigine della coltivazione dellâigname. Un uomo che non aveva moglie scavò una buca nella terra ed ebbe un rapporto con essa. Ma sotto la terra si nascondeva una donna di nome Tshikaro. Ella rimase incinta e, come si suol fare con le donne al momento del parto, venne circondata da un recinto fatto di stuoie (il modello mitico dei recinti che proteggono i giardini di ignami dei Kiwai) e diede alla luce molti tuberi di igname.
Il mito piĂš famoso, che mette in relazione coltivazione e morte raccontando lâorigine delle piante coltivate dal corpo di un essere primordiale ucciso, è quello di Hainuwele degli abitanti dellâisola di Ceram (Indonesia), studiato da Adolf E. Jensen, che lo utilizzò come prototipo di questa categoria. Hainuwele, una giovane vergine, venne uccisa ed il suo corpo fu fatto a pezzi ed i pezzi sepolti; dalle varie parti del suo corpo nacquero le diverse piante coltivate. Lâuccisione di Hainuwele diede vita non solo alle piante ma, in diversi modi, alla sessualitĂ , alla morte ed a varie istituzioni culturali. Miti di questo tipo sono presenti in tutti i continenti. Un esempio proveniente dallâAmerica è il racconto dei Maya sulle origini del mais dal cuore della Madre del Mais. Un esempio africano è il mito degli Nzima (Ghana) sulle origini di quella stessa pianta. In questâultimo mito appaiono due figure femminili: la madre, lâantenata responsabile dellâintroduzione della coltivazione del mais, e sua figlia, sacrificata dalla madre. Anche un antico mito greco sulla cerealicoltura presenta una madre e sua figlia. La dea Demetra, in collera poichĂŠ la sua giovane figlia Persefone è stata rapita dal dio degli Inferi, fa appassire la vegetazione (in particolare i cereali) ed abbandona gli dei per vagabondare fra gli uomini. Essa è scambiata per una vecchia donna e assunta da un re e dalla moglie come governante per il loro figlio. Sebbene, spiata e sorpresa mentre tentava di rendere immortale il bambino bruciandolo, sia costretta a lasciare per sempre la reggia, condannando il bambino alla mortalitĂ , ella riesce ad insegnare al re i misteri eleusini. Alla fine, Persefone ritorna nel mondo dei vivi, nel quale risiederĂ periodicamente, e la vegetazione rinasce. In altre versioni Demetra insegna le tecniche dellâagricoltura ad un re che lâha aiutata. Questo mito, considerato nelle sue diverse varianti, stabilisce che la mortalitĂ , lâagricoltura ed i riti piĂš famosi dei misteri greci sono aspetti fondamentali e correlati dellâesistenza umana, noti fin dai tempi primordiali, e presenta una figura materna come responsabile dellâorigine della coltivazione.
La corrispondenza fra le protagoniste femminili di miti di questo genere ed entitĂ sovrumane, esseri personificati che si credeva incarnassero o influenzassero la crescita di specifiche piante coltivate (come la Madre del Mais), è spesso esplicita. Tuttavia, come nel mito dei Pueblo Cochiti del Nuovo Messico, la corrispondenza può essere indiretta. La Madre degli Indiani, si dice, abbandonò i suoi figli; quando questi mandarono messaggeri alla sua dimora sotterranea per chiedere il suo aiuto in un momento di crisi, ella diede loro il primo fantoccio o bambola di mais, fatta con una pianta di granoturco addobbata con piume o con stringhe di pelle di daino, un prototipo dellâoggetto usato dai Cochiti nei rituali agricoli. Ă chiaro che il fantoccio di mais è un sostituto della Madre e, come nel caso di Demetra nella prima versione del mito, è il materiale rituale connesso con la coltivazione, che viene dato agli uomini dalla donna che sparisce, piĂš che non la coltivazione in sĂŠ per sĂŠ.
Per quanto riguarda il tema della figura femminile offesa, esso è presente in molti miti del tipo ÂŤescrezioneÂť. In una serie di miti raccontati dagli allevatori di mais Creek, Cherokee e Natchez degli Stati Uniti sudorientali, la mitica donna, che a volte appare sotto forma di pianta di mais o pannocchia, dĂ il mais (ed a volte i fagioli) allâumanitĂ . Essa si prende cura degli orfani e di altri bisognosi e per loro produce chicchi di mais strofinandosi il corpo. In alcune versioni essa viene uccisa, mentre in altre si offre spontaneamente in sacrificio; ma in tutte le versioni del mito, prima di morire, insegna alla gente ciò che si deve fare perchĂŠ dal suo corpo si sprigionino mais e fagioli. Miti di questo tipo sono molto diffusi. Due altri esempi serviranno a mostrare che i temi comuni a questi miti non sono limitati al motivo dellâÂŤescrezioneÂť, ma includono anche il motivo degli spiriti dei morti o degli antenati.
In un mito dei Toraja di Sulawesi (Indonesia), un pescatore spesso lasciava la moglie per andare a pesca; al suo ritorno trovava sempre un grosso recipiente pieno di riso, ma sua moglie si rifiutava di rivelargli la sua provenienza. Un giorno la spiò attraverso una fessura del muro della loro abitazione e vide che la moglie si strofinava le mani sul recipiente ed in questo modo lo riempiva di riso. Disgustato da questa scoperta, lâuomo la rimproverò per questo procedimento poco pulito; in seguito ai rimproveri, la donna si trasformò in una pianta di riso; e in seguito il pescatore divenne una palma da sago. I coltivatori di ignami e colocasia della Melanesia e della Nuova Guinea hanno miti analoghi (nella Nuova Guinea i miti riguardano la Donna Igname, che produce miracolosamente ignami dal suo corpo), ma un mito complesso, molto simile a quelli americani ed indonesiani, si può trovare, tra i Maori della Nuova Zelanda, nei racconti sullâorigine del kumara (patata dolce). La dea Pani si prese cura di due giovani nipoti orfani e li nutrĂŹ con kumara cotto al forno; i due fratelli, che amavano questo cibo fino a quel momento a loro sconosciuto, incominciarono a domandarle da dove provenisse, ma Pani non voleva rivelarlo. Un giorno uno dei fratelli la spiò e scoprĂŹ che ella si estraeva le patate dolci dal corpo stando nellâacqua. Secondo unâaltra versione, Pani produceva il kumara strofinando le mani sul ventre. Il ragazzo disse al fratello: ÂŤNoi stiamo mangiando le escrezioni di PaniÂť. Piena di vergogna, Pani si ritirò negli Inferi, dove uno dei nipoti riuscĂŹ a raggiungerla e la trovò mentre coltivava kumara.
In America, in Indonesia ed in Nuova Zelanda si credeva dunque che una creatura femminile fosse in grado di ottenere dal suo corpo le principali piante coltivate, e che generosamente le donasse ai bisognosi; si narrava anche che essa venne spiata nellâatto di far ciò e che, piena di vergogna e offesa, scomparve, dopo aver dato vita alle piante coltivate e alle tecniche dellâagricoltura. LâaffinitĂ fra questi miti e lâantico mito greco di Demetra è sorprendente e ci mostra la connessione fra i miti di origine dei cerealicoltori e quelli di altri coltivatori. La complessitĂ delle derivazioni storiche e delle connessioni tipologiche fra i vari miti delle origini può essere chiarita da un ultimo paradossale esempio. In tempi mitici, secondo le credenze della tradizione Maya, il dio della pioggia colpĂŹ con un fulmine la pietra nella quale si nascondeva il dio del mais che cosĂŹ venne alla luce, in risposta alle preghiere dei primi uomini bisognosi. Successivamente, tuttavia, sotto lâinflusso del Cristianesimo, nel Guatemala e nello Yucatan la figura dellâantico dio del mais dei Maya fu reinterpretata come Cristo, pane di vita, introducendo in questo modo gli elementi del tipo Hainuwele in un mito tradizionale piĂš simile al tipo Prometeo.
Come si vede da molti di questi esempi, i miti sullâorigine della coltivazione stanno ad indicare sia situazioni di crisi, sia di fertilitĂ . Molti di questi miti presentano la coltivazione delle piante come unâinnovazione ambigua e pericolosa, dovuta ad un errore o colpa primordiale. Lâatteggiamento che essi riflettono è simile a quello espresso dal rituale ÂŤritorno dei mortiÂť durante i momenti cruciali del ciclo stagionale. I costi ed i rischi della coltivazione sono espressi in termini mitici e rituali da quelle societĂ il cui benessere, dipendente dal risultato della coltivazione, è perennemente in gioco e deve essere continuamente riconfermato sia con mezzi tecnici, sia attraverso il rito e lâideologia. Relegando in un lontano passato la vita non agricola e mostrando le conseguenze positive dellâatto di invasione sacrilega da parte dellâuomo della natura incontrollata, i miti fondanti dei coltivatori rafforzano i sistemi culturali ed economici che li esprimono e proteggono il corpo sociale contro la serie ricorrente di crisi cicliche. [Vedi anche EROE CULTURALE.]
Valori religiosi e sociali dei coltivatori. In molti miti delle origini la donna responsabile dellâinizio della coltivazione agisce in favore dei bambini deboli o abbandonati, che non appartengono ad una struttura familiare solidale (ad esempio orfani), oppure viene presentata come una nutrice generosa. Questo tratto mitico trova riscontro nellâimportanza che ha lâospitalitĂ fra i coltivatori e nella periodica redistribuzione del prodotto della coltivazione in occasione delle feste, che raggiungono il loro culmine nelle orge alimentari e nellâofferta delle primizie ai morti che si crede ritornino nel corso dei riti. La base di tutte queste concezioni, credenze e comportamenti, risiede nella vita economica che la coltivazione rende possibile, uno stabile sistema di vita nel quale la relativa abbondanza di cibo favorisce ulteriori cambiamenti economici e culturali, fa della distribuzione del prodotto annuale fra i membri della comunitĂ un dovere vitale e fornisce un surplus per gli usi rituali ed anche orgiastici in determinati periodi dellâanno.
Una ideologia relativamente egualitaria di lavoro collettivo, di sperperi durante le feste, di distribuzione generalizzata e di generositĂ ospitale, è tipica delle societĂ meno complesse di coltivatori. Essa è sostituita da unâideologia di concentrazione e distribuzione verticale nelle societĂ in cui produzione, distribuzione e consumo del prodotto agricolo diventano piĂš complessi, in cui compiti e ruoli si fanno piĂš differenziati ed un gruppo di persone, un capo o un re, assumono una posizione di privilegio. La cooperazione e la solidarietĂ necessarie per ottenere e condividere un buon raccolto vengono identificati con lâabilitĂ dei governanti ad organizzare, a giudicare ed a distribuire la produzione annuale. Le feste per il raccolto, come si svolgono in Africa nel regno Swazi, possono diventare lâoccasione per rappresentazioni rituali di ribellione e di biasimo, che denunciano e sostengono i ÂŤdirittiÂť di chi è sottomesso e sottolineano i ÂŤdoveriÂť dei governanti. Dâaltra parte, in societĂ di questo tipo, lâinviolabilitĂ della proprietĂ (privata) della terra e del suo simbolo, la pietra di confine, è sancita da credenze e regole religiose; lâaltro aspet to della generositĂ regale, vale a dire il tributo periodico di una parte del prodotto agricolo ai governanti, è anchâesso sancito da dettami sacri.
Proprio come lâimportanza della solidarietĂ sociale per la reale sopravvivenza delle comunitĂ agricole è sottolineata dalle credenze e dai riti basati sulla distribuzione ed il consumo, cosĂŹ altri aspetti del costume dei coltivatori trovano espressione in altri complessi religiosi. Nonostante lâimportanza che nella religiositĂ dei coltivatori veniva data alla libertĂ sessuale e ad ogni genere di licenziositĂ in occasione delle feste, è ovunque diffusa la convinzione che il rispetto delle regole e delle proibizioni di ordine sociale e religioso, della puritĂ rituale e di quella sessuale in particolare, sia essenziale per il buon andamento della coltivazione. La puritĂ rituale dei contadini dellâEuropa settentrionale moderna si ottiene attraverso un bagno ed indossando abiti nuovi e puliti prima dei principali lavori agricoli, come lâaratura, la semina e la mietitura. Lâimportanza delle vergini, degli uomini e delle donne anziane e anche degli eunuchi, nei riti e nei culti, sia prettamente agricoli (come gli antichi riti egizi eseguiti da uomini castrati per assicurare lâinondazione annuale del Nilo e la fertilitĂ dei campi), sia collegati al culto di dee madri, rappresenta la manifestazione estrema di questo complesso simbolico. In molte societĂ gerarchiche il capo o il re deve vivere in uno stato perpetuo di puritĂ rituale. Si credeva che tale purezza avesse unâinfluenza diretta sulla produzione agricola ed essa era perciò sostenuta da una complessa serie di norme e proibizioni.
La corretta distribuzione della produzione annuale della coltivazione e la regolare applicazione delle norme rituali e sociali sono cosĂŹ non meno importanti nella vita religiosa dei coltivatori di quanto lo siano il simbolismo sessuale o la credenza che siano entitĂ sovrumane a controllare o impersonare la crescita delle piante coltivate. Uguale importanza riveste lâaura religiosa che circonda gli aspetti specificamente tecnici della produzione agricola; la sacralitĂ di animali come il bue da tiro nellâantica Grecia o di oggetti come lâaratro, fra i contadini italiani dellâinizio dellâetĂ moderna o fra gli agricoltori odierni del Madagascar, costituiscono buoni esempi. Ciò che è veramente significativo, tuttavia, è la diffusa sacralitĂ del complesso generale di conoscenze tecniche e tradizioni rituali necessarie alla coltivazione.
Spesso si crede che le conoscenze tecniche e gli usi rituali siano stati appresi in tempi mitici, grazie ad esseri sovrumani. Inoltre, lâacquisizione di quelle conoscenze è sovente collegata ad un errore o peccato primordiale ed è legata alle origini dei tratti distintivi della cultura di ciascuna delle societĂ che nel mito si esprimono, cosĂŹ come è messa in relazione con lâinizio della vita mortale dellâuomo. Il fatto che i misteri eleusini si fondino, miticamente, su di una tradizione narrativa che riferisce anche dellâorigine divina dellâagricoltura può essere segno di un intrinseco legame fra le conoscenze tecnico-rituali necessarie per la coltivazione e quel sapere rituale e simbolico relativo al valore religioso della vita umana, che costituiva lâoggetto di ciò che chiamiamo culti ÂŤmistericiÂť. A parte questo, non esistono dubbi sulle connessioni che gli antichi culti misterici avevano con lâagricoltura, come pure sui collegamenti tra le aspettative escatologiche e soteriologiche che i culti misterici esprimono e la consapevolezza dellâagricoltore che i cicli agricoli della ÂŤmorteÂť e ÂŤrinascitaÂť delle piante si ripetono perennemente.
Unâutile trattazione dellâagricoltura e della coltivazione nel mondo, con particolare attenzione alle societĂ primitive, è costituita dallâopera di V. Grottanelli, Etnologica. Lâuomo e la civiltĂ , II, Le ...